Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17838 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17838 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 527/2025
CC – 10/04/2025
R.G.N. 2432/2025
NOME SESSA
Relatore –
NOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nata in CROAZIA il 13/08/1970 avverso la sentenza del 07/03/2023 della Corte d’appello di Campobasso Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dell’istanza.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7.3.2023, divenuta irrevocabile il 21.6.2023, la Corte di Appello di Campobasso, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di COGNOME COGNOME che l’aveva dichiarata colpevole del reato di furto in abitazione, aggravato, ha rideterminato, riducendola, la pena alla predetta inflitta, confermando nel resto la decisione del primo giudice.
Rispetto alla suindicata sentenza rivolge istanza, a questa Corte di cassazione, la condannata COGNOME tramite il difensore di fiducia, deducendo quanto segue.
Premesso di essere venuta a conoscenza della sentenza della Corte di appello suindicata solo in data 29.12.2024, allorché era tratta in arresto in esecuzione del
provvedimento di pene concorrenti 49/2023, rappresenta che in relazione al fatto di cui alla sentenza di condanna era stata denunciata in stato di libertà ed aveva nominato quale difensore di fiducia l’avvocato NOME COGNOME eleggendo domicilio presso il suo studio; che in ogni caso anche l’elezione di domicilio effettuata presso il difensore fiduciario deve porsi quale semplice circostanza sintomatica della conoscenza del procedimento ma non può assurgere al rango di presunzione assoluta o relativa della conoscenza; che nel caso di specie non è emerso alcun dato da cui presumere che il difensore fiduciario abbia effettivamente instaurato un rapporto professionale con l’imputata, essendo rimasto assente per l’intero procedimento penale; che lo stesso, mai comparso nel processo innanzi al Tribunale di Campobasso, non ha interposto appello (che è stato promosso dal difensore nominato ex art. 97, comma 4, del codice di rito), e non è comparso neppure innanzi alla Corte di appello; che quindi non sussistevano elementi da cui desumere con certezza la conoscenza del procedimento da parte dell’imputata dichiarata assente; che questa Corte ha chiarito come la disciplina del processo in absentia introdotta dall’art. 420-bis del codice di rito rifugga da interpretazioni che individuano presunzioni legali di conoscenza del processo; che si deve rilevare come invece in materia di restituzione in termini viga una sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza della pendenza del procedimento da parte dell’imputato e quindi di fondatezza della domanda di riammissione all’impugnazione; che infatti spetta al giudice accertare la presenza di elementi in contrario rispetto alle allegazioni difensive, e nel caso di specie non vi sono elementi da cui dedurre tale conoscenza; che ricorrono quindi le condizioni previste dall’art. 175 cod. proc. pen. Tanto premesso e rappresentato rivolge istanza di restituzione in termini ai sensi dell’art. 175, comma 2, cod.proc.pen. a questa Corte di cassazione, quale giudice dell’impugnazione.
Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte, nella requisitoria scritta, ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’istanza avanzata ai sensi dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. è inammissibile.
1.1. Innanzitutto, si deve premettere che nel caso di specie trova applicazione la disposizione, invocata dal ricorrente, di cui al comma 2.1. dell’art. 175 del codice di rito, inserito dall’articolo 11, comma 1, lett. b n. 1, del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150 a decorrere dal 30 dicembre 2022, ex art. 99-bis del medesimo
decreto, così come modificato dall’art. 6 del decreto-legge 31 ottobre 2022 n. 162, convertito con modificazioni nella legge 30 dicembre 2022 n. 199, essendo stata la sentenza di appello, rispetto alla quale si insta per la restituzione nel termine, pronunciata il 7.3.2023, ossia dopo l’entrata in vigore della disposizione in argomento.
Ed infatti, la norma transitoria di cui all’art. 89 espressamente prevede, al comma terzo, che ‘Le disposizioni degli articoli 157-ter, comma 3, 581, commi 1ter e 1-quater, e 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto. Negli stessi casi si applicano anche le disposizioni dell’articolo 175 del codice di procedura penale, come modificato dal presente decreto’. E al riguardo si è già pronunciata questa Corte – Sez. 2, Sentenza n. 20899 del 24/02/2023, Rv. 284704 – 01 – affermando che, in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione, la disposizione di cui all’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore di detto d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, realizzato in attuazione della legge delega 27 settembre 2021, n. 134, ed entrato in vigore il 30.12.2022 – in virtù dell’art. 6 del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 (c.d. decreto rave), convertito in legge dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199, che inserendo nel d.lgs. n. 150/2022 il nuovo art. 99-bis, ha differito dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l’entrata in vigore dell’intera riforma.
1.2. È, in premessa, anche il caso di evidenziare, sempre ai fini del corretto inquadramento della richiesta avanzata, che, come ha avuto modo di precisare anche la recente pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 11447 del 24.10.2024, dep. 2025, Lacatus, non ancora massimata sul punto, la rescissione è applicabile nel caso di soggetto condannato, nei cui confronti si sia proceduto in ‘assenza’, ove questi provi che sia stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen. e che non abbia potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.
