Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7550 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 3 Num. 7550 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sulla richiesta di restituzione in termini proposta da NOME COGNOME NOME, nato in Venezuela il DATA_NASCITA
per impugnare la sentenza del 19/07/2011 del Tribunale di Milano visti gli atti; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
lette le conclusioni trasmesse nell’interesse dell’istante dall’AVV_NOTAIO, la quale ha richiesto, in via principale, la declaratoria di non esecutività della sentenza n. 9663/2011 RG Sent. emessa dal Tribunale di Milano, e confermata dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza RG 2379/2016, irrevocabile il 28.09.2016 e per effetto la revoca del titolo esecutivo di cui alla predetta sentenza con ordine di immediata remissione in libertà del ricorrente e restituzione dello stesso nel termine per proporre impugnazione/appello avverso la predetta sentenza; in via subordinata, la trasmissione degli atti per la decisione alla Corte di Appello di Milano.
RITENUTO IN FATTO
Con istanza depositata in data 12 luglio 2023 presso la Corte d’appello di Milano, NOME COGNOME NOME, condannato alla pena di anni 11 di reclusione (di cui tre successivamente condonati) per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/1990 con sent. Trib. Milano del 19 luglio 2011, confermata dalla Corte di appello di Milano con sent. n. 2379/2016, emessa in data 29 marzo 2016 e divenuta irrevocabile il 28 settembre 2016, ha richiesto la declaratoria di non esecutività della sentenza e la restituzione nel termine per poterla impugnare.
L’istante rimarca di essere venuto a conoscenza della sentenza di condanna a seguito di estradizione concessa dal Perù, con la notifica di copia della stessa avvenuta in data 20 giugno 2023, allorquando egli fu consegnato alle autorità italiane. Allegando di essere stato giudicato in contumacia, di essere stato difeso d’ufficio da avvocato con cui non aveva mai instaurato alcun rapporto ed al quale furono sempre notificati gli atti processuali a lui diretti, di non aver quindi ma avuto conoscenza del procedimento né, in particolare, della vocatio in iudicium, oltre alla declaratoria di non esecutività della sentenza l’istante ha richiesto, ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. nella versione precedente alle modifiche apportate con I. 67/2014 e nella specie pacificamente applicabile (cfr. Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259992), di essere rimesso in termini per «proporre impugnazione/appello avverso la predetta sentenza».
Con ordinanza resa in data 24 ottobre 2023, la Corte di appello di Milano, osservando che nel procedimento era stata resa sentenza di appello a seguito del gravame proposto dal difensore di ufficio avverso la pronuncia di condanna di primo grado, ritenendosi funzionalmente incompetente a decidere sull’istanza, ha trasmesso gli atti a questa Corte Suprema, individuata come competente, ai sensi dell’art. 175, comma 4, ult. parte, cod. proc. pen., quale giudice dell’unica impugnazione ancora ritenuta astrattamente possibile, vale a dire il ricorso per cassazione.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha concluso per l’accoglimento del ricorso per restituzione in termini, mentre la difesa del ricorrente, depositando memoria conclusionale, ha concluso come in premessa.
In tale memoria si allega innanzitutto l’erroneità della ritenuta incompetenza funzionale della Corte di appello di Milano per violazione dell’art. 670, comma 3, cod. proc. pen., sul rilievo che l’istante aveva altresì richiesto che fosse dichiarata la non esecutività della sentenza divenuta irrevocabile aveva quindi correttamente adito il giudice dell’esecuzione, da individuarsi appunto nella Corte di appello per
aver questa riformato la sentenza di primo grado nei riguardi di altri coimputati. Trattandosi, dunque, di istanza di restituzione nel termine per impugnare formulata unitamente a tale richiesta, la competenza a decidere sarebbe stata del giudice dell’esecuzione, il quale avrebbe prima dovuto verificare la formazione di valido titolo esecutivo e, in particolare, se fosse valida la notificazione dell’estratt contumaciale della sentenza effettuata al difensore ai sensi dell’art. 169 cod. proc. pen. Tale valutazione – si lamenta – non è stata fatta e, in ogni caso, il giudice dell’esecuzione avrebbe comunque dovuto poi decidere sulla ulteriore richiesta di restituzione nel termine per impugnare.
