Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23175 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23175 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a GENOVA il 12/01/1960
avverso la sentenza del 08/11/2024 della CORTE di APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Genova ha confermato la condanna, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, di NOME COGNOME per concorso, quale componente del collegio sindacale, nel delitto di bancarotta
fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 12 giugno 2015 (capi di imputazione 4.6 e 4.12), e in quello di bancarotta da operazioni dolose in relazione al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 12 giugno 2015 (capo 7.1.).
La medesima Corte ha prosciolto, con varie formule, l’imputato dai residui addebiti, procedendo alla conseguente rideterminazione della pena.
Il titolo di responsabilità e l’apporto concorsuale dell’imputato sono stati ravvisati nell’aver omesso: «deliberatamente di esercitare le proprie funzioni di controllo sulla corretta gestione della società, nella piena consapevolezza della finalità, della natura e dei rischi delle condotte degli amministratori» e segnatamente:
perché, quale componente del collegio sindacale di RAGIONE_SOCIALE (dal 30 settembre 2010 al 5 dicembre 2014), consentiva di realizzare la “distrazione o comunque dissipazione dell’importo di euro 3.150.000 impiegato per l’erogazione di vari finanziamenti nell’anno 2012 in favore della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE ed. “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita (‘11.6.2015 dal Tribunale di Genova), controllata dal socio unico RAGIONE_SOCIALE e costituita in data 05.01.2012 allo scopo di ricevere in affitto dalla “vecchia RAGIONE_SOCIALE” (poi SIL 2013 dichiarata fallita il 7.1.2016 dal Tribunale di Genova) l’azienda della stessa RAGIONE_SOCIALE, finanziamenti mai più recuperati in quanto l’operazione di preteso “salvataggio” della “vecchia” RAGIONE_SOCIALE era palesemente insostenibile, come COGNOME avrebbe dovuto sapere, essendo membro del collegio sindacale di RAGIONE_SOCIALE” (artt. 40, comma secondo, 110 cod. pen, 216, comma primo n. 1, 223, comma primo e 219 commi primo e secondo n. 1 legge fall. – capo 4.6);
perché, nella medesima qualità, consentiva di realizzare la “dissipazione dell’importo complessivo di euro 774.000 per l’acquisto (dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE entrambe società del “RAGIONE_SOCIALE“) del 51% delle quote societarie della RAGIONE_SOCIALE (oggi in liquidazione) al prezzo di euro 312.000, nell’ottobre del 2011, e per il successivo finanziamento infruttifero in favore di tale società per euro 462.000, nonostante la pesante esposizione debitoria già gravante sulla società già emersa nelle annualità 2010 e 2011″ (artt. 40, comma secondo, 110 cod. pen, 216, comma primo n. 1, 223, comma primo e 219 commi primo e secondo n. 1 legge fall. – capo 4.12);
perché, quale componente del collegio sindacale di RAGIONE_SOCIALE (con la carica di presidente dal 27 gennaio 2012 al 21 maggio 2012 e di sindaco effettivo dal 21 maggio 2012 alla data del fallimento), consentiva di cagionare “con dolo il fallimento della società (intervenuto a poco più di tre anni dalla sua costituzione); in particolare, non appena costituita la società (5.1.2012), gli amministratori stipulavano (in data 27.1.2012) con la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE e poi
mutata in RAGIONE_SOCIALE società dichiarata fallita dal Tribunale di Genova li 7.1.2016), della quale conoscevano la situazione di difficoltà finanziaria (la stessa era stata amministrata, fino al febbraio 2012, da NOME COGNOME NOME) un contratto d’affitto di ramo d’azienda assolutamente oneroso e non corrispondente, in termini di valore, alle risultanze reddituali assicurabili dallo svolgimento ordinario delle attività aziendali (vi si prevedeva, tra l’altro, un’opzione di acquisto dell’azienda al termine della locazione a un prezzo assai oneroso, un obbligo di effettuazione dei versamenti in favore della cedente a semplice richiesta di quest’ultima), con il quale la RAGIONE_SOCIALE si rendeva cessionario delle attività della RAGIONE_SOCIALE ma di fatto ne assumeva i debiti e le difficoltà finanziarie, giungendo a corrispondere somme eccedenti il dovuto in misura pari ad euro 3.596.046,80, li tutto senza dotare la RAGIONE_SOCIALE delle necessarie risorse finanziare per fronteggiare gi onerosi impegni assunti, inoltre, al momento del perfezionamento dell’acquisto dell’azienda (15.12.2014), in forza del disposto dell’art. 14 D. Lgs. 18/12/1997 n. 472, assimilavano inopinatamente i debiti con l’erario della RAGIONE_SOCIALE per un valore pari ad euro 986.542, debito che andava ad aggravare li dissesto” (artt. 40, comma secondo, 110 cod. peri., 223, comma secondo n. 2 e 219 commi primo e secondo n. 1 legge fall. – capo 7.1).
Avverso l’indicata pronuncia ricorre l’imputato, tramite il difensore, sviluppando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Le censure ruotano attorno al tema della responsabilità omissiva e denunciano, in premessa, l’assoluta mancanza di motivazione su presupposti decisivi relativi a:
l’effettiva idoneità offensiva delle condotte distrattive e dissipative, contestate all’imputato, perché poste in essere in un periodo in cui le società che le avrebbero subite erano ancora in “bonis” e non era razionalmente prevedibile che potessero versare nel futuro in situazione di insolvenza;
l’effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta patrimoniale;
il nesso di causalità tra condotta ed evento, non essendo stato accertato se la condotta doverosa asseritamente omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento-fallimento; l’argomento, sottoposto alla Corte di appello, ma rimasto privo di risposta, assume particolare pregnante laddove si consideri che le operazioni asseritamente distrattive-dissipative di cui ai punti 4.6 e 4.12 sono avvenute, entrambe, senza preventiva informazione al collegio sindacale (come emerge dalla Relazione ex art. 33 relativa al fallimento BTP Tecno alle pagine 35, 36 e 46 – all. 9).
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione sulla affermazione di responsabilità in ordine al concorso, per omissione, nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo 4.6.
2.1.1. Il ricorrente lamenta l’assenza di risposta sui punti devoluti con l’atto di appello, imperniati sulle seguenti decisive circostanze: al momento della stipula del contratto di affitto di azienda, avvenuta il 27 gennaio 2012, COGNOME non era sindaco e neppure esisteva il collegio sindacale; l’operazione era stata decisa ad un livello superiore da parte di quelli che rivestivano cariche in Ipa; in quella data non si era ancora manifestata alcuna situazione di insolvenza nelle società coinvolte; la posizione dell’amministratore che ha materialmente compiuto l’operazione ha formato oggetto di archiviazione, così come quella degli altri componenti del collegio sindacale; il corrispettivo era stato stabilito in euro 3.805.000 e non in euro 10.800.000 come erroneamente ritenuto in sentenza, ed era stato valutato in termini di congruità da un soggetto incaricato da RAGIONE_SOCIALE, socia di minoranza di RAGIONE_SOCIALE, che finanziava e controllava la diversificazione industriale.
2.1.2. Si contesta, in via subordinata, la mancata derubricazione del fatto nel reato di bancarotta semplice e la conseguente esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione sulla affermazione di responsabilità in ordine al concorso, per omissione, nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo 4.12.
2.2.1. Il ricorrente lamenta l’assenza di risposta sui punti devoluti con l’atto di appello che negavano la natura dissipativa dell’operazione e sottolineavano come il finanziamento a Btp Research non fosse mai stato sottoposto al collegio sindacale.
2.2.2. In via subordinata, il ricorrente si duole della mancata derubricazione del fatto nel reato di bancarotta semplice e la conseguente esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
2.3. Il terzo motivo contesta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c), e), cod. proc. pen., la ritenuta responsabilità in ordine al concorso, per omissione, nel delitto di bancarotta fraudolenta da operazioni dolose di cui al capo 7.1.
2.3.1. Le critiche si appuntano sulle lacune argomentative inerenti ai profili de: la effettiva idoneità delle operazioni “dolose” a causare il dissesto della società; la sussistenza dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità tra condotta ed evento, non essendo stato accertato se “la condotta doverosa, asseritamente omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento ed essere causalmente decisiva in relazione all’evitabilità dello stesso”.
La censura si sviluppa evidenziando gli specifici elementi, sottoposti al vaglio del giudice di merito, ma completamente pretermessi in relazione a: stipula del contratto; condizioni del contratto; economicità dell’operazione; posizione degli altri sindaci.
2.3.2. Si insiste, in via subordinata, sulla derubricazione de fatto nel reato di bancarotta semplice e sulla conseguente sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
2.4. Il quarto motivo solleva questione di nullità della condanna in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, identificato dal GUP con il numero 4.3., perché mai contestato.
Il ricorrente evidenzia che il giudice di primo grado ha condannato l’imputato anche per “l’ulteriore finanziamento concesso a Esamed pari a 320.000”.
Di tale addebito, tuttavia, non v’è traccia nel capo di imputazione.
La Corte di appello, investita della eccezione, è rimasta totalmente silente.
2.5. Il quinto motivo attiene al denegato contenimento della durata delle pene accessorie ex art. 216, u.c. legge fall.
Si è proceduto a discussione orale su richiesta della difesa.
In accoglimento della istanza formulata dal difensore con la memoria inserita nel messaggio di posta elettronica certificata del 16 aprile 2025, sono stati inseriti nel fascicolo processuale, a disposizione del collegio, tutti i documenti oggetto di produzione dinanzi al GUP.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Per ragioni di ordine logico, va preliminarmente esaminata l’eccezione processuale di nullità sollevata con il quarto motivo di ricorso in relazione alla condotta distrattiva (mai contestata all’imputato) connessa alla corresponsione a RAGIONE_SOCIALE (c.d. RAGIONE_SOCIALE) di un finanziamento per euro 320.000,00.
L’eccezione è fondata.
2.1. La censura offre il destro per una generale considerazione di sistema: l’editto accusatorio, originariamente concepito, non si distingue per chiarezza.
Plurime condotte, riconducibili a diverse ipotesi delittuose, si trovano assemblate all’interno del medesimo capo di imputazione che, nell’incipit, richiama (quasi) l’intera gamma dei delitti di bancarotta fraudolenta (capo 4, artt. 216, comma primo, nn. 1 e 2, 223, comma primo e comma secondo n. 1 legge fall.),
quando non anche di bancarotta semplice (capo 7, artt. 216, comma primo, n. 1, 223, comma primo e comma secondo n. 2, 217, comma primo n. 4 e 224 n. 2, legge fall.).
Una simile modalità contestativa non agevola lo svolgimento del giudizio poiché, per un verso, lascia agli altri soggetti processuali la individuazione della specifica fattispecie criminosa che il Pubblico ministero ha inteso contestare descrivendo una determinata condotta; per altro verso, non sollecita l’attenzione dell’organo di accusa sugli eterogenei elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, dei vari delitti, tanto che, ad esempio, in un caso – interpretabile come bancarotta fraudolenta societaria (indicato dalla Corte di appello come 4.8) – neppure si menziona l’evento del reato.
Il GUP non ha rinumerato le imputazioni, le ha identificate per punti nel corpo della motivazione, senza tuttavia tradurle in specifiche statuizioni nel dispositivo che dichiara NOME COGNOMEresponsabile dei reati al medesimo ascritti, con le precisazioni di cui in parte motiva” con una generica affermazione di condanna sebbene per diversi reati il giudice fosse pervenuto a un giudizio assolutorio.
Così di fatto si è ignorato il consolidato principio secondo cui nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall. (cfr. per tutti Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665 – 01).
Pertanto bene ha fatto la Corte di appello a: riordinare, nei limiti del possibile, l’imputazione, disponendo una “sotto-numerazione” delle condotte riportate in ciascun capo; specificare, anche in dispositivo, che per i capi 4.1), 4.4), 4.5), 4.7), 4.9), 4.10), 4.11), 7.2) e 7,3) era già intervenuta pronuncia assolutoria in primo grado.
2.2. Il confronto tra imputazione e sentenza di primo grado fa emergere la discrasia denunciata con il motivo in esame.
2,2.1. Alle pagine 27 e 28 della sentenza di primo grado il GUP tratta della condotta distrattiva/dissipativa derivante dalla concessione a Esamed di un finanziamento infruttifero dell’importo di 320.000,00 euro.
Il GUP identifica tale condotta come indicata al capo 4, punto 3 e riconosce la responsabilità dell’imputato anche a quel titolo.
Tuttavia il capo 4, punto 3, concerne non il fatto esaminato dal GUP, ma una bancarotta fraudolenta documentale.
E l’esame dell’editto accusatorio, nel suo complesso, rende evidente come per il fatto in rassegna non sia stata elevata alcuna contestazione a carico dell’imputato.
2.2.2. Investita della questione di nullità per difetto di contestazione, la Corte distrettuale non affronta l’eccezione né si occupa della specifica condotta distrattiva che ne è oggetto, ma si limita a trattare di quello che effettivamente è il reato di cui al capo 4.3 – vale a dire il reato di bancarotta fraudolenta documentale (cfr. pag. 3 sentenza impugnata) – e perviene alla assoluzione dell’imputato per l’assenza “del necessario coefficiente doloso” (pag. 4).
Spetta, quindi, a questo collegio, in accoglimento della eccezione sollevata dal ricorrente, dichiarare la nullità della sentenza nel capo di condanna in rassegna, per difetto di contestazione ex art. 522, comma 2, cod. proc. pen.
L’esito del processo – che conduce il collegio ad adottare una pronuncia di annullamento (con rinvio) in merito alle residue imputazioni- consente di incentrare la disamina sulle questioni, devolute con il ricorso, aventi portata decisiva, rimanendo superate o assorbite tutte le altre.
In tale ottica occorre muovere da un inquadramento dedicato alla responsabilità dei sindaci nei reati di bancarotta.
3.1. Il processo in rassegna è costola di un più complesso procedimento che riguarda le vicende del gruppo c.d. “RAGIONE_SOCIALE“, composto da un insieme di società “operanti in settori ad alto contenuto tecnologico” (così si esprime il GUP a pag. 8 della sentenza di primo grado).
NOME COGNOME è l’unico imputato ad aver chiesto il giudizio abbreviato.
All’esito dei due gradi di merito, è rimasta in discussione la responsabilità del ricorrente, nella veste di componente del collegio sindacale, per non aver impedito agli amministratori di commettere due ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 223, comma primo, in relazione all’art. 216, comma primo, n. 1 legge fall.) in relazione al fallimento della BTP Tecno RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 12 giugno 2015 (capi 4.6. e 4.12), nonché il delitto di bancarotta da operazioni dolose da cui è derivato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE, dichiarato sempre il 12 giugno 2015 (capo 7.1.).
I capi 4.6. e 7.1. riguardano, nella sostanza, i medesimi fatti afferenti ai rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sotto l’angolo visuale della prima società (capo 4.6.) e della seconda (capo 7.1.).
3.2. Vengono in rilievo reati propri (non esclusivi) o a “soggettività ristretta” (come la gran parte dei reati fallimentari) che richiedono la partecipazione di almeno un soggetto rientrante nelle categorie codificate dall’art. 223 legge fall., nel cui novero sono ricompresi i “sindaci”.
I soggetti investiti di detta carica possono dunque essere autori “uti singuli” dei reati in esame nella loro declinazione monosoggettiva (ipotesi difficilmente
verificabile nel concreto), oppure possono concorrere con altri ai sensi dell’art. 110 cod. pen.
Il concorso può atteggiarsi come contributo morale o materiale all’azione degli amministratori (cd. concorso attivo) oppure può esprimersi nella forma del reato omissivo c.d. improprio.
Alla prima ipotesi appartengono i casi di collusione tra sindaco e amministratori, che possono manifestarsi in un accordo pregresso di agevolazione, in rassicurazioni in itinere circa la futura validazione delle scelte dell’organo amministrativo, o, addirittura, in suggerimenti o consigli su come fortificare od occultare la frode.
Anche in queste situazioni, nella pratica giudiziaria, si suole ricorrere allo schema dell’omesso impedimento del reato altrui, quando invece appare più consona la figura del concorso morale nella fase ideativa o attuativa sub specie del “rafforzamento” del proposito criminoso dei gestori. La puntualizzazione non è superflua, poiché nella sentenza di primo grado affiora, più volte, l’ipotesi (accennata ma non accertata) di una collusione tra gli amministratori e l’imputato, definito “uomo di fiducia” di COGNOMENOMECOGNOME chiamato a svolgere il ruolo di sindaco proprio per avallarne l’operato (pagg. 11 e ss. sentenza di primo grado).
Nella seconda ipotesi (concorso per omissione) viene in rilievo l’art. 40, comma secondo, cod. pen. su cui si innestano l’art. 110 cod. pen. e le singole fattispecie criminose di bancarotta.
3.3. NOME COGNOME è chiamato a rispondere dei delitti di bancarotta fraudolenta sopra menzionati a titolo di concorso per omissione. Su questo tema si incentra, quindi, la successiva disamina; non senza aver rilevato che nel capo di imputazione si parla della assunzione della carica in BTP dal 30 settembre 2010 al 5 dicembre 2014, mentre le sentenze di merito parlano di incarico rivestito sino alla data del fallimento: 12 giugno 2015 (cfr. pag. 9 sentenza di primo grado, pag. 2 sentenza di appello).
3.3.1. La responsabilità omissiva impropria deriva dalla clausola di equivalenza di cui all’art. 40, comma secondo, cod. pen. e dalla combinazione di quest’ultima con la norma di parte speciale che prevede la fattispecie incriminatrice commissiva: non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
La figura del concorso omissivo nell’altrui reato commissivo deriva dall’ulteriore combinazione con la previsione dell’art. 110 cod. pen., di talché l’evento indicato dall’art. 40, comma secondo, viene a consistere nel fatto criminoso di un terzo.
Ergo gli elementi caratterizzanti del concorso omissivo nell’altrui reato commissivo sono: la sussistenza di un obbligo giuridico di impedire l’altrui reato,
che impone un’indagine su fonte e ambito della posizione di garanzia; la condotta omissiva; il nesso causale tra contegno omissivo del garante e l’altrui condotta illecita, verificato attraverso il criterio controfattuale della c.d. condotta alternati lecita; il dolo di concorso.
3.3.2. La posizione di garanzia del sindaco.
La posizione di garanzia del sindaco trova la propria fonte nei poteri-doveri di controllo attribuitigli dagli artt. 2403 cod. civ. e ss., che non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 18985 del 14/01/2016, A T, Rv. 267009 – 01).
Le norme in rassegna attribuiscono al collegio sindacale il “dovere” di vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Esse conferiscono al medesimo organo il “potere”: di procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo; di chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari; di convocare l’assemblea qualora ravvisino fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere; di denunciare al tribunale gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate, eventualmente commesse dagli amministratori in violazione dei loro doveri.
Per completezza si osserva che la legge n. 35 del 2025, in vigore dal 12 aprile 2025, ha modificato il regime della responsabilità civile dei sindaci. La riforma ha introdotto un tetto massimo alla responsabilità patrimoniale di ciascun membro del collegio sindacale: il comma secondo del novellato art. 2407 cod. civ. stabilisce che: “Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata da collegio sindacale a norma dell’art. 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terz nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni “.
Qualunque sia l’elaborazione ermeneutica che si svilupperà sulla norma in rassegna, è sufficiente osservare che l’iniziale clausola di riserva (“Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo”) priva la disposizione della capacità di incidere sull’oggetto del presente processo.
Preme, invece, sottolineare la necessità vuoi di ritagliare la posizione di garanzia del sindaco in rapporto alla presenza o meno di revisori (nella specie i giudici di merito affermano che operavano società di revisione), vuoi di correlarla allo specifico fatto-reato oggetto di contestazione anche in rapporto ai connessi “poteri impeditivi”.
Nei più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità si evidenzia che: «La responsabilità per concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta dei componenti del collegio sindacale non può essere desunta solo dalla posizione di garanzia rivestita e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula la verifica dell’esistenza di elementi, dotati di adeguato e necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, causalmente libera dei sindaci stessi all’attività degli amministratori ovvero dell’effettiva incidenza causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo sulla commissione del reato» (Sez. 5, n. 20867 del 17/03/2021, COGNOME NOME, Rv. 281260 – 01).
Invero la posizione di garanzia, espressiva di uno «speciale vincolo di tutela», presuppone un dovere impeditivo che oltre a scaturire da una fonte formale deve essere caratterizzato da una signoria nei confronti del processo di produzione dell’evento.
3.3.3. I poteri impeditivi.
Assumono rilevanza non solo i poteri c.d. “direttamente impeditivi” – ossia implicanti interventi autonomamente risolutivi o, per così dire, di arresto potestativo del processo causale- ma anche quelli “indirettamente impeditivi”, poteri cioè idonei ad avviare una sequenza procedimentale in cui la modifica diretta della realtà fattuale può determinarsi solamente in seguito al coinvolgimento, all’interno di una procedura predeterminata dalla legge, di soggetti diversi ed ulteriori rispetto a coloro che ne sono titolari, i quali potranno compiere le necessarie attività di neutralizzazione delle altrui condotte delittuose.
E ciò in quanto, come osserva attenta dottrina, nell’ambito di sistemi di tutela articolati, occore riconoscere capacità impeditiva anche a snodi di un percorso relazionale multifase idoneo, nel suo complesso, a prevenire l’evento. Si tratta, cioè, di leggere il potere di allerta come stimolo di una procedura nella quale altri soggetti sono investiti della decisione finale.
Ciò posto, occorre tenere concettualmente distinta la costruzione della posizione di garanzia, mediante il riconoscimento di poteri astrattamente impeditivi, dall’accertamento della causalità dell’omissione nel caso singolo.
Non si deve, cioè, cadere nell’equivoco di sovrapporre e confondere i due piani, riconnettendo automaticamente all’inerzia del garante la causazione dell’evento; occorre, piuttosto, accertare, secondo i consueti canoni, l’efficacia causale del comportamento omesso.
3.3.4. Il nesso di causalità.
L’omessa attivazione dei poteri impeditivi deve porsi in connessione causale rispetto all’evento reato commesso dagli amministratori, dovendosi intendere la causalità qui in rilievo alla stregua della tipica causalità concorsuale.
Non si deve, allora, verificare se sostituendo la condotta violativa dell’obbligo di impedimento con quella doverosa il reato commesso dagli amministratori non si sarebbe verificato con certezza o con elevata probabilità logica (secondo le acquisizioni ormai sedimentate in tema di causalità omissiva e condizionalistica pura), ma va accertato se la condotta omissiva del garante abbia concretamente agevolato la realizzazione dell’altrui illecito, che, in ipotesi, si sarebbe comunque potuto verificare sebbene con diverse e più difficoltose modalità di realizzazione.
Il nesso di causalità andrà escluso tutte le volte in cui la condotta doverosa non avrebbe avuto alcuna capacità di incidere sulla commissione dell’altrui illecito.
Ciò implica, a carico del giudice, il compito di individuare: i caratteri del singolo fatto-reato nelle sue espressioni concrete e nelle sue specifiche modalità attuative; la fonte dell’obbligo di attivarsi a carico del sindaco; la sussistenza e la “forza” di un correlativo potere impeditivo riferito a quella tipologia di eventi; la configurabilità del nesso di causalità sulla scorta del giudizio controfattuale appena delineato.
3.3.5. Il dolo.
I reati oggetto di addebito sono puniti a titolo di dolo.
Secondo i più recenti e condivisibili arresti della giurisprudenza di legittimità, non è ammissibile un concorso colposo nel delitto doloso in assenza di una espressa previsione normativa, non ravvisabile nell’art. 113 cod. pen. che contempla esclusivamente la cooperazione colposa nel delitto colposo; ne consegue che nei delitti la condotta colposa che accede al fatto principale doloso, è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista dall’ordinamento (così in tema di bancarotta Sez. 5, n. 57006 del 05/10/2018, COGNOME, Rv. 274626 – 02; cfr. in generale sul tema Sez. 4, n. 7032 del 19/07/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276624 – 01; Sez. 6, n. 22280 del 07/03/2024, COGNOME, Rv. 286614 – 02).
Ai fini della corresponsabilizzazione dei sindaci deve essere dimostrato, anche per via indiziaria, il dolo, che deve investire la “propria” condotta di omissione, ma che implica anche la consapevolezza dell’altrui fatto-reato con adesione all’attuazione di esso.
È sufficiente anche il dolo eventuale (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 26399 del 05/03/2014, COGNOME, Rv. 260215 – 01) purché esaminato secondo le direttrici tracciate dalla pronuncia delle Sezioni Unite Espenhahn (n. 38343 del 24/04/2014) intervenuta proprio sul tema dei rapporti tra dolo eventuale e colpa cosciente,
rimarcando la centralità, nel primo, della dimensione volitiva dell’elemento soggettivo del reato.
Le Sezioni Unite (par. 43.2.) hanno affermato che «se la previsione è elemento anche della colpa cosciente, è sul piano della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente», laddove «la colpevolezza per accettazione del rischio non consentito corrisponde alla colpevolezza propria del reato colposo, non alla più grave colpevolezza che caratterizza il reato doloso»; ai fini della configurabilità del dolo eventuale, pertanto, non basta «la previsione del possibile verificarsi dell’evento; è necessario anche – e soprattutto – che l’evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un determinato risultato»; nel dolo eventuale, infatti, «oltre all’accettazione del rischio o del pericolo vi è l’accettazione, sia pure in forma eventuale, del danno, della lesione, in quanto essa rappresenta il possibile prezzo di un risultato desiderato».
Nella prospettiva tracciata dalle Sezioni Unite (par. 50), ai fini della configurabilità del dolo eventuale, è dirimente «un atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all’evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta», sicché riveste decisivo rilievo che «si faccia riferimento ad un reale atteggiamento psichico che, sulla base di una chiara visione delle cose e delle prospettive della propria condotta, esprima una scelta razionale; e, soprattutto, che esso sia rapportato allo specifico evento lesivo ed implichi ponderata, consapevole adesione ad esso, per il caso che abbia a realizzarsi».
La sentenza impugnata non risolve alcuno dei fondamentali punti sopra delineati.
4.1. In relazione al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo 4.6, la Corte di appello si limita a rilevare genericamente: «che l’imputato era componente del collegio sindacale di BTP dal 30.9.2010 (data di costituzione), che l’affittuaria RAGIONE_SOCIALE era interamente partecipata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE e che l’imputato era componente del collegio sindacale della locatrice RAGIONE_SOCIALE fin dal 15.10.2003, la critica del difensore appellante è infondata perché l’imputato era perfettamente in grado di conoscere e valutare la portata e le conseguenze del contratto stipulato dalle parti, ni relazione alle condizioni economiche della società affittuaria» (pag. 5); aggiunge che non consta «che il collegio e, segnatamente, l’imputato abbiano mai preso in considerazione andamento del rapporto, pur in presenza di un andamento corrente non certo lusinghiero di OMS, che chiuse l’esercizio 2012 con un modesto utile di esercizio (+ 155.733 euro), ma nell’esercizio successivo evidenziò una perdita pari a euro 2.932.453, tale da
erodere l’intero capitale sociale. Sul punto, nell’atto di appello non sono svolte critiche pertinenti, che consentano di giungere a conclusioni diverse da quelle cui e pervenuto li giudice di primo grado.» (pagg. 5 e 6).
Tutte le “caselle” della responsabilità omissiva vengono lasciate in bianco.
4.2. Lo stesso accade per la bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo 4.12.
Alla responsabilità dell’imputato sono dedicate poche righe che si esauriscono in considerazioni generali e astratte, sganciate dalla analisi degli elementi che nel concreto devono presidiare l’affermazione di responsabilità del sindaco: «se le scelte imprenditoriali non possono di per sé essere oggetto di controllo e censura da parte del collegio sindacale, le volte ni cui tali scelte presentano – come in questo caso- elementi di squilibrio e anomalie come quelli sopra indicati, la loro mancata rilevazione/segnalazione da parte dei componenti del collegio sindacale equivale all’avallo dell’operazione, connotata dal punto di vista soggettivo quantomeno dall’accettazione del fatto che l’operazione determinerà la sottrazione di rilevanti risorse alla funzione di garanzia per i creditori sociali» (pag. 8).
4.3. Del tutto priva di motivazione è la conferma della condanna per la bancarotta da operazioni dolose contestata al capo 7.1.
Già i caratteri della fattispecie astratta -reato di evento che si differenzia dai reati di pericolo puniti dal primo comma dell’art. 223 legge fall. – avrebbero richiesto particolare attenzione.
La Corte di appello invece chiude il discorso affermando che: «Come rilevato sopra in relazione al reato sub 4.6), nell’atto di appello non sono svolte critiche pertinenti, che consentano conclusioni diverse da quelle cui è pervenuto il giudice di primo grado» (pag. 9).
Il quinto motivo, attinente alla durata delle pene accessorie, è assorbito.
Discende che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla condotta distrattiva connessa al finanziamento alla Esamed della somma di euro 320.000,00, in quanto mai contestata.
La medesima sentenza impugnata va annullata con rinvio in relazione ai residui capi oggetto di condanna
Restano fermi, ovviamente, i proscioglimenti già deliberati, che non hanno formato oggetto della presente impugnazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla condotta distrattiva connessa al finanziamento alla Esamed della somma di euro
320.000,00, in quanto mai contestata.
Annulla la sentenza impugnata nel resto con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
Così deciso il 28/05/2025