In base all’art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen. è invece prevista la restituzione in termini per proporre impugnazione da parte dell’imputato giudicato in assenza, nei casi di cui all’art. 420-bis, commi 2 e 3, cod. proc. pen.: il rimedio presuppone la prova della mancata conoscenza effettiva della pendenza del processo e dell’omessa proposizione dell’impugnazione non dovuta a colpa.
In sintesi, hanno efficacemente annotato le Sezioni Unite, la rescissione opera, come incisivamente sottolineato dalla Corte costituzionale (sent. n. 192 del 2023), nei casi di assenza mal dichiarata, mentre la restituzione in termini si correla ad
una dichiarazione di assenza normativamente consentita, a fronte della quale l’imputato provi la mancata conoscenza in ragione di situazioni specificamente deducibili.
È anche il caso di precisare sin d’ora che la disciplina che regola la declaratoria di assenza nell’ambito del giudizio – posta dall’istante alla base della richiesta in esame – rispetto al nuovo rimedio della restituzione nel termine di cui all’art. 175 comma 2.1. in realtà funge solo da parametro per verificare la correttezza, o meno, della dichiarazione di assenza, rilevando ai fini del rimedio restitutorio soprattutto le allegazioni dell’interessato, che, venuto a conoscenza del processo, è colui che più di ogni altro è oramai in grado di indicare le ragioni per le quali, nonostante la regolarità della notificazione e della dichiarazione di assenza, è rimasto all’oscuro del procedimento celebrato in sua assenza.
1.3. L’istanza, nel caso di specie, non contesta esplicitamente la validità della dichiarazione di assenza formalmente pronunciata (evenienza che avrebbe altrimenti comportato l’adozione del diverso rimedio della rescissione), ma si duole, in buona sostanza, del comportamento assunto dal difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME che, rimasto assente in tutto l’arco del giudizio, non avrebbe proceduto a tenere informato l’imputata della pendenza del processo e di quanto accaduto nel suo prosieguo, minando la effettiva conoscenza del processo da parte della stessa. Conoscenza che si sarebbe quindi fermata all’atto della denuncia in stato di libertà sporta nei confronti dell’imputata per il reato di furto in abitazione aggravato, in occasione della quale, nella fase delle indagini, la stessa aveva provveduto a nominare quale difensore di fiducia il predetto avv. NOME COGNOME eleggendo domicilio presso il suo studio, ove sarebbe intervenuta la notificazione della citazione a giudizio.
Sicché, ricorrendo, nel caso in esame, l’ipotesi della notificazione non a mani proprie o di persona espressamente delegata al ritiro dell’atto (riconducibile al comma 1 lett. a dell’art. 420-bis cod. proc. pen.), l’istanza di restituzione nel termine è stata giustamente avanzata ai sensi del comma 2.1. dell’art. 175, che ancora la possibilità di chiedere la restituzione nel termine ai casi di assenza dichiarata ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 420-bis cod. proc. pen., ossia sulla base di circostanze concrete indicative della conoscenza della pendenza del processo, in quanto tali suscettibili di essere superate – solo – alla stregua degli specifici elementi di segno contrario allegati dal condannato.
La riforma, invero, lasciati invariati i primi due commi dell’art. 175, ha introdotto due nuove disposizioni e, per quanto di interesse, tra queste il comma 2.1. che prevede che l’imputato giudicato in assenza sia restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente
rinunciato, se nei casi previsti dai commi 2 e 3 dell’art 420-bis c.p.p., fornisca la prova di non aver avuto effettiva conoscenza del processo e di non avere potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.
Con tale norma il legislatore, seguendo il principio ispiratore costituito dalla necessità di garantire l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato, ha voluto introdurre un rimedio restitutorio autonomo e distinto rispetto a quelli disciplinati nei primi due commi dello stesso articolo. Nello specifico, infatti, si è voluto fornire una garanzia ulteriore a tutela del soggetto che sia stato giudicato in assenza quando il giudice lo abbia ritenuto in base al secondo comma dell’art. 420bis cod. proc. pen. effettivamente a conoscenza del processo, oppure che sia stato dichiarato latitante o che si sia sottratto volontariamente al processo.
L’operatività del rimedio è, però, sottoposta a una duplice condizione. L’imputato, infatti, ha l’onere di provare di non aver avuto effettiva conoscenza del processo e di non aver potuto impugnare nei termini senza averne avuto colpa. Sul punto il tenore della relazione illustrativa è chiaro laddove specifica che «i due elementi di ammissibilità cui l’istanza di cui all’art. 175 comma 2.1 c.p.p. è subordinata, sono funzionalizzati allo scopo di impedire l’utilizzo dello strumento da parte di chi, pur formalmente assente, ha successivamente avuto conoscenza della pendenza del processo in tempo utile per intervenire e, soprattutto, proporre impugnazione nei tempi ordinari. In questi casi, infatti, per prima cosa, egli sarebbe potuto intervenire nel processo e avvalersi dei rimedi interni alla fase e, in secondo luogo, avrebbe potuto proporre impugnazione nei termini.».
