Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29688 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
TERZA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29688 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Napoli il 18.06.1969 nel procedimento a carico della medesima; avverso la sentenza del 08.04.2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, dr. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del tribunale di Napoli del 28.12.2022, con la quale NOME era stata condannata in ordine al reato di cui all’art. 4 e 5 del Dlgs. 74/2000.
2.Avverso la suindicata sentenza COGNOME NOMECOGNOME tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi di impugnazione.
3.Deduce con il primo il vizio di violazione di legge processuale per carenza di motivazione. Si richiamano sentenze in tema di legittimità della motivazione per relationem e in tema di onere di motivazione e di relativo vizio in caso di mancata considerazione di motivi di censura difensivi e si contesta, alfine, quanto al caso concreto, il dolo del reato, siccome motivato sul mero rilievo per cui la ricorrente non avrebbe dichiarato di essere una “testa di legno”, quale circostanza non corrispondente al vero atteso che l’imputata non avrebbe partecipato al dibattimento e, nel contempo, si osserva che il commercialista, alla luce di quanto emergerebbe dalle indagini e dalla sentenza, avrebbe detto che la documentazione fiscale e contabile era lacunosa e mancavano fatture per cui vi sarebbe prova della esistenza delle fatture stesse che solo il commercialista avrebbe deciso di non presentare, per la ritenuta lacunosità della documentazione necessaria. Si aggiunge che, con atto di gravame e con riguardo all’elemento soggettivo del reato, si era rappresentato che la Procura avrebbe dovuto dimostrare che la ricorrente avesse agito col fine specifico di evadere le imposte. E nessuna rilevanza ai predetti fini può avere la sussistenza di precedenti penali specifici a carico. La Corte avrebbe solo riprodotto la motivazione di primo grado, ove mancherebbe la motivazione sul dolo, senza rispondere ai rilievi difensivi. Avrebbe travisato la prova laddove ha sostenuto che la ricorrente avrebbe incolpato il commercialista.
4.Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge, osservando come a fronte del rilievo di cui alla sentenza, per cui il dolo sussisterebbe siccome l’imputata non avrebbe dichiarato di essere un mero prestanome, si deve ritenere allora che il ruolo di mero prestanome potrebbe al piø
ricondurre al dolo eventuale, mancando quindi il dolo specifico di evasione. Che non emergerebbe dalla istruttoria.
5.Con il terzo motivo propone il vizio di violazione di legge processuale, Si sostiene che con atto di gravame si era esclusa ogni attività gestoria della ricorrente, atteso che il gestore era altra persona. In motivazione non sarebbe dimostrata una attività di partecipazione nella gestione della società qui in rilievo, RAGIONE_SOCIALE e mancherebbe ogni prova del dolo in capo alla ricorrente, sub specie di consapevolezza che la società fosse stata creata per evadere l’Iva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I motivi proposti afferendo alla ricostruzione della responsabilità, anche con riguardo al dolo, sono omogenei e devono essere esaminati congiuntamente. Le due conformi sentenze danno conto pienamente della responsabilità della ricorrente. Invero già ; dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che: a) la ricorrente era stata trovata in sede al momento dell’accesso degli uomini dell’Agenzia delle Entrate; b) le fatture (non registrate) erano state consegnate al commercialista solo dopo l’accesso; c) i registri contabili erano lacunosi e inattendibili, alcuni non erano nemmeno registrati; d) nel 2013 non aveva dichiarato i ricavi da transazioni di cellulari; per il 2014 emerge una omessa dichiarazione; e) vi sarebbero transazioni in contanti per volumi di affari elevati;; f) vi sarebbe mancanza di consistenza patrimoniale della società e continui prelievi e versamenti in contanti. Elementi che sono condivisisi sostanzialmente in secondo grado e certamente disegnano il ruolo della ricorrente come contestato. Invero la ricorrente postula una dissociazione tra legale rappresentanza e altrui gestione di fatto che non Ł mai emersa, nØ vi sono elementi travisati in tal senso, ma appare essere stata semplicemente introdotta dal difensore con l’atto di appello e vi Ł risposta della Corte di appello sul punto. Quanto alla specifica lamentela della mancata motivazione circa il dolo dei reati, va precisato che con l’atto di appello si Ł piø specificamente dedotto che la ricorrente non avrebbe gestito la società – pur essendone il rappresentante legale – con conseguente carenza dell’elemento soggettivo. Rispetto a questa specifica deduzione in realtà emerge una puntuale risposta atteso che la corte di appello ha avuto cura di evidenziare il carattere meramente assertivo della tesi della assenza della attività di gestione piuttosto riaffermando il ruolo, e i connessi oneri, di rappresentante legale. In altri termini, a fronte di una eccezione di assenza di dolo quale conseguenza della assenza di un ruolo gestorio, la risposta della corte, siccome deve essere misurata in rapporto al motivo di gravame come elaborato, secondo il principio del devolutum, laddove dimostra l’assenza di ogni elemento in grado di rappresentare la ricorrente come una mera testa di legno integra una adeguata motivazione anche in punto di eccezione circa la assenza del dolo. Laddove invero tale elemento appare desumibile, altresì, anche dalla piø complessiva sentenza, a fronte delle evidenziate consistenti e plurime irregolarità che depongono per una scelta (pluriennale) di evasione delle imposte.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 23/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME