Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 38801 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 38801 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Modena il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nata a Modena il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato a Cavezzo il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato a Modena il DATA_NASCITA nel procedimento a carico dei medesimi; avverso la sentenza del 26/10/2023 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di Bologna confermava la sentenza del tribunale di Modena del 22.11.2021 con la quale gli odierni ricorrenti erano stati condannati in ordine ai reati ex art. 10 ter del Dlg 74/2000 (capi a) e c)).
Avverso la predetta sentenza COGNOME NOME e COGNOME NOME, NOME e NOME hanno proposto ricorso per cassazione mediante il proprio difensore, deducendo tre motivi di impugnazione.
n
Con il primo motivo, deducono vizi di violazione di legge anche processuale, rappresentando che la condotta omissiva di cui ai capi a) e c) per cui è intervenuta condanna andava ascritta solo ai due rappresentanti legali di riferimento rispetto alla condotta, e non anche ai soci privi, come nel caso in esame, di potere di firma e di delega fiscale in ordine alla dichiarazione dei redditi, come invece sancito in sentenza, sulla base di un mero obiter dictum acquisito da una visura camerale. Si evidenzia, in proposito, come all’epoca dei fatti i ricorrenti fossero rispettivamente meri soci (le sig.re COGNOME e COGNOME NOME) ovvero vice presidente del CDA ( COGNOME NOME) senza poteri di gestione ex lege ed in assenza di prova circa tali poteri. Il solo dato emergente dalla visura camerale inerirebbe alla mera rappresentanza formale della società e non ad un potere gestorio della medesima.
Con il secondo motivo deducono vizi di motivazione sub specie di contraddittorietà tra l’assoluzione intervenuta cmetamEglWiZiaél , per il capo b), quanto al mancato versamento dell’imposta per il 2014 per non aver commesso il fatto, e le condanne disposte in ordine ai capi a) e c) quanto al mancato versamento dell’imposta per gli anni 2013 e 2015.
Con il terzo motivo deducono la mancanza di motivazione sulla presenza di una causa scrimin& della forza maggiore, da ritenersi assorbente rispetto al dolo generico. Nulla si osserverebbe in sentenza circa la sopravvenuta illiquidità in cui improvvisamente si sarebbe trovata la società dei ricorrenti, né si sarebbe tenuto conto del fatto che gli amministratori avrebbero effettuato interventi finanziari gravosissimi, attingendo dal patrimonio personale, per sostenere l’impresa, e si contesta la tesi per cui al riguardo non sarebbero stati assolti dall difesa oneri di allegazione. Né si sarebbero esaminate e valutate le tesi esposte dai professionisti escussi. In sentenza si riferirebbero inoltre circostanze smentite dalle produzioni documentali difensive, e avrebbero dovute essere considerate anche le contestazioni mosse in sede di controesame al funzionario COGNOME. La conseguenza è quella per cui sarebbero state provate le difficoltà improvvise in cui si è trovata la società Galvan, che avrebbe subito l’aumento del prezzo dello zinco per una misura pari al 200% e sarebbero state dimostrate tutte le misure assunte e idonee a fronteggiare la crisi, innescata da una causa di forza maggiore. Neppure si sarebbe tenuto conto in sentenza di un rogito dimostrativo del fatto che la società, dal luglio 2015, aveva acceso un mutuo, per 300.000 euro, garantito da fideiussioni di COGNOME NOME NOME NOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato. I giudici hanno spiegato la responsabilità dei ricorrenti, (con cariche, nei periodi di interesse, di consiglie di amministrazione – per COGNOME e COGNOME NOME – e Presidente o Vice presidente del CDA per COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME,) all’interno di una società a responsabilità limitata, alla luce del principio, sancito da questa Corte, – seppure con riguardo al caso di cui all’art. 10 bis del Dlgs 74/2000, senza tuttavia che la peculiare casistica decisoria condizioni la portata ampia, dell’indirizzo che qui si sottolinea -, per cui i singoli component del consiglio di amministrazione non sono chiamati a rispondere del reato omissivo in conseguenza dell’applicazione dell’art. 40, cpv., cod. pen., e dunque quali garanti dell’adempimento altrui, bensì quali destinatari diretti dell’obbligo versamento. Trattandosi di società a responsabilità limitata, se, come nel caso di specie, l’ordinaria amministrazione è affidata a più persone disgiuntamente – ed invero non vi è ragione, né è illustrata in ricorso, per obliterare tale da emergente da visura camerale, come riportato in sentenza – ciascun amministratore è autonomamente e singolarmente in grado di porre in essere gli atti estintivi RAGIONE_SOCIALE obbligazioni che impegnano la società (arg. ex artt. 2475, comma 3, e 2257, cod. civ.). Il pagamento dell’obbligazione tributaria, peraltro, costituisce atto giuridico che qualunque amministratore può validamente compiere, non trattandosi di atto di gestione in senso stretto. La suddivisione interna di competenze, dunque, oltre a non essere opponibile ai terzi, non limita la capacità del singolo amministratore di compiere atti giuridici estintivi dell obbligazioni, considerato vieppiù che nel caso concreto “gli amministratori avevano tutti la rappresentanza generale della società” e “la visura, come richiamata anche dai funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Entrate, spettava disgiuntamente a tutti i consiglierilcosì in sentenza), a maggior ragione se al presidente del consiglio di amministrazione non era stata conferita alcuna specifica delega tributaria. Il riparto interno di competenze, ove effettuato, non limita, né esclude il potere di ciascun amministratore, titolare, come già detto, del potere di firma libera e disgiunta, di compiere atti di ordinari amministrazione di qualsiasi genere, anche, in ipotesi, estranei allo specifico settore tecnico di competenza. La divisione di compiti ha natura esclusivamente organizzativa e interna ma non si traduce in un limite al potere di rappresentanza generale della società (art. 2475-bis, cod. civ.) che spetta a ciascun amministratore in quanto tale. Nè può avere alcuna rilevanza, ai fini Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
della pretesa limitazione della responsabilità omissiva, il fatto che i singo amministratori/ricorrenti non abbiano mai amministrato la società in modo paritetico e congiunto. Non si tratta di responsabilità oggettiva, né fondata su un rapporto di causalità omissivo presunto poiché ai fini della integrazione del reato è pur sempre necessario il dolo ( cfr. in motivazione, Sez. 3, n. 2741 del 10/10/2017 (dep. 23/01/2018) Rv. 272028 – 01).
La Corte di appello ha espressamente richiamato anche questo orientamento di legittimità, nell’elaborare la corretta decisione che qui si contesta, senza ch invece i ricorrenti si siano confrontati con queste impostazioni, preferendo, piuttosto, limitarsi a ribadire una tesi già confutata nel giudizio di meri incentrata su una ritenuta dissociazione tra ruoli formali e concreti poteri gestori. Ed invero, va ribadito che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259425).
2. Il secondo motivo, è anche esso inammissibile. Innanzitutto per la genericità, atteso che i ricorrenti si limitano a dedurre dalla intervenut assoluzione per il capo b) la conseguente necessità – pena il vizio di contraddittorietà – di eguale decisione anche per i capi a) e c) in ragione della mera identità della fattispecie criminosa contestata, senza fornire alcuna spiegazione, in fatto e diritto, di tale assunto (né, a volere seguire sino in fon l’impostazione difensiva, spiegando perché la pretesa contraddizione non avrebbe dovuto condurre, piuttosto, sulla base del medesimo rapporto tra le decisioni richiamate, ad una condanna anche per i fatti di cui al capo b). In tal modo si trascura il requisito della specificità dei motivi, che implica non soltant l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base RAGIONE_SOCIALE censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr. tra le altre, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentin Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, COGNOME, Rv. 228586; Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, COGNOME, Rv. 214249). Inoltre, la deduzione difensiva, nella sua impostazione di principio, per cui la precedente assoluzione in primo grado contraddirebbe quella di secondo grado, trascura altresì il principio di fondo, in tema di vizio di contraddittorietà di una decisione giurisdizionale
secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, la contraddittorietà della motivazione di cui all’art.606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., deve essere interna alla sentenza impugnata, sicché la stessa va esclusa nel caso di difforme valutazione di uno stesso fatto da parte RAGIONE_SOCIALE sentenze dei due gradi di merito, essendo anzi questa la naturale conseguenza della libertà di apprezzamento e di giudizio degli organi giurisdizionali, che, mediante la motivazione, espongono, in maniera autonoma ed indipendente, le ragioni RAGIONE_SOCIALE decisioni adottate.(Conf.: n. 11484 del 1986, Rv. 174057-01). (Sez. 3 – , n. 13678 del 20/01/2022 Ud. (dep. 11/04/2022 ) Rv. 283034 – 01). Tale impostazione di principio a maggior ragione si impone quando si tenti, come nel caso in esame, di contrapporre quanto deciso in primo grado su un capo di imputazione, e quanto deciso in secondo grado su altri capi di imputazione, sulla sola base della esistenza di una mera eguale contestazione in diritto (nel caso in esame si valorizza la medesima contestazione del reato ex art. 10 ter del Dlgs. 74/2000) e di diversi esiti decisori finali.