In secondo luogo, evidentemente ponendosi nella prospettiva della competenza della Corte di cassazione a decidere sull’istanza e avendo a mente quanto al proposito di recente statuiti da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 10409 del 16/01/2020, COGNOME, Rv. 278773), richiamando i principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sulla necessità di garantire l’esercizio del diritto d’impugnazione all’imputato giudicato in contumacia, si sottolinea come la necessità di rendere effettivo tale diritto dovrebbe condurre a ritenere che il breve termine di trenta giorni previsto dall’art. 175, comma 2 bis, cod. proc. pen. nella versione qui applicabile debba ritenersi soddisfatto, in applicazione dell’art. 583, comma 2, cod. proc. pen., al momento del deposito dell’istanza di restituzione in termini e non già allorquando questa pervenga al giudice competente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va premesso che non si è dato seguito all’istanza di trattazione orale inizialmente avanzata dal difensore di COGNOME NOME poiché questa Corte ha proceduto in camera di consiglio ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen. Per consolidato e risalente orientamento, a meno che non sia in corso un procedimento principale con rito camerale, nel qual caso si procede nelle medesime forme, per la decisione dell’istanza di restituzione nel termine non va infatti seguita la procedura camerale partecipata per la mancanza di un espresso richiamo nell’art. 175, comma quarto, cod. proc. pen. alle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006, COGNOME, Rv. 233418; più di recente, Sez. 4, n. 4660 del 16/01/2015, COGNOME, Rv. 262035).
Nella memoria difensiva conclusiva, peraltro, lo stesso difensore non ha insistito per la trattazione orale e ha esercitato il contraddittorio in forma cartolar ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.
Venendo al merito, reputa questa Corte Suprema di non essere competente a decidere sull’istanza, essendo la stessa stata correttamente proposta alla Corte di appello di Milano.
Si ritiene, in particolare, che, al di là della generica richiesta volta a fa “dichiarare la non esecutività della sentenza” – non supportata da alcuna argomentazione in diritto – il tenore dell’istanza presentata il 12 luglio 2023 da NOME COGNOME AVV_NOTAIO imponga di qualificarla come proposta per ottenere la restituzione nel termine per poter impugnare, con il mezzo dell’appello, la sentenza di condanna contumaciale resa in primo grado dal Tribunale Milano il 19 luglio 2011, essendo peraltro evidente l’interesse dell’imputato contumace ad ottenere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale a norma dell’art. 603, comma 4, cod. proc. pen., nel testo, qui applicabile, vigente prima dell’abrogazione intervenuta con art. 11 I. 28 aprile 2014, n. 67.
Quanto al primo profilo, il Collegio rileva la manifesta infondatezza della tesi, argomentata, ex post, soltanto con la memoria difensiva depositata avanti a questa Corte, circa il fatto che la richiesta si sarebbe dovuta ritenere come proposta alla Corte di appello quale giudice dell’esecuzione ex art. 670, comma 3, cod. proc. pen. Non soltanto questa disposizione non è mai stata evocata nell’originaria istanza, ma la stessa non lamenta alcuna causa sostanziale di non esecutività del titolo, sicché comprensibilmente la Corte territoriale non ha sul punto preso posizione, ritenendo di non essere stata adita quale giudice dell’esecuzione.
