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Restituzione in termini: chi decide sull’appello tardivo?

Un imputato, condannato in contumacia e difeso d’ufficio, dopo l’estradizione chiede la restituzione in termini per appellare la sentenza di primo grado. La Corte di Appello si dichiara incompetente, rimettendo gli atti alla Cassazione. La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, stabilisce che la competenza a decidere sull’istanza di restituzione in termini spetta alla Corte d’Appello, in quanto l’appello del difensore non consuma il diritto personale di impugnazione dell’imputato che non ha avuto conoscenza del processo. Di conseguenza, gli atti vengono ritrasmessi alla Corte d’Appello di Milano.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione in Termini: Il Diritto Personale all’Appello Anche Dopo l’Impugnazione del Difensore d’Ufficio

L’istituto della restituzione in termini rappresenta una garanzia fondamentale nel nostro sistema processuale penale, consentendo all’imputato di esercitare un proprio diritto anche oltre i limiti temporali stabiliti dalla legge, qualora non ne abbia avuto la possibilità per cause a lui non imputabili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 7550 del 2024, torna su questo tema cruciale, chiarendo un importante aspetto relativo alla competenza del giudice e al diritto personale dell’imputato, giudicato in assenza, di impugnare la sentenza di condanna.

I Fatti del Caso: Una Condanna in Assenza e la Richiesta di Appello

La vicenda riguarda un uomo condannato in primo grado dal Tribunale di Milano nel 2011 e, successivamente, in appello nel 2016. L’intero processo si era svolto in sua assenza (all’epoca contumacia), con la difesa affidata a un avvocato d’ufficio. L’imputato sosteneva di non aver mai avuto conoscenza del procedimento né della sentenza di condanna.

Solo nel 2023, a seguito di un’estradizione concessa dal Perù, l’uomo veniva a conoscenza della sua situazione giudiziaria. A questo punto, presentava un’istanza alla Corte d’Appello di Milano chiedendo, in via principale, la declaratoria di non esecutività della sentenza e, in subordine, la restituzione in termini per poter proporre appello avverso la sentenza di primo grado.

La Questione sulla Competenza e la Remissione alla Cassazione

Di fronte a tale richiesta, la Corte d’Appello di Milano si è dichiarata funzionalmente incompetente. Il suo ragionamento si basava sul fatto che, essendo già stata emessa una sentenza d’appello (su impugnazione del difensore d’ufficio), l’unica via astrattamente percorribile fosse il ricorso per cassazione. Di conseguenza, ha trasmesso gli atti alla Corte Suprema di Cassazione, individuandola come l’unico giudice competente a decidere.

La Decisione della Cassazione: la corretta interpretazione dell’istanza di restituzione in termini

La Corte di Cassazione ha ribaltato la prospettiva, affermando la propria incompetenza e individuando nella Corte d’Appello di Milano il giudice corretto a cui l’istanza era stata originariamente proposta. La Suprema Corte ha qualificato l’istanza non come un incidente di esecuzione volto a contestare il titolo, ma come una chiara richiesta di restituzione in termini per poter esercitare il diritto di appello avverso la sentenza di primo grado.

Le Motivazioni della Corte: Il Diritto all’Appello è Personale

Il fulcro della decisione risiede in un principio fondamentale, già sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 317 del 2009. L’impugnazione proposta dal difensore (d’ufficio o di fiducia) nell’interesse dell’imputato contumace (o assente) che non abbia avuto effettiva conoscenza del processo, non ‘consuma’ il diritto personale dell’imputato stesso a proporre, a sua volta, impugnazione.

Il diritto a partecipare al processo e a impugnare una sentenza di condanna è un diritto fondamentale, riconducibile agli articoli 24 e 111 della Costituzione e all’articolo 6 della CEDU. Questo diritto non può essere compresso dal principio della ragionevole durata del processo o dal divieto di bis in idem, specialmente quando l’imputato non è stato messo nelle condizioni di esercitarlo.

Di conseguenza, poiché l’imputato chiedeva di essere rimesso in termini per proporre appello contro la sentenza di primo grado, e poiché tale diritto non era stato precluso dall’appello del difensore d’ufficio, il giudice competente a decidere sull’ammissibilità e sul merito di tale richiesta è il giudice dell’impugnazione stessa, ovvero la Corte d’Appello.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza riafferma un principio di garanzia di eccezionale importanza. Stabilisce che la tutela del diritto di difesa dell’imputato inconsapevole prevale su formalismi procedurali. La Corte di Cassazione, applicando un principio di economia processuale, ha disposto l’immediata ritrasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Milano, affinché questa decida sull’istanza. La pronuncia chiarisce che il giudice a cui viene presentata un’impugnazione tardiva, accompagnata da una richiesta di restituzione in termini, deve prima valutare la sussistenza dei presupposti per la rimessione e, in caso positivo, procedere a giudicare nel merito dell’impugnazione stessa. Si tratta di una decisione che rafforza il diritto a un ‘giusto processo’ e garantisce che nessuno possa essere condannato definitivamente senza aver avuto la concreta possibilità di difendersi.

Qual è il giudice competente a decidere su una richiesta di restituzione in termini per proporre appello?
Il giudice competente è quello che sarebbe competente a decidere sull’impugnazione stessa. Pertanto, per una richiesta di restituzione nel termine per proporre appello avverso una sentenza di primo grado, il giudice competente è la Corte di Appello.

L’appello presentato dal difensore d’ufficio impedisce all’imputato, che non era a conoscenza del processo, di chiedere la restituzione in termini per presentare un proprio appello?
No. Secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale e ribadito dalla Cassazione, l’impugnazione proposta autonomamente dal difensore non preclude l’esercizio del diritto personale di impugnazione da parte dell’imputato, qualora quest’ultimo non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento da impugnare.

Come va interpretata un’istanza che chiede sia la non esecutività della sentenza sia la restituzione in termini per impugnare?
La Corte di Cassazione chiarisce che, se l’istanza è fondata sulla mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato e mira a ottenere un nuovo giudizio di merito, deve essere qualificata principalmente come una richiesta di restituzione in termini per proporre impugnazione, la cui competenza spetta al giudice dell’impugnazione e non al giudice dell’esecuzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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