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Restituzione dei termini: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un’istanza di restituzione dei termini per impugnare una sentenza di condanna. La decisione si fonda sulla tardività della richiesta, poiché l’imputato l’ha presentata ben oltre il termine perentorio di 30 giorni decorrente dal momento in cui aveva avuto effettiva conoscenza del provvedimento, come dimostrato da una precedente istanza depositata mesi prima.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione dei Termini: La Tempestività è un Requisito Inderogabile

Nel processo penale, il rispetto dei termini è fondamentale. La possibilità di richiedere la restituzione dei termini per presentare un’impugnazione è un’ancora di salvezza per chi, senza colpa, non ha potuto agire tempestivamente. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ci ricorda che anche questo strumento è soggetto a scadenze rigorose, la cui violazione rende l’istanza irrimediabilmente inammissibile.

I Fatti del Caso: Una Condanna Sconosciuta e un Ricorso Tardivo

Un imputato veniva condannato in primo grado per il reato di appropriazione indebita. Sostenendo di non aver mai avuto notizia delle udienze decisive né della sentenza di condanna, presentava un’istanza per la restituzione dei termini al fine di poter proporre appello. A suo dire, un errore nella comunicazione della data di rinvio da parte del precedente difensore lo aveva incolpevolmente tenuto all’oscuro degli sviluppi processuali.

La Corte di appello rigettava la richiesta e l’imputato ricorreva per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Egli insisteva sul fatto di non aver potuto, senza sua colpa, esercitare il proprio diritto di difesa.

L’Istanza di Restituzione dei Termini e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, senza nemmeno entrare nel merito delle doglianze relative alla presunta mancata conoscenza del processo. Il motivo della decisione è puramente procedurale, ma di importanza capitale: la tardività dell’istanza stessa.

L’articolo 175, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce che la richiesta di restituzione dei termini deve essere presentata entro 30 giorni dal momento in cui l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento. Questo termine è definito “decadenziale”, il che significa che il suo spirare comporta la perdita del diritto di presentare l’istanza.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha rilevato una circostanza decisiva emersa dagli atti processuali. L’imputato, nel presentare l’istanza che ha dato origine al provvedimento impugnato (depositata il 5 settembre 2024), aveva affermato di aver saputo della condanna solo l’11 luglio 2024. Tuttavia, la Corte ha scoperto che lo stesso imputato, tramite un altro difensore, aveva già presentato una precedente e identica istanza il 2 maggio 2024. In quel primo atto, egli dichiarava di essere venuto a conoscenza della sentenza di condanna il 2 aprile 2024.

Questo fatto ha svelato l’inconsistenza della tesi difensiva e, soprattutto, ha fissato un punto fermo: la conoscenza effettiva della sentenza risaliva, per sua stessa ammissione, al 2 aprile 2024. Di conseguenza, il termine di 30 giorni per chiedere la restituzione era ampiamente scaduto quando è stata presentata l’istanza del 5 settembre. L’accertata tardività ha assorbito ogni altra questione, rendendo inutile l’analisi dei motivi di ricorso. La Corte ha concluso che la richiesta era irricevibile, confermando il principio che il mancato rispetto dei termini procedurali preclude l’esame nel merito.

Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio cardine del diritto processuale: la certezza dei rapporti giuridici si fonda anche sul rispetto inderogabile dei termini. L’istituto della restituzione dei termini è un correttivo eccezionale, non uno strumento per sanare negligenze o ritardi. La decisione sottolinea che l’onere della prova grava su chi chiede di essere rimesso in termini, e tale prova deve riguardare non solo l’impedimento originario, ma anche la tempestività della richiesta stessa. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, il messaggio è chiaro: la conoscenza di un atto processuale fa scattare un cronometro che non ammette ritardi, pena la perdita irrimediabile dei propri diritti.

Perché il ricorso per la restituzione dei termini è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché l’istanza è stata presentata tardivamente, ovvero ben oltre il termine perentorio di 30 giorni che decorre dal momento in cui l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento da impugnare.

Qual è il momento da cui decorre il termine per chiedere la restituzione?
Il termine di 30 giorni inizia a decorrere dal giorno in cui l’interessato ha avuto conoscenza effettiva del provvedimento. Nel caso specifico, la Corte ha stabilito tale momento basandosi su una precedente istanza in cui lo stesso imputato ammetteva di conoscere la sentenza da una data ben anteriore a quella dichiarata nel ricorso tardivo.

La tardività dell’istanza impedisce l’esame nel merito dei motivi del ricorso?
Sì. L’accertata tardività della richiesta di restituzione dei termini è una ragione di inammissibilità che assorbe e rende superfluo l’esame di qualsiasi altra doglianza, anche se potenzialmente fondata. È un ostacolo procedurale insuperabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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