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Responsabilità 231 e reati ambientali: la difesa

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società, confermando la sua responsabilità 231 per il reato di gestione illecita di rifiuti. Nonostante il reato presupposto fosse prescritto per l’amministratore, la Corte ha ritenuto la società responsabile per un evidente deficit organizzativo, sottolineando che la mera presenza di un tecnico o di procedure non codificate non è sufficiente a escludere la colpa dell’ente.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Responsabilità 231: La Cassazione e i Reati Ambientali

La responsabilità 231 rappresenta un pilastro fondamentale nel diritto penale d’impresa, estendendo la sanzionabilità anche agli enti per reati commessi nel loro interesse. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti in materia di reati ambientali, specificando come la semplice affermazione di avere procedure interne o personale qualificato non sia sufficiente a esimere la società dalla sua responsabilità. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti del Caso: La Gestione Illecita di Rifiuti

Una società operante nel settore del trattamento dei rifiuti veniva condannata in primo grado e in appello per l’illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. 231/2001. La contestazione era legata alla commissione, a suo vantaggio, del