Per vero e per completezza gli stessi giudici appello comunque evidenziano come l’assoluzione per il capo b) sia intervenuta solo per mere ragioni formali.
3. Anche il terzo motivo è inammissibile. I giudici fanno corretta applicazione di numerosi principi correttamente dagli stessi citati in tema di valutazione della eventuale causa di forza maggiore, in caso di crisi di impresa. In proposito è qui sufficiente evidenziare che poiché la forza maggiore postula l’individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, n potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, va escluso che le mere difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, COGNOME, Rv. 255880; Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, COGNOME, Rv. 238986). Tanto alla luce del principio generale per cui nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). Ancora, l’oggettiva impossibilità di adempiere può avere rilevanza solo se dovuta a causa di forza maggiore, e per configurare la sussistenza di tale situazióne è necessario che siano assolti precisi oneri di allegazione, che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto (cfr. da ultimo in motivazione Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 (dep. 25/02/2015) Rv. 263128 – 01 COGNOME). Occorre cioè la prova che non sia stato
altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento RAGIONE_SOCIALE obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, COGNOME NOME; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, COGNOME, Rv. 258055). E’ stato anche precisato che in tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. (Fattispecie, nella quale la Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politic imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità). (Sez. 3, n. 8352 d 24/06/2014 (dep. 25/02/2015) Rv. 263128 – 01).
Nell’ambito del corretto quadro giuridico delineato, i giudici hanno formulato una congrua motivazione evidenziando, da una parte, la carenza di allegazioni funzionali a dimostrare quanto richiesto secondo gli indirizzi di legittimità sopra riportati, laddove si è sottolineato come, anche a voler concedere la intervenuta realizzazione, da parte dei ricorrenti, di personali esborsi patrimoniali, essi no sarebbero risultati che marginali, dall’altra, sottolineando, significativamente, l sussistenza di una precisa scelta di non utilizzare le risorse economiche, pur disponibili, al fine di soddisfare scientemente e prioritariamente altri credit diversi da quelli fiscali in esame, quali debiti verso istituti bancari, fornit dipendenti. Circostanza, quest’ultima, che questa stessa Suprema corte ha più volte evidenziato essere ostativa alla dimostrazione della sopravvenienza non imputabile della impossibilità di soddisfare i crediti tributari.
A fronte di tale congrua motivazione, la deduzione difensiva che rappresenta la avvenuta allegazione di elementi in realtà idonei a dare dimostrazione di una causa di forza maggiore, in linea con gli indirizzi di legittimità, risulta del t generica in assenza di ogni specifica allegazione nonché illustrazione, del materiale che si assume così fornito nelle fasi di merito. Va in proposito ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze. (Cass. Sez. 5, n. 11910 del 22.1.2010 dep.
26.3.2010 rv. 246552). Ancora, è stato altresì precisato che in tema di ricorso per cassazione, la condizione della specifica indicazione degli “altri atti de processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione prec dell’atto nel fascicolo processuale di merito, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. d), e 591 cod. proc. pen. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso che prospettava i vizio di motivazione rispetto a una serie di certificati medici non allegati e di non era stato riportato né il contenuto specifico, né la sede e il momento della relativa produzione) (Sez. 4 – n. 3937 del 12/01/2021 Rv. 280384 – 01).
Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese d procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2024.