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Restituzione beni sequestrati: la via corretta per i terzi

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un soggetto terzo che chiedeva la restituzione del controvalore di oro sequestrato e successivamente venduto. La sentenza chiarisce che la procedura corretta per la restituzione beni sequestrati in questi casi non è l’appello cautelare, ma l’istanza all’amministratore giudiziario e, in caso di conflitto, al giudice dell’esecuzione, secondo le norme del Codice Antimafia.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione Beni Sequestrati a Terzi: la Procedura Corretta

Un recente intervento della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30365/2025, offre un importante chiarimento sulla procedura da seguire per la restituzione beni sequestrati quando il richiedente è un soggetto terzo che si dichiara in buona fede. La decisione sottolinea come la scelta dello strumento processuale corretto sia cruciale e come un errore in questa fase possa portare all’inammissibilità della richiesta, indipendentemente dalla fondatezza delle proprie ragioni nel merito.

Il Caso: La Richiesta di Restituzione dell’Oro e il Percorso Giudiziario

La vicenda trae origine dalla richiesta di un privato, il quale affermava di aver depositato una quantità di oro presso una società, sotto forma di “conto tesoro”. Successivamente, i beni della società, incluso l’oro, venivano sottoposti a sequestro preventivo. Il privato, ritenendosi un terzo estraneo al reato e in buona fede, presentava un’istanza per ottenere il dissequestro dell’oro o, in alternativa, la restituzione del suo controvalore in denaro.

L’istanza veniva respinta dal Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.), decisione confermata anche dal Tribunale del riesame che dichiarava l’appello cautelare inammissibile. Il ricorrente decideva quindi di portare la questione dinanzi alla Corte di Cassazione, contestando la violazione di legge e il vizio di motivazione.

La Decisione della Cassazione: Perché il Ricorso è Inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, non entrando nel merito della buona fede del ricorrente, ma concentrandosi su aspetti puramente procedurali. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi principali.

La Mancanza di Specificità dell’Appello

In primo luogo, la Corte ha evidenziato come il ricorrente si fosse limitato a riproporre le medesime argomentazioni già respinte nei gradi precedenti, senza confrontarsi specificamente con la ratio decidendi (la ragione giuridica della decisione) del provvedimento impugnato. Un’impugnazione, per essere valida, deve contenere critiche puntuali e specifiche contro le motivazioni del giudice, non una mera riproposizione delle proprie tesi.

Errore di Procedura: Qual è la Via per la Restituzione Beni Sequestrati?

Il punto cruciale della sentenza riguarda l’individuazione della procedura corretta. La Corte ha chiarito che, una volta che i beni sequestrati (in questo caso, l’oro) sono stati venduti dall’amministratore giudiziario e il ricavato versato al Fondo Unico Giustizia, non è più possibile chiederne la restituzione in forma specifica. L’interesse del terzo si sposta, quindi, sulla richiesta del controvalore in denaro.

Tuttavia, lo strumento per far valere tale pretesa non è più l’appello cautelare per il dissequestro. La legge, specificamente l’art. 104-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, rinvia alla disciplina del Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011) per la tutela dei terzi.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Suprema Corte sono chiare: la fase cautelare del sequestro è distinta dalla fase esecutiva e di gestione dei beni. Quando un bene viene liquidato, la pretesa del terzo non riguarda più il bene stesso ma una somma di denaro. Questa pretesa deve essere fatta valere all’interno della procedura di gestione e liquidazione dei beni, che è governata da regole specifiche. Il terzo deve presentare la sua istanza all’amministratore giudiziario. Sarà poi il giudice dell’attuazione della misura, in caso di contenzioso, a decidere secondo le procedure previste dagli articoli 52 e seguenti del Codice Antimafia. Scegliere una via processuale errata, come l’appello cautelare in questa fase, determina inevitabilmente l’inammissibilità della richiesta perché non si è adito il giudice competente secondo le forme di legge.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Terzi di Buona Fede

La sentenza rappresenta un monito fondamentale per chiunque si trovi nella posizione di terzo di buona fede a rivendicare diritti su beni sequestrati. Le conclusioni pratiche sono le seguenti:
1. Verificare lo stato dei beni: È essenziale sapere se i beni sono ancora sotto sequestro o se sono già stati liquidati.
2. Scegliere la procedura corretta: Se i beni non sono stati ancora venduti, si può procedere con l’istanza di dissequestro. Se, invece, sono stati venduti, la richiesta di restituzione beni sequestrati deve essere convertita in una richiesta del controvalore da presentare all’amministratore giudiziario, seguendo l’iter del Codice Antimafia.
3. Specificità dell’impugnazione: Qualsiasi impugnazione deve sempre confrontarsi criticamente con le motivazioni del provvedimento che si contesta, pena l’inammissibilità.

In definitiva, la tutela dei diritti dei terzi è garantita dall’ordinamento, ma solo a condizione che vengano rispettate le corrette procedure stabilite dal legislatore.

Un terzo di buona fede può chiedere la restituzione di beni sequestrati tramite appello cautelare se i beni sono già stati venduti?
No. Secondo la sentenza, una volta che i beni sono stati liquidati dall’amministratore giudiziario, la pretesa del terzo non può più essere soddisfatta in forma specifica. Lo strumento corretto non è l’appello cautelare, ma la procedura per la rivendicazione del controvalore in denaro.

Qual è la procedura corretta che un terzo deve seguire per recuperare il controvalore di beni sequestrati e poi liquidati?
La procedura corretta è quella delineata dall’art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen., che rinvia alla disciplina del Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011). Il terzo deve presentare la propria richiesta all’amministratore giudiziario e, in caso di controversia, al giudice dell’attuazione della misura.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per due motivi: in primo luogo, il ricorrente non ha contestato specificamente la ratio decidendi dei provvedimenti precedenti, limitandosi a riproporre le stesse questioni. In secondo luogo, ha utilizzato uno strumento processuale errato (l’appello cautelare) per far valere una pretesa che, data l’avvenuta vendita dei beni, doveva essere incanalata nella specifica procedura di liquidazione prevista dal Codice Antimafia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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