Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12670 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12670 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 08/02/1953 avverso l’ordinanza della Corte di appello di Napoli del 03/07/2024; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 d 2020, dal Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso p l’inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, del 3 luglio 2024, la Corte di appello di Napol ha rigettato l’istanza, presentata nell’interesse di COGNOME NOME, restituzione del termine per proporre ricorso per Cassazione avverso l’ordinanz emessa dalla seconda sezione penale della Corte di appello di Napoli all’esi
dell’udienza del 1 dicembre 2021 nel procedimento di esecuzione n. 644/21 SIGE App..
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata con restituzione del termine invocato.
2.1. Con un unico motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett b, cod proc pen, in relazione gli artt 127 e 585 cod proc pen., ex art. 606, comma 1, lett c, cod proc pen, in relazione agli artt. 178 e 179 cod proc pen, ex art. 606, comma 1, lett e, cod proc pen, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Osserva la difesa, a fronte di quanto ritenuto dalla Corte di appello, che ha preso atto della mancata ricezione della notifica del deposito dell’ordinanza del 1 dicembre 2021 da parte del difensore di COGNOME ma ha ritenuto di individuare l’inizio della decorrenza del termine per presentare il ricorso per cassazione a partire dall’effettiva conoscenza del provvedimento da parte del predetto difensore, verificatasi il 12 luglio 2023, l’erroneità di siffatto assunto poiché l comunicazione dell’avvenuto deposito era stata erroneamente effettuata al difensore di ufficio precedentemente nominato, sicché erano comunque già decorsi i quindici giorni utili per l’impugnazione del provvedimento, divenuto così irrevocabile.
Con la conseguenza che solo un provvedimento del giudice dell’esecuzione, quale quello invocato, avrebbe potuto, revocata la declaratoria di irrevocabilità, consentire la proposizione del ricorso per cassazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1. Attesta la Corte di appello di Napoli la presenza del difensore del COGNOME, avv COGNOME all’udienza del 1 dicembre 2021, tenutasi nel procedimento di esecuzione n. 644/21 SIGE App. nelle forme tipiche del rito camerale.
Attesta, altresì, come pure rimarcato nel ricorso, il mancato avviso al difensore del deposito dell’ordinanza emessa dalla Corte territoriale nel dicembre 2021, evenienza di cui veniva a conoscenza quando “per mero scrupolo difensivo, visto il notevole decorso del tempo, veniva effettuato un accertamento presso la Corte di appello di Napoli, 2^ sezione penale, in data 12/07/2023, data nella quale si apprendeva che la Corte già nel dicembre del 2021 aveva sciolto la riserva”, così apprendendo che la stessa era stata effettuata a difensore non più in carica, perché sostituito, e che, peraltro, non aveva effettuato alcuna comunicazione alla parte.
1.2. Risulta, dunque, indiscutibilmente, per stessa attestazione della difesa dell’odierno ricorrente, al 12 luglio 2023 la data di inizio del decorso del termine, di giorni 15, per la impugnazione.
Termine entro il quale la difesa avrebbe potuto correttamente proporre impugnazione, e che, invece, ha lasciato perimere in assenza di valida impugnazione di quella ordinanza, ormai nota dal 12 luglio 2023, proponendo, invece, irragionevolmente, istanza di restituzione nel termine oggettivamente non decorso (e ciò per il difetto di valida notifica ai soggetti che la avrebbero dovuta ricevere), peraltro oltre il decimo giorno utile per proporla, a mente dell’art. 175, comma 1, cod proc pen.
L’istanza in parola, poi, essendo intesa alla restituzione del termine per impugnare un provvedimento ricorribile per cassazione, avrebbe dovuto essere presentata alla stessa Corte, in applicazione analogica dell’art., 175 c. 4 cod proc pen.
La rituale individuazione del giudice competente è un requisito di ammissibilità dell’istanza e, non essendo la restituzione nel termine equiparabile ad un’impugnazione in senso tecnico, non sussisteva un obbligo della Corte d’appello di disporre la trasmissione degli atti alla Corte, come si evince da numerose pronunce «L’istanza di restituzione nel termine proposta dall’imputato dichiarato assente a norma dell’art. 420-bis cod. proc. pen. non può essere riqualificata nella richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., perché il principio di conservazione di cui all’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., è applicabile ai soli rimedi qualificati come impugnazioni dal codice di rito, tra i quali non rientra la restituzione nel termine» (Sez. 4, n. 863 del 2022, Rv. 28256601; Conf. Sez. 3, n. 33647 del 2022, rv. 283474).
Né può seguirsi la tesi difensiva allorquando denuncia l’irritualità del provvedimento qui impugnato nella misura in cui avrebbe trascurato la necessità di rimuovere l’esecutività dell’ordinanza originaria. Il tema non formava oggetto dell’incidente di esecuzione (siccè non potrebbe essere fatto valere in questa sede). In ogni caso deve ritenersi comunque manifestamente infondato, posto che il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di revoca della sospensione dell’ordine di demolizione avrebbe potuto essere proposto dal difensore tempestivamente a decorrere dalla data di conoscenza del provvedimento secondo il combinato disposto degli artt. 666 comma 6, e 585 cod proc pen, evidenziando in quel contesto la tardività della rituale notifica.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024