Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19709 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19709 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Bari il 28/05/1982 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso l ‘ordinanza emessa in data 07/11/2024 dalla Corte di appello di Bari, quarta sezione penale
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte depositate in data 24/02/2025 con le quali il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte depositate in data 25/03/2025 dal difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l ‘ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Bari ha rigettato l’istanza con la quale NOME COGNOME aveva chiesto la rimessione in termini per impugnare la sentenza emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Bari in data 14/06/2023 che lo aveva condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro 800,00 di multa per il reato di cui all’art. 646 cod. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen, la violazione degli artt. 125, comma 3 e 175, commi 1 e 2.1., del codice di rito, il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata , in quanto assente o comunque apparente, con riferimento alla insussistenza dei presupposti della rimessione in termini e il travisamento dei dati documentali in atti.
Rileva la difesa ricorrente che COGNOME non ha mai avuto notizia dell’udienza del giudizio di primo grado celebrata in data 26/04/2023 e di quella successiva del 14/06/2023 all’esito della quale era stata pronunciata sentenza di condanna nei suoi confronti, sicchè non ha potuto, incolpevolmente, proporre impugnazione avverso tale pronuncia.
L’ultima udienza a lui nota era quella tenuta il giorno 08/02/2023 alla quale aveva partecipato l’ allora difensore di fiducia e nel corso della quale era stato disposto rinvio all’udienza del 26/04/2025.
Non vi è prova in atti che il legale dell’epoca (avv. COGNOME abbia indicato a Di Bitonto una data di rinvio errata, ovvero quella del 26/04/2025 in luogo del 26/04/2023, giorno in cui si era effettivamente tenuta l’udienza in prosecuzione di quella del 08/02/2023.
Nell’incarto processuale non si rinviene il verbale (né manoscritto, né stenotipico) dell’udienza celebrata il 26/04/2023, sicchè non può escludersi che il Tribunale, all’atto di rinviare il processo , abbia per errore comunicato la data del 26/04/2025, come udito dall’avv. COGNOME anziché quella del 26/04/2023.
2.2. Con un secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. c) ed e) cod. proc. pen, la violazione degli artt. 125, comma 3 e 420bis , commi 2 e 3, del codice di rito, il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata e il travisamento dei dati documentali in atti anche sotto il diverso profilo relativo alla dichiarazione di assenza di COGNOME nel giudizio di primo grado.
Pur a fronte di un decreto di irreperibilità -emesso ai fini della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini e del decreto di citazione a giudizio -il
Tribunale aveva ritenuto che COGNOME fosse a conoscenza del processo a suo carico poiché aveva nominato un difensore di fiducia.
Tale nomina, tuttavia, era inidonea a dimostrare tale conoscenza: invero, dal semplice esame di tale atto risulta che si tratta di un modulo prestampato (con inseriti a penn a il nominativo dell’imputato e la sola data del 08/06/2022 ) che non reca alcun numero di procedimento.
Tanto sarebbe stato sufficiente per ritenere la sussistenza dei presupposti dell’istituto di cui all’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen. che la Corte di appello ha, invece, escluso, in aperta violazione di legge.
Di Bitonto non ha avuto conoscenza né del processo, né del suo epilogo con la pronuncia di una sentenza di condanna avverso la quale, senza sua colpa, non ha potuto proporre impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile e ciò per l’assorbente ragione che l’istanza di restituzione dei termini è stata tardivamente proposta, come affermato, in via preliminare, dalla Corte di appello con argomentazioni aderenti ai dati contenuti nel fascicolo processuale con le quali il ricorrente non si confronta, obliterando totalmente il preliminare profilo di intempestività della richiesta.
L’ordinanza impugnata (pag. 2) evidenzia che l’istanza de qua era stata depositata in data 5 settembre 2024 rappresentando che l’imputato aveva a ppreso dell’esistenza della sentenza di condanna soltanto in data 11 luglio 2024 (e cioè al momento della notifica del relativo ordine di carcerazione); che, tuttavia, tale conoscenza doveva farsi risalire ad epoca anteriore al 2 maggio 2024, data nella quale COGNOME, tramite altro difensore di fiducia, aveva presentato identica richiesta di restituzione nel termine relativa alla medesima pronuncia.
Tale assunto è corretto atteso che effettivamente in tale precedente richiesta (formulata contestualmente ad appello tardivo ed allegata al ricorso qui in esame ove si sostiene non essere mai stata decisa, si veda il documento n. 5) veniva rappresentato che COGNOME Bitonto aveva appreso della condanna in questione addirittura il giorno 2 aprile 2024 (pag. 2), con la conseguenza che il 5 settembre (data di deposito dell ‘ulteriore istanza da cui è scaturito il provvedimento impugnato) era ormai ampiamente decorso il termine decadenziale di 30 giorni previsto dall’art. 175, comma 2 -bis , cod. proc. pen.
L’accertata tardività, esime questa Corte dall’esame delle doglianze prospettate dal ricorrente con riferimento alla delibazione operata dalla Corte di appello in ordine anche alla infondatezza, nel merito, della richiesta.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 03/04/2025