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Restituzione atti PM: quando l’ordinanza non è abnorme

In un processo per associazione di stampo mafioso, il Tribunale ha riscontrato una diversità del fatto emerso in dibattimento rispetto all’accusa originale, disponendo la restituzione degli atti al PM. Il PM ha impugnato l’ordinanza ritenendola “abnorme”. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che la restituzione atti PM è un atto processuale non impugnabile e non configura un’abnormità, in quanto esercizio di un potere previsto dalla legge (art. 521 c.p.p.).

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione Atti PM: La Cassazione Spiega Quando l’Ordinanza Non È Impugnabile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33038 del 2024, ha affrontato un tema cruciale della procedura penale: i limiti di impugnazione di un’ordinanza che dispone la restituzione atti PM per diversità del fatto. Questa pronuncia chiarisce quando un tale provvedimento non può essere considerato “abnorme” e, di conseguenza, non può essere oggetto di ricorso, consolidando un importante principio a tutela della corretta dialettica processuale.

Il Caso: Diversità del Fatto e Decisione del Tribunale

Nel corso di un giudizio di primo grado per reati di associazione di stampo camorristico e altri illeciti, il Tribunale di Avellino giungeva a una conclusione inaspettata. All’esito del dibattimento, il Collegio riteneva provata l’esistenza di un sodalizio criminale, ma con una composizione e una struttura completamente diverse da quelle descritte nel capo d’imputazione. In pratica, il fatto emerso era un “fatto diverso” da quello contestato.

Di fronte a questa discrepanza, il Tribunale, applicando l’articolo 521, comma 2, del codice di procedura penale, ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero. Contestualmente, ha dichiarato la cessazione di tutte le misure cautelari, sia personali che reali, a carico degli imputati.

Il Ricorso del PM e il Concetto di Atto Abnorme

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato questa ordinanza dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendone l’abnormità. Secondo l’accusa, il Tribunale avrebbe mascherato una vera e propria sentenza di condanna sotto le spoglie di un’ordinanza processuale, eccedendo i propri poteri. Il PM riteneva che il giudice avesse violato il principio di ragionevole durata del processo e che avrebbe dovuto, più correttamente, invitare l’accusa a modificare l’imputazione ai sensi dell’art. 516 c.p.p., anziché disporre una radicale regressione del procedimento.

La Decisione della Cassazione sulla restituzione atti PM

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile, fornendo una chiara lezione sui confini tra poteri del giudice, strumenti di impugnazione e concetto di abnormità.

L’Inammissibilità del Ricorso

In primo luogo, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’ordinanza con cui il giudice del dibattimento dispone la trasmissione degli atti al PM per diversità del fatto non è impugnabile per carenza di interesse. Si tratta di un provvedimento meramente processuale che non incide né sul merito della futura decisione, né sulla competenza del giudice, né sullo status libertatis dell’imputato in modo da compromettere la possibilità di difendersi in un nuovo, eventuale procedimento.

L’Insussistenza dell’Atto Abnorme

Il punto centrale della sentenza riguarda la qualificazione dell’atto. La Corte ha escluso categoricamente che l’ordinanza potesse essere considerata abnorme. Un atto è abnorme solo quando provoca una stasi irrimediabile del processo o si colloca completamente al di fuori del sistema normativo. Nel caso di specie, il Tribunale ha esercitato un potere che la legge gli attribuisce espressamente (art. 521 c.p.p.). Pertanto, anche se la sua applicazione fosse stata errata, non si configurerebbe comunque uno “sviamento della funzione giurisdizionale” tale da rendere l’atto abnorme.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere non impugnabile l’ordinanza che dispone la restituzione degli atti al PM. Tale provvedimento, di natura puramente processuale, non pregiudica alcuna delle parti in modo definitivo. Per quanto riguarda la contestuale cessazione delle misure cautelari, la Corte ha sottolineato che il Pubblico Ministero aveva a disposizione uno strumento specifico per contestarla: l’appello cautelare previsto dagli articoli 310 e 322 bis del codice di procedura penale. Tentare di impugnare l’intero provvedimento qualificandolo come abnorme rappresenta una via processualmente non corretta.

L’esercizio del potere previsto dall’art. 521 c.p.p. rientra pienamente nelle facoltà del giudice del dibattimento, che ha il dovere di assicurare la correlazione tra accusa e sentenza. Scegliere di restituire gli atti, anziché sollecitare una modifica dell’imputazione, è una decisione che, pur avendo conseguenze significative, non determina una paralisi del sistema, ma lo riconduce al suo punto di partenza per una nuova e corretta formulazione dell’accusa.

Le Conclusioni

La sentenza n. 33038/2024 rafforza la stabilità degli atti processuali e delimita con nettezza gli strumenti di impugnazione. Stabilisce che un’ordinanza di restituzione atti PM, anche se ritenuta inopportuna o errata dall’accusa, non può essere attaccata attraverso lo strumento eccezionale del ricorso per abnormità. Il Pubblico Ministero che intenda dolersi della caducazione delle misure cautelari deve utilizzare gli appositi rimedi previsti dal sistema, senza poter rimettere in discussione la scelta del giudice sulla gestione della non corrispondenza tra fatto contestato e fatto emerso in giudizio.

Un’ordinanza che dispone la restituzione degli atti al PM per diversità del fatto è impugnabile?
No, la sentenza stabilisce che tale ordinanza è un provvedimento meramente processuale e, per carenza di interesse, non è impugnabile. Non incide sul merito della causa, sulla competenza del giudice o sulla libertà personale in modo da compromettere il diritto di difesa.

Quando un’ordinanza di restituzione degli atti può essere considerata un “atto abnorme”?
Secondo la sentenza, un’ordinanza di questo tipo non è abnorme perché costituisce l’esercizio di un potere specificamente attribuito al giudice dall’art. 521 c.p.p. Non si ravvisa uno “sviamento della funzione giurisdizionale” né si crea una stasi processuale irrimediabile che giustifichi tale qualifica.

Come può il Pubblico Ministero contestare la cessazione delle misure cautelari disposta contestualmente alla restituzione degli atti?
La Corte chiarisce che il PM non può impugnare l’ordinanza principale nel suo complesso, ma deve proporre un appello cautelare specifico, ai sensi degli artt. 310 e 322 bis c.p.p., avverso la sola parte del provvedimento che dichiara la cessazione delle misure.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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