Restituzione in Termini: Quando la Mancata Prova Costa Caro
Nel processo penale, il rispetto dei termini è un pilastro fondamentale a garanzia della certezza del diritto e del corretto svolgimento delle procedure. Tuttavia, la legge prevede uno strumento eccezionale per chi, per cause di forza maggiore, non ha potuto esercitare un proprio diritto entro i tempi stabiliti: la restituzione in termini. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 5531/2025) ci ricorda con fermezza che, per accedere a tale rimedio, non basta affermare un proprio diritto, ma è necessario provare rigorosamente la sussistenza di tutti i presupposti di legge.
Il Caso in Esame: Dalla Rescissione alla Restituzione in Termini
La vicenda trae origine dalla richiesta di un imputato di ottenere la “rescissione del giudicato” di una sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello di Torino. L’uomo sosteneva di non aver mai avuto effettiva conoscenza del procedimento a suo carico a causa dell’inerzia del difensore nominato d’ufficio.
La Corte di Appello di Perugia, investita della questione, ha correttamente riqualificato la richiesta. Non si trattava di rescissione, bensì di un’istanza di restituzione in termini per proporre appello, come disciplinato dall’art. 175 del codice di procedura penale. Di conseguenza, ha trasmesso gli atti alla Corte di Cassazione, competente a decidere.
La Decisione Inequivocabile della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione, netta e perentoria, non entra nel merito della presunta inerzia del difensore, ma si ferma a un gradino prima, su un aspetto puramente procedurale ma di importanza cruciale.
Le Motivazioni: l’Onere della Prova nella Restituzione in Termini
La Corte ha basato la sua decisione su una mancanza fondamentale nell’istanza del ricorrente. La legge prevede che la richiesta di restituzione in termini debba essere presentata entro un termine perentorio di 10 giorni, che decorre dal momento in cui è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore.
Nel caso specifico, il ricorrente doveva presentare la sua istanza entro 10 giorni da quando aveva avuto effettiva conoscenza della sentenza di condanna. Tuttavia, come sottolineato dai giudici, egli:
1. Non ha dedotto né allegato il rispetto di tale termine.
2. Non ha specificato in alcun modo la data in cui sarebbe venuto a conoscenza della sentenza.
Questa omissione ha reso impossibile per il Collegio effettuare qualsiasi verifica sul rispetto del termine perentorio. L’onere di fornire tutti gli elementi necessari a dimostrare la tempestività della richiesta grava interamente su chi la presenta. In assenza di tale prova, l’istanza non può che essere dichiarata inammissibile.
Di conseguenza, richiamando anche un principio consolidato dalla Corte Costituzionale, la Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende, non ravvisando elementi per escludere una sua colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Le Conclusioni: Rigore Formale a Tutela della Giustizia
Questa sentenza ribadisce un principio cardine della procedura penale: i rimedi eccezionali, come la restituzione in termini, sono soggetti a requisiti rigorosi. Il diritto alla difesa non può prescindere dal rispetto delle regole processuali. Chi intende avvalersi di questo istituto ha il preciso onere non solo di affermare di aver subito un impedimento, ma di provarlo in modo circostanziato, fornendo al giudice tutti gli elementi, in primis quelli temporali, per valutare l’ammissibilità della richiesta. Un’istanza generica o incompleta è destinata a scontrarsi con una declaratoria di inammissibilità, con tutte le conseguenze economiche che ne derivano.
Che cos’è la restituzione in termini?
È un istituto giuridico che consente a una parte di un processo di essere riammessa a compiere un’attività processuale (come un’impugnazione) anche se il termine previsto è già scaduto, a condizione che dimostri di non averlo potuto fare per caso fortuito o forza maggiore.
Perché la richiesta è stata dichiarata inammissibile in questo caso?
La richiesta è stata ritenuta inammissibile perché il ricorrente non ha né affermato né provato di averla presentata entro il termine perentorio di 10 giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza della sentenza. Non avendo indicato la data di tale conoscenza, ha impedito alla Corte ogni verifica sulla tempestività.
Quali sono le conseguenze di una dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
In base alla sentenza, quando il ricorso è dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5531 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5531 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sulla richiesta avanzata da NOME COGNOME nato in Albania il 19/6/1984
visti gli atti, il provvedimento impugnato e la richiesta; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurat generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile la richies
RITENUTO IN FATTO
Con atto del 21/6/2024, NOME COGNOME ha chiesto alla Corte di appello d Perugia la rescissione del giudicato di cui alla sentenza della Corte di appel Torino del 21/1/2020, emessa in conferma di quella pronunciata dal Tribunale d Torino il 6/12/2018, irrevocabile, sul presupposto di non aver avuto effet conoscenza del procedimento a causa dell’inerzia del difensore nominato d’uffici
La Corte di appello di Perugia, con ordinanza del 3/9/2024, ha qualifica la richiesta come istanza di restituzione in termini per appellare, ai sensi d 175 cod. proc. pen., ed ha trasmesso gli atti a questa Corte di cassazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La richiesta risulta inammissibile.
Premesso che, in effetti, la stessa contiene esplicita – in due passaggi – la domanda di restituzione in termini per impugnare la sentenza contumaciale di appello, il Collegio osserva che non è stato dedotto, né tantomeno allegato, il rispetto del termine perentorio di 10 giorni – da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore – per presentare la richiesta di cui all’art. 175 cod. proc. pen. Il Daci, peraltro, non specifica affatto quando avrebbe avuto conoscenza della sentenza di appello, quindi del giudizio contumaciale al quale non avrebbe potuto partecipare per causa a lui non imputabile, così da non consentire alcuna verifica circa il rispetto del termine perentorio appena citato.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025
Il Presidente
Deposi a in Cancelleria