Ed invero, le disposizioni che disciplinano la competenza del giudice dell’esecuzione in ordine all’esistenza ed alla corretta formazione del titolo esecutivo si distinguono da quelle in tema di restituzione nel termine, che presuppongono, invece, la rituale formazione del titolo esecutivo e la sua mancata conoscenza da parte dell’interessato. Le prime sono dunque invocabili quando si lamenti l’omessa notifica al condannato – nel rispetto della disciplina processuale – dell’estratto contumaciale della sentenza (Sez. 5, n. 25556 del 26/04/2023, Koiaj, Rv. 284678), o, comunque, la nullità od inesistenza della notificazione di atti che, come l’avviso di deposito della sentenza di cui all’art. 548, comma 2, cod. proc. pen., impediscano la regolare formazione del titolo esecutivo (Sez. 1, n. 25237 del 04/06/2021, C., Rv. 281547). Nel caso di specie ciò non è accaduto.
Nell’istanza, difatti, si dà atto che tutte le notifiche degli atti processuali compresa, si precisa a pag. 3, la notificazione dell’estratto contumaciale della sentenza – sono state regolarmente effettuate presso il difensore. Dalla non contestata sentenza di appello prodotta a questa Corte unitamente alla memoria difensiva, peraltro, si apprende che NOME COGNOME NOME è stato
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dichiarato latitante e che le notificazioni nei suoi confronti sono avvenute ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen., sicché l’istante non ha mai allegato che nel processo si siano verificate cause di nullità o inesistenza che abbiano impedito la regolare formazione del titolo. Irrilevanti, al proposito, sono invece le uniche ragioni di doglianza dedotte, con cui si è rappresentata l’ignoranza della pendenza del processo e la mancata conoscenza della vocatio in iudicium, come pure eventuali nullità assolute ed insanabili verificatesi nel giudizio celebrato in absentia -nel caso di specie, peraltro, neppure allegate – non deducibili in sede di esecuzione ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. in ragione dell’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza (cfr. Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280931; Sez. 1, n. 16958 del 23/02/2018, COGNOME, Rv. 272604).
4. Avendo riguardo, invece, alle uniche sostanziali doglianze proposte nell’istanza rivolta alla Corte meneghina – tutte ricondotte alla argomentata richiesta di restituzione nel termine per proporre, come si è detto, “impugnazione/appello” ex art. 175 cod. proc. pen. avverso la sentenza del Tribunale, confermata dalla Corte di appello, per mancata conoscenza del provvedimento – osserva il Collegio come l’istanza restitutoria debba essere interpretata, e vada in questa sede qualificata, come volta ad appellare la sentenza di primo grado.
Depongono in questo senso il (pur non chiarissimo, ma certamente esplicitato) riferimento alla proposizione dell’impugnazione nella forma dell’appello e, soprattutto, il richiamo (v. pag. 4 dell’istanza) all’autonomo diritto d’impugnazione spettante personalmente all’imputato, nonostante l’intervenuto appello proposto dal difensore d’ufficio, ai sensi sella sent. Corte cost. n. 317 del 2009, espressamente invocata nell’istanza. Diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello nell’ordinanza con cui la stessa ha ritenuto la propria incompetenza funzionale a decidere sulla richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di condanna trasmettendola per competenza a questa Corte Suprema sul presupposto che la decisione non fosse più appellabile ma soltanto ricorribile per cassazione, il gravame di merito proposto dal difensore di ufficio nell’esercizio dell’autonomo diritto d’impugnazione al medesimo riservato non ha infatti consumato il diritto di appello personale dell’imputato.
Ed invero, prendendo atto del diritto vivente formatosi a seguito della sentenza di questa Corte, Sez. U, n. 6026 del 31/01/2008, COGNOME, Rv. 238472-01 – che aveva affermato il principio giusta il quale l’impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse dell’imputato contumace (nella specie latitante), preclude a quest’ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la possibilità di ottenere la restituzione nel
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termine per proporre a sua volta impugnazione – la Corte costituzionale, con la richiamata sent. n. 317 del 4 dicembre 2009, resa in una vicenda analoga a quella di specie, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui non consente la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. Mentre le Sezioni unite avevano ritenuto che l’astratta configurabilità di una duplicazione di impugnazioni, promananti le une dal difensore, e le altre dall’imputato, rappresenterebbe una opzione incompatibile con l’esigenza di assegnare una “ragionevole durata” al processo, sulla base di quanto imposto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 cedu, la Corte costituzionale ha invece escluso che i principi dell’unicità del diritto all’impugnazione e del divieto di bis in idem possano giustificare la limitazione di un diritto fondamentale come quello, del contumace inconsapevole, di poter partecipare al processo ed impugnare in grado di merito la sentenza di condanna emessa in absentia. La sent. n. 317/2009, in particolare, afferma che detto diritto, riconducibile all’art. 111 Cost., quanto alla garanzia del contraddittorio, ed all’art. 24, secondo comma, Cost. quanto al diritto di difesa, letti alla luce dell’art. 6 cedu e della giurisprudenza al proposito resa dalla Corte di Strasburgo, non può essere bilanciato con il principio di ragionevole durata del processo, poiché ciò che rileva, a quest’ultimo fine, è soltanto la durata di un processo che sia «giusto» alla luce della tutela dei diritti fondamentali.
Salvo il caso che l’imputato abbia avuto conoscenza dell’esistenza del provvedimento da impugnare e che risulti il conferimento da parte dello stesso di specifico incarico al difensore di esercitare anche in sua vece il diritto di impugnazione (cfr. Sez. 2, n. 3792 del 11/09/2019, dep. 2020, Rv. 277968-02; Sez. F, n. 41158 del 25/08/2015, E. e aa., Rv. 264884), l’esercizio personale di quest’ultimo non è dunque precluso dal fatto che l’impugnazione sia stata autonomamente proposta dal difensore.
Il giudice dell’impugnazione competente per la richiesta di restituzione nel termine ad impugnare, pertanto, è il giudice d’appello correttamente investito dall’istante.
Analogamente a quanto effettuato dalla Corte meneghina GLYPH che, nel trasmettere gli atti a questa Corte, pur non richiamandolo, ha evidentemente fatto applicazione del principio ricavabile dall’art. 568, comma 5, ultima parte cod. proc. pen. – gli atti vanno dunque con ordinanza ritrasmessi alla Corte di appello di Milano. Benché sia discussa l’operatività di tale modus procedendi per atti diversi
da quelli d’impugnazione (cfr., con particolare riguardo all’incidente d’esecuzione, in senso favorevole Sez. 1, n. 25129 del 17/06/2010, Doci, Rv. 247730 e, in senso contrario, Sez. 1, n. 38628 del 01/07/2010, COGNOME, Rv. 248723), l’applicazione di quel principio nel caso di specie s’impone perché in prima battuta seguito dal giudice a quo, oltre che in ragione del quadro sistematico alla luce del quale la Corte di cassazione, in coerenza con la disciplina in tema di competenza, con i principi desumibili dagli artt. 620 e 621 cod. proc. pen. e con quelli, più generali, di economia processuale e di ragionevole durata del processo, deve disporre la trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria ritenuta competente (cfr. Sez. 5, n. 19537 del 28/02/2022, Costin, Rv. 283097). Del resto, osserva il Collegio che, trattandosi di disposizione di carattere processuale, non è vietata l’applicazione analogica dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. e questa va ragionevolmente affermata quando, come nel caso in esame, sia evidente la sussistenza di una eadem ratio, trattandosi di istanza diretta ad ottenere la restituzione in termini per proporre impugnazione subordinata, come avviene per gli atti di quest’ultima natura, al rispetto di un termine di decadenza particolarmente stringente. Va al proposito rammentato che questa Corte nella sua più autorevole composizione ha già valorizzato la natura strumentale dell’istanza di restituzione nel termine rispetto alla successiva impugnazione per affermare l’interpretazione in via analogica delle disposizioni a quest’ultimo proposito previste (Sez. U, n. 42043 del 18/05/2017, Puica, Rv. 270726, resa con riguardo all’applicazione degli artt. 582 e 583 cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Qualificata l’istanza presentata in data 12.7.2023 come diretta ad ottenere la restituzione nel termine proporre appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano del 19.7.2011, dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Milano. Così deciso il 30 novembre 2023.