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Restituzione controvalore: la procedura corretta

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un terzo per la restituzione del controvalore di oro sequestrato e venduto. La Corte chiarisce che la procedura corretta non è l’istanza di dissequestro, ma quella prevista dal Testo Unico Antimafia per la tutela dei terzi, da avviare presso l’amministratore giudiziario.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione Controvalore di Beni Sequestrati: La Via Corretta Indicata dalla Cassazione

Quando un bene viene sequestrato nell’ambito di un procedimento penale e successivamente venduto, come può un terzo in buona fede ottenerne il risarcimento? La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, fornisce un chiarimento cruciale sulla procedura da seguire, sottolineando l’importanza di adire le vie legali corrette per la restituzione controvalore e dichiarando inammissibile un ricorso che ha sbagliato percorso.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda la richiesta di una persona, terza rispetto al reato contestato, che aveva depositato una quantità di oro presso una società. Tale oro veniva successivamente sequestrato nell’ambito di un’indagine penale. L’amministratore giudiziario, autorizzato dal giudice, procedeva alla vendita dell’oro, ricavandone una somma cospicua (oltre 3,3 milioni di euro) destinata al Fondo Unico Giustizia (FUG).

La depositaria, sostenendo di essere terza in buona fede, ha quindi richiesto la restituzione non più dell’oro (ormai alienato), ma del suo equivalente monetario. Le sue istanze, presentate al Giudice per le Indagini Preliminari e poi al Tribunale del Riesame, sono state respinte perché considerate ripetitive di questioni già decise e, soprattutto, perché proposte attraverso uno strumento processuale errato. La vicenda è quindi approdata in Corte di Cassazione.

La Decisione sulla Restituzione Controvalore e la Procedura

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il punto centrale della sentenza non è la negazione del diritto del terzo a far valere le proprie ragioni, ma l’individuazione della procedura corretta per farlo.

La Corte ha stabilito che, una volta che il bene sequestrato è stato liquidato, la pretesa del terzo non può più essere soddisfatta con la restituzione del bene stesso (in forma specifica), ma si trasforma in una richiesta di restituzione controvalore. Questa richiesta, però, non può essere avanzata con gli strumenti tipici della fase cautelare penale, come l’istanza di dissequestro o l’appello cautelare.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha basato la sua decisione sulla specifica disciplina normativa che regola la gestione dei beni sequestrati e la tutela dei terzi. La ratio decidendi si fonda sui seguenti punti chiave:

1. Rinvio al Testo Unico Antimafia: L’art. 104-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale stabilisce che per la tutela dei terzi e i rapporti con la liquidazione giudiziaria si applicano le norme del Testo Unico Antimafia (D.Lgs. 159/2011).
2. La Procedura Corretta: La procedura corretta, delineata dagli articoli 52 e seguenti del Testo Unico Antimafia, prevede che il terzo che vanta un diritto sul bene sequestrato e venduto debba presentare la propria domanda di ammissione al passivo direttamente all’amministratore giudiziario.
3. Il Giudice Competente: In caso di controversia sulla richiesta, il giudice competente a decidere non è quello del procedimento penale (G.i.p. o Tribunale del Riesame), ma il giudice dell’attuazione della misura, che opera secondo le regole della liquidazione giudiziaria.
4. Inammissibilità del Ricorso: Il ricorso della parte è stato ritenuto inammissibile perché ha continuato a riproporre le stesse questioni nelle sedi sbagliate (appello cautelare e ricorso per cassazione), senza confrontarsi con la vera ragione del rigetto: l’aver scelto una via procedurale non prevista dalla legge per quel tipo di pretesa.

In sostanza, la Corte ha chiarito che l’interesse ad agire della ricorrente non era negato in assoluto, ma era stato esercitato in modo errato. L’interesse a chiedere la restituzione del controvalore è legittimo, ma deve essere perseguito “secondo le regole e le procedure stabilite”, che in questo caso sono quelle della liquidazione gestita dall’amministratore giudiziario.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre un’importante lezione pratica per chiunque si trovi nella posizione di terzo creditore o proprietario di beni coinvolti in un sequestro penale. Una volta che il bene è stato alienato, insistere con istanze di dissequestro è un errore procedurale che porta all’inammissibilità. La strada maestra è quella indicata dal Testo Unico Antimafia: dialogare con l’amministratore giudiziario e, se necessario, con il giudice dell’esecuzione della misura. Questa pronuncia ribadisce la netta separazione tra la fase di accertamento penale e la fase gestionale-liquidatoria dei beni sequestrati, indirizzando i terzi verso il corretto interlocutore e la corretta procedura per tutelare efficacemente i propri diritti patrimoniali.

Qual è la procedura corretta per un terzo che vuole ottenere la restituzione del controvalore di un bene sequestrato e già venduto?
La procedura corretta, come indicato dalla Corte, non è l’istanza di dissequestro al giudice penale, ma la presentazione di una domanda all’amministratore giudiziario. In caso di contenzioso, la competenza è del giudice dell’attuazione della misura, secondo le regole previste dal Testo Unico Antimafia (D.Lgs. 159/2011).

Perché il ricorso alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la parte ricorrente ha continuato a riproporre le stesse questioni già decise, senza mai affrontare il vero motivo del rigetto delle istanze precedenti, ovvero l’aver utilizzato uno strumento processuale (l’appello cautelare) non corretto per la richiesta di restituzione del controvalore di un bene già liquidato.

Un terzo può chiedere la restituzione di un bene sequestrato se questo è già stato venduto?
No, non è più possibile la restituzione del bene specifico (restituzione in forma specifica) se questo è stato legittimamente venduto dall’amministratore giudiziario. La pretesa del terzo si trasforma in un diritto a ottenere il controvalore, ovvero l’equivalente in denaro, seguendo la procedura di liquidazione giudiziaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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