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Restituzione beni sequestrati: la via corretta per i terzi

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un soggetto terzo che chiedeva la restituzione di oro, oggetto di un sequestro preventivo. La sentenza chiarisce che la procedura corretta per la restituzione beni sequestrati non è l’appello cautelare, ma la richiesta all’amministratore giudiziario e, in caso di contenzioso, al giudice dell’esecuzione, secondo le norme del Codice Antimafia.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione Beni Sequestrati: La Cassazione Indica la Procedura Corretta

Quando un soggetto terzo, estraneo a un reato, vede i propri beni coinvolti in un sequestro preventivo, si apre una strada processuale complessa e piena di insidie. La richiesta di restituzione beni sequestrati deve seguire canali ben precisi, pena l’inammissibilità dell’istanza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 30417/2025) offre un chiarimento fondamentale su quale sia il percorso corretto da intraprendere, distinguendo nettamente le procedure a seconda della fase in cui si interviene.

I Fatti del Caso: Il Sequestro di Oro e la Richiesta del Terzo

Il caso riguarda una persona che sosteneva di essere depositaria di una quantità di oro presso una società, tramite un prodotto finanziario denominato “conto tesoro”. Tali beni, insieme ad altri asset della società, venivano sottoposti a sequestro preventivo finalizzato alla confisca. La persona, ritenendosi terza in buona fede, presentava un’istanza per ottenere il dissequestro dell’oro o, in alternativa, la restituzione del suo controvalore in denaro.

L’istanza veniva però rigettata sia dal Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) sia, in sede di appello, dal Tribunale del riesame. Quest’ultimo dichiarava l’appello inammissibile, sottolineando che le questioni sollevate erano già state trattate in un precedente provvedimento e che non erano stati presentati fatti nuovi. Inoltre, i giudici evidenziavano l’impossibilità di distinguere materialmente e contabilmente l’oro della ricorrente da quello della società, impedendone di fatto la restituzione.

La Decisione della Cassazione: Il Percorso Procedurale Errato

La ricorrente si rivolgeva quindi alla Corte di Cassazione, contestando la decisione del Tribunale del riesame. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza delle decisioni dei giudici di merito e cogliendo l’occasione per delineare con precisione la procedura da seguire in questi casi.

Il punto centrale della decisione è che la parte ricorrente ha utilizzato uno strumento processuale errato. L’appello cautelare, infatti, non è la sede adatta per far valere le proprie ragioni una volta che il sequestro è in una fase avanzata di gestione, soprattutto quando i beni sono già stati liquidati dall’amministratore giudiziario.

Le Motivazioni: Perché l’Appello Non è la Via Corretta per la restituzione beni sequestrati?

La Corte ha fondato la sua decisione su una chiara ratio decidendi. Innanzitutto, ha rilevato che il ricorso si limitava a riproporre le medesime argomentazioni già respinte in precedenza, senza confrontarsi con le motivazioni dei provvedimenti impugnati. Questo comportamento processuale è di per sé causa di inammissibilità.

Ma l’aspetto cruciale risiede nell’individuazione della corretta procedura. L’articolo 104-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale stabilisce che l’esecuzione delle misure cautelari reali, come il sequestro, deve seguire le norme previste dal Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011) per la tutela dei terzi.

Questo significa che, una volta che i beni sono stati venduti dall’amministratore giudiziario – come nel caso di specie, dove l’oro era stato alienato ricavandone una somma cospicua – la pretesa del terzo non può più essere soddisfatta con la restituzione fisica del bene. La richiesta si trasforma in una pretesa sul controvalore in denaro. Tale richiesta deve essere presentata:

1. All’amministratore giudiziario, che gestisce il patrimonio sequestrato.
2. In caso di controversia o diniego, al giudice dell’attuazione della misura, che procederà secondo le regole specifiche previste dagli articoli 52 e seguenti del Codice Antimafia.

L’errore della ricorrente è stato insistere con l’appello cautelare, una via pensata per contestare il sequestro nella sua fase iniziale, e non per rivendicare diritti creditori sul ricavato della vendita dei beni.

Le Conclusioni: Quali sono le implicazioni pratiche per i terzi?

La sentenza è un monito importante per tutti i soggetti terzi che si trovano nella sfortunata posizione di veder coinvolti i propri beni in un sequestro penale. Le implicazioni pratiche sono chiare: è essenziale individuare lo strumento processuale corretto in base alla fase del procedimento. Insistere su una via errata, come l’appello cautelare quando la richiesta riguarda ormai il controvalore di beni liquidati, porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente spreco di tempo e risorse, oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali.

Perché il ricorso del terzo è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché la ricorrente ha utilizzato uno strumento processuale errato (l’appello cautelare) e ha riproposto le stesse questioni già decise in precedenza senza confrontarsi con le motivazioni dei giudici, che avevano già respinto la sua richiesta.

Qual è la procedura corretta che un terzo in buona fede deve seguire per ottenere la restituzione di beni sequestrati che sono già stati venduti?
La procedura corretta, indicata dall’art. 104-bis disp. att. c.p.p. e dal Codice Antimafia, prevede che la richiesta per il controvalore in denaro dei beni venduti debba essere presentata prima all’amministratore giudiziario. In caso di controversia, la questione deve essere portata davanti al giudice dell’attuazione della misura cautelare.

Il Tribunale ha negato in assoluto l’interesse del terzo a recuperare il valore del suo oro?
No, il Tribunale del riesame non ha negato l’interesse ad agire in senso assoluto, ma ha negato l’interesse a chiederne la restituzione attraverso la procedura specifica dell’appello cautelare, che in quel contesto era inappropriata. La parte ha ancora interesse a recuperare il suo credito, ma deve farlo seguendo le regole e le procedure corrette stabilite dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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