Va anche precisato che l’onere della prova cui rimanda il comma 2.1. dell’art. 175 è da intendere, più propriamente, come onere di pregnante allegazione, che sia idonea, cioè, a suffragare, quanto meno in termini di puntuale prospettazione, ciò che si assume a sostegno della propria inconsapevolezza e conseguente impossibilità di impugnare e, se del caso, ad attivare le eventuali, necessarie, verifiche del giudice.
Come ha già avuto modo di affermare questa Corte, la restituzione nel termine per proporre impugnazione, ai sensi dell’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen, introdotto dall’art. 11, comma 1, lett. b), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, deve essere accordata nei casi di assenza dichiarata legittimamente – quando non fondata su elementi di certezza, ma ritenuta provata dal giudice, ovvero derivante da sottrazione volontaria – allorché l’imputato provi di non aver avuto conoscenza della pendenza del giudizio e di non aver potuto proporre impugnazione senza sua colpa (Sez. 6, n. 1283 del 20/11/2024, dep. 13/01/2025, Rv. 287420 – 01).
Laddove nel caso di specie l’istante si è limitato a prospettare la mancata partecipazione al processo del difensore di fiducia e la proposizione dell’appello da parte del difensore di ufficio. Circostanze che trovano riscontro in atti ma che tuttavia non appaiono sufficienti a superare il dato della conoscenza del procedimento che all’epoca fu posta a base della dichiarazione di assenza desumendola da indici rivelatori univoci – quale la nomina di difensore di fiducia e l’elezione di domicilio presso il suo studio, ove poi interveniva la notificazione del decreto che dispone il giudizio a mezzo p.e.c., debitamente accettata dal destinatario – e soprattutto ad attestare che la prospettata mancata conoscenza della citazione a giudizio del 28.3.2019, attribuita in buona sostanza all’inattività del difensore di fiducia, non sia piuttosto dipesa dal comportamento colpevole assunto dalla stessa imputata. Emerge, invero, dagli atti, in particolare dalla certificazione del Comune di Alghero, che già nel 2015 l’istante non era più residente in tale comune in quanto cancellata per irreperibilità (tale certificazione risulta ottenuta dal difensore di ufficio ed è, per altro verso, quanto meno, indicativa del fatto che questi cercò di mettersi in contatto con l’imputata, senza riuscirvi).
Né risultano allegate le ragioni per le quali il difensore di fiducia non avrebbe preso parte al processo e non avrebbe instaurato alcun contatto con l’imputata, che, è il caso di sottolineare, aveva, ella, promosso l’iniziativa di eleggere domicilio presso lo studio del difensore col quale aveva quindi piena facoltà di entrare in contatto per essere aggiornata in ordine all’evoluzione del processo e alle eventuali notifiche eseguite al domicilio eletto presso di lui. Infatti, la stessa era pienamente consapevole della pendenza del procedimento e, come detto, aveva volontariamente eletto domicilio presso lo studio del difensore di fiducia, salvo poi omettere di mantenere i contatti con il domiciliatario, nonostante avesse assunto, con la elezione del domicilio, l’onere di provvedere ad una periodica attività di informazione presso tale professionista.
Periodica attività, che, in applicazione del principio di autoresponsabilità, sia volta a sopperire, peraltro negli esclusivi rapporti esterni, ad eventuali manchevolezze del medesimo. Sicché potrà essere addotta quale elemento ostativo, ai fini della rimessione in termini ex art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen., alla legale conoscenza degli atti regolarmente notificati presso il difensore di fiducia domiciliatario, non la mera affermazione della mancata attivazione di questo, una volta ricevuti gli atti, affinché questi siano portati a conoscenza degli effettivi destinatari, ma solo la documentata allegazione della perdurante negligenza del domiciliatario, pur a fronte di una periodica attività di ricerca di informazioni da parte del cliente del professionista.
In conclusione, l’istante si è disinteressata delle sorti del processo, rendendosi peraltro non più reperibile presso il luogo di residenza dal lontano 2015, e non può, quindi, ora, invocare l’ignoranza incolpevole del suo esito.
Sebbene l’istanza sia inammissibile, non deve essere pronunciata condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione prevista dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
Quanto alla condanna in favore della Cassa delle ammende, deve osservarsi che la disposizione che la prevede, avendo natura sanzionatoria, non può trovare applicazione oltre i casi in essa espressamente previsti e, poiché la stessa contempla la possibilità di applicare la sanzione solo nell’ipotesi in cui il «ricorso» sia dichiarato inammissibile o rigettato, essa non può applicarsi nel caso di specie, in cui il procedimento è stato attivato con una «richiesta».
Quanto alle spese processuali, deve osservarsi che questa Corte – con motivazione pienamente condivisibile – ha già escluso la condanna al pagamento delle spese processuali, osservando che, nei casi come quello in esame, non è possibile applicare l’art. 592 cod. proc. pen. (che contempla siffatta pronuncia), non introducendo la richiesta di restituzione nel termine un giudizio di impugnazione (Sez. 5, ord. n. 43 del 16/01/2023, COGNOME, n. m.; Sez. 4, ord. n. 6442 del 24/01/2012, COGNOME, n. m.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile l’istanza.
Così deciso il 10/4/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME