Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2747 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2747 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a MESSINA il 12/04/1978
avverso la sentenza del 28/02/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
COGNOME
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità
43AA-
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 febbraio 2024 la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P. del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto del 9 febbraio 2023, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME Salvatore nella misura di mesi sei di reclusione in ordine al reato di cui agli artt. 40, comma 2, 113 e 589, comma 2, cod. pen., nel resto confermando la decisione con cui il primo giudice aveva: riconosciuto le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza alla contestata aggravante; concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione; condannato l’imputato al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede.
1.1. COGNOME NOME è stato ritenuto responsabile di avere, in cooperazione colposa con altri soggetti giudicati separatamente, nella qualità di Coordinatore per l’esecuzione dei lavori (CSE) e di Direttore dei lavori di un cantiere svolgente opere di ampliamento, ammodernamento e messa in sicurezza di una strada comunale di collegamento tra il centro del Comune di Gualtieri Sicaminò e la frazione di Sicaminò, quale soggetto destinatario dell’ordinanza n. 42 emessa dal Sindaco di Gualtieri Sicaminò in data 9 novembre 2020, contribuito a cagionare la morte di COGNOME NOME, che nel primo pomeriggio del 23 febbraio 2021, a bordo della propria bicicletta da corsa, si era immesso nel tratto di strada interessato dal cantiere, impattando con la parte posteriore di un autocarro che stava procedendo a marcia indietro, così riportando lesioni personali, consistite in “trauma cranico con fuoriuscita di materia cerebrale”, da cui era scaturito il suo decesso.
Nello specifico, l’imputato è stato ritenuto responsabile di avere omesso di accertarsi, nelle ricoperte qualità, che le ditte addette ai lavori avessero effettivamente predisposto le misure di sicurezza indicate nell’ordinanza sindacale n. 42 del 9 novembre 2020, necessarie al fine di prevenire incidenti sui luoghi del cantiere, ed in particolare che avessero realizzato uno sbarramento completo della strada, per l’intera carreggiata, all’inizio e alla fine del cantiere nonché che avessero predisposto opportuna segnaletica stradale.
La condotta del COGNOME è stata, conseguentemente, ritenuta violativa: dell’art. 92, comma 1, lett. b), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per non avere verificato l’idoneità e l’adeguamento del Piano Operativo di Sicurezza e di Coordinamento in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute; dell’art. 92, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 81 del 2008, per non avere adottato, pur avendo riscontrato l’esistenza di un grave pericolo nel cantiere, il provvedimento
di sospensione dei lavori e delle singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate.
1.2. Per come giudizialmente accertato, infatti, al momento del sinistro vi era la presenza sulla sede stradale, interamente interessata dal cantiere, solo di una transenna con due cartelli: l’uno di avviso generico di strada chiusa dal transito veicolare dalle ore 7.00 alle ore 17.30; l’altro, di dimensioni maggiori, recante l’indicazione dei lavori in corso ed un richiamo ad un’ordinanza sindacale del 15 settembre 2020, interdittiva dell’accesso anche ai pedoni per tutta la durata dei lavori. Pertanto, come ritenuto dai giudici di merito, non vi era la presenza sui luoghi di un’idonea segnaletica di sicurezza, mancando la collocazione di barriere, parapetti o altri tipi di recinzioni nel tratto percorribile pedoni, cicli e motocicli, altresì non essendovi neanche una delimitazione dell’area in cui operava il camion per la movimentazione della terra, né la presenza di personale a terra svolgente compiti di segnalazione.
La responsabilità del prevenuto è stata, quindi, affermata per il fatto di non aver prescritto – pur nella comprovata consapevolezza dei rischi derivanti dall’omessa chiusura totale della strada al transito di veicoli e persone – delle misure di sicurezza adeguate e specifiche, verificandone la puntuale adozione da parte delle imprese interessate, eventualmente disponendo, in caso contrario, la sospensione delle attività del cantiere.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo otto motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 113 e 589, comma 2, cod. pen.
Nella sua condotta difetterebbero sia l’elemento soggettivo che oggettivo del reato contestatogli, risultando comprovato come, con disposizione del 9 febbraio 2021, avesse provveduto a segnalare l’inadeguata attuazione dell’ordinanza sindacale n. 42 del 9 novembre 2020, in particolar modo indicando la necessità di adottare misure di sicurezza più pregnanti, come la realizzazione di un sistema di sbarramento dell’intera carreggiata interessata dal cantiere e la predisposizione di una maggiore e più visibile segnaletica. Il rispetto di tali indicazioni sarebbe stato, quindi, verificato dal ricorrente il successivo 15 febbraio 2021, allorquando avrebbe constatato l’avvenuta installazione di un presidio fisso di sicurezza per lo sbarramento della strada, a valle mediante catena in ferro dotata di apposito catenaccio e a monte mediante barriera amovibile in tubolari di ferro.
In ogni modo, pur non sussistendo elementi idonei a consentire la configurazione della sua responsabilità penale, essa non potrebbe essere
comunque qualificata in termini di cooperazione colposa, non avendo offerto nessun tipo di contributo causale, giuridicamente apprezzabile, alla verificazione dell’evento morte, totalmente da ascriversi alla responsabilità di altri soggetti. Nel caso di specie, pertanto, non è configurabile l’istituto giuridico di cui all’ar 113 cod. pen., del quale non ricorrerebbero i presupposti applicativi richiesti dalla giurisprudenza di legittimità.
Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto inosservanza di norme processuali, ed in particolare dell’art. 125 cod. proc. pen. in relazione agli artt 113 e 589 cod. pen., lamentando che la sentenza impugnata non avrebbe offerto motivazione adeguata e sufficiente a far comprendere le ragioni di conferma del riconoscimento della sua responsabilità penale.
Con il terzo motivo il COGNOME ha eccepito inosservanza di norme processuali in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. ed agli artt. 113 e 589 cod. pen., per avere erroneamente confermato la decisione con cui il primo giudice aveva dichiarato inutilizzabile il verbale di sopralluogo del 15 febbraio 2021 – nel quale aveva constatato l’avvenuta installazione di un presidio fisso di sicurezza per lo sbarramento della strada – trattandosi di una prova documentale prodotta tempestivamente dalla difesa, pur a seguito dell’avvenuta ammissione del giudizio abbreviato.
Con la quarta doglianza è stata dedotta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. e agli artt. 113 e 589 cod. pen., per le medesime ragioni illustrate nei precedenti tre motivi di ricorso.
Con la quinta censura il COGNOME ha lamentato inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 113 e 589, comma 2, cod. pen., sul presupposto che i giudici di merito avrebbero errato nel riconoscere la sua colpevolezza, atteso che non sarebbe il CSE, bensì il RUP ad avere la responsabilità della sicurezza nei cantieri in occasione dello svolgimento di lavori pubblici, secondo quanto previsto dalla disciplina del d.lgs. n. 50 del 2016 e del d.lgs. n. 81 del 2008. Il RUP avrebbe dovuto avanzare al CSE e direttore dei lavori segnalazioni in ordine all’attuazione delle misure di sicurezza, cosa, invece, non verificatasi nel caso di specie, peraltro non avendo il RUP neppure riscontrato la disposizione emessa dal Ballì in data 9 febbraio 2021.
L’imputato non avrebbe ricoperto, pertanto, quale CSE e direttore dei lavori, nessuna posizione di garanzia che gli avrebbe imposto di accertare se le imprese esecutrici dei lavori avessero effettivamente predisposto le misure di sicurezza indicate dal Sindaco di Gualtieri Sicaminò nell’ordinanza n. 42 del 9 novembre 2020, non rientrando detto compito tra le espresse competenze rimesse al CSE dagli artt. 90, comma 4, e 92 d.lgs. n. 81 del 2008.
Con la sesta doglianza è stata eccepita inosservanza di norme processuali in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. e agli artt. 113 e 589 cod. pen., per le medesime ragioni illustrate nel quinto motivo di ricorso.
Con la settima censura il ricorrente ha dedotto mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. e agli artt. 113 e 589 cod. pen., per gli stessi motivi indicati ne quinto e nel sesto motivo di ricorso.
Con l’ultima doglianza il COGNOME ha lamentato omessa motivazione in relazione all’art. 62-bis cod. pen., evidenziando l’inadeguatezza delle argomentazioni con cui è stato escluso, pur sussistendone i presupposti, il riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulla contestata aggravante.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il proposto ricorso non è fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato.
L’esame dell’impugnata sentenza consente, infatti, di constatare come le censure dedotte da parte del ricorrente, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe doglianze eccepite nel secondo giudizio, finiscano per riproporre, nella sostanza, motivi coincidenti con quelli già dedotti con l’atto di appello.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilnnente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
Chiarito il superiore aspetto, il Collegio rileva come – a prescindere dalla decisiva valenza della superiore argomentazione – le censure dedotte da parte del COGNOME siano prive, sotto vari profili, della necessaria fondatezza.
Non fondate, in primo luogo, sono le due doglianze introduttive del ricorso, avendo la Corte di merito dato adeguatamente conto delle ragioni di configurazione della penale responsabilità dell’imputato, rispondendo in maniera esaustiva a tutti i motivi di impugnazione dedotti al riguardo, con predisposizione di argomentazioni del tutto logiche e congrue, prive dei prospettati vizi.
Il secondo giudice, infatti, ha operato una corretta applicazione dell’istituto della cooperazione colposa, per come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, congruamente confermando la ricorrenza della posizione di garanzia assunta dal COGNOME nella qualità di coordinatore per l’esecuzione dei lavori e di direttore dei lavori, posta a fianco di quella degli altri imputati a vario tit coinvolti nella gestione del cantiere.
Per come diffusamente esplicato dalla Corte territoriale, l’imputato, nel ricoperto ruolo di coordinatore per l’esecuzione dei lavori e di direttore dei lavori, aveva impartito, con la disposizione del 9 febbraio 2021, prescrizioni solo generiche alle imprese appaltatrici circa le modalità di chiusura della strada per evitare l’accesso al cantiere e, soprattutto, aveva omesso di verificarne l’avvenuta effettiva esecuzione, con speciale riguardo all’operata chiusura della strada mediante l’installazione di idonea segnaletica.
Il COGNOME, inoltre, non aveva accertato l’inidoneità dei POS delle imprese di cantiere, carenti sotto il profilo dell’individuazione di idonea segnaletica e di modalità per la chiusura della strada, né ne aveva sollecitato la modifica una volta verificata in concreto la sussistenza di un rischio di accesso di terzi al cantiere. Non aveva neppure assunto provvedimenti maggiormente drastici volti ad assicurare la necessaria sicurezza dell’area, eventualmente disponendo anche la sospensione dei lavori.
In tal maniera, pertanto, la Corte di appello ha adeguatamente rappresentato, con argomentazione esente da vizio alcuno, oltre che
giuridicamente fondata, le ragioni di contribuzione causale apportata dall’imputato ai fini della verificazione del tragico evento, nella piena consapevolezza, da parte sua, che l’attività svolta in materia di sicurezza si dovesse integrare con quella di altri soggetti cui la legge aveva, del pari, affidato specifiche posizioni di garanzia, e dunque in costanza della convergenza di pluralità di volontà rispetto alle quali il COGNOME aveva assunto piena coscienza di contribuire, con la sua condotta, alla realizzazione di un evento non voluto.
Del tutto priva di pregio è, poi, la censura dedotta con il terzo motivo di ricorso, in quanto palesemente infondata e all’evidenza reiterativa di identica doglianza già adeguatamente disattesa dai giudici di merito.
Il secondo decidente, GLYPH infatti, GLYPH ha compiutamente esplicato, con argomentazione logica e giuridicamente corretta, come il verbale di sopralluogo del 15 febbraio 2021 fosse del tutto inutilizzabile nel presente giudizio, per essere stato prodotto solo in data 3 marzo 2023 – e quindi ben dopo l’avvenuta ammissione dell’imputato al giudizio abbreviato -.
In ogni modo, a prescindere dalla troncante decisività dell’indicato aspetto, la Corte di merito ha anche adeguatamente esplicato come l’eventuale acquisizione di tale prova non avrebbe potuto, comunque, assumere rilievo ai fini dell’avvenuto riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato, atteso che non sarebbe stata in grado di dimostrare l’avvenuta installazione – mediante catena dotata di apposito catenaccio – di un presidio fisso di sicurezza per lo sbarramento della strada a valle, volto ad impedire l’accesso di estranei al cantiere, essendo stato logicamente evidenziato, in termini contrari, come non vi fosse la presenza sui luoghi di nessun punto fisso cui poter agganciare la suddetta catena, in effetti assente al momento dei fatti.
Con riguardo, poi, alle doglianze eccepite nel quarto, sesto e settimo motivo di ricorso, il Collegio rileva come trattasi di censure del tutto generiche e aspecifiche, non incentrate su precisi punti del provvedimento impugnato, non essendo state puntualizzate in esse, se non in virtù di imprecisati richiami a quanto illustrato in precedenti motivi, le specifiche ragioni di doglianza effettivamente espresse, sia fattuali che giuridiche, così omettendo di confrontarsi con le argomentazioni rese nella sentenza impugnata.
Del pari infondata è la censura dedotta con il quinto motivo, non essendo giuridicamente corretta la doglianza con cui il ricorrente ha lamentato l’insussistenza di una sua posizione di garanzia, per essere stata di competenza del RUP, e non già del CSE e del direttore dei lavori, la responsabilità della
sicurezza del cantiere in occasione dello svolgimento di lavori pubblici, secondo quanto previsto dalla disciplina del d.lgs. n. 50 del 2016 e del d.lgs. n. 81 del 2008. Sarebbe spettato al solo RUP, cioè, il compito di verificare l’avvenuta predisposizione da parte delle imprese esecutrici delle misure di sicurezza indicate dal Sindaco di Gualtieri Sicaminò nell’ordinanza n. 42 del 9 novembre 2020.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, invece, il suddetto compito gravava in modo specifico nei confronti dell’imputato, avendo costui dovuto provvedere, nella ricoperta qualità di CSE e direttore dei lavori, a impartire specifiche disposizioni volte a garantire la sicurezza di lavoratori e terzi all’interno del cantiere, anche assicurandosi che tali disposizioni venissero effettivamente adottate.
Per come adeguatamente precisato dalla Corte di appello, con corretta individuazione delle ragioni di responsabilità del prevenuto, nel caso di specie devono trovare applicazione, trattandosi di “cantiere mobile”, le previsioni dell’art. 92, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 81 del 2008, per non avere verificato il Ballì l’idoneità e l’adeguamento del Piano Operativo di Sicurezza e di Coordinamento in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, nonché dell’art. 92, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 81 del 2008, per non avere adottato l’imputato, pur dopo avere riscontrato la presenza nell’area del cantiere di un grave pericolo, il provvedimento di sospensione dei lavori fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese esecutrici. Il prevenuto, cioè, pur nella consapevolezza di quali rischi comportasse la mancata chiusura totale del cantiere a terzi estranei, non aveva dato disposizioni sufficientemente specifiche circa il tipo di segnalazioni da applicare, le modalità con cui la strada doveva essere chiusa e i punti in cui dovevano essere realizzati gli sbarramenti – per l’effetto integrando conseguentemente il POS – infine omettendo di accertare l’avvenuto esatto adempimento delle prescrizioni da lui impartite. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tutte le indicate condotte hanno, pertanto, rappresentato specifiche violazioni della regola cautelare imposta al COGNOME, nella sua qualità, dall’art. 92 del d.lgs. n. 81 del 2008, determinando una responsabilità a lui riferibile, connessa alla sua posizione di garanzia di CSE, rispetto alla quale eventuali condotte omissive o inadempienti imputabili al RUP potrebbero, al più, rilevare solo in termini di cooperazione colposa nella verificazione del tragico evento, senza assumere nessuna valenza causale esonerativa con riguardo alla posizione dell’odierno imputato.
Adeguatamente motivata, infine, è anche la parte della sentenza impugnata relativa al trattamento sanzionatorio, in particolar modo con riguardo alla rappresentazione delle ragioni per cui vi è stato il mancato riconoscimento, in favore dell’imputato, delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulla contestata aggravante.
Sotto tale profilo, infatti, la Corte di merito ha confermato l’esclusione dell’auspicata prevalenza in ragione dell’insussistenza di elementi oggettivi o soggettivi che, tenuto conto della gravità del fatto, potessero giustificare il riconoscimento dell’invocato beneficio.
Trattasi di motivazione che ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza, senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite, con motivazione, pertanto, non sindacabile in questa sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419-01).
D’altro canto – in particolare dopo la modifica dell’art. 62-bis cod. pen. disposta dal d.l. 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla I. 24 luglio 2008, n. 125 – è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri ex art. 133 cod. pen. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381-01). In altri termini, l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, COGNOME ed altro, Rv. 245241-01).
In ragione di tutte le argomentazioni esposte, deve, pertanto, essere disposto il rigetto del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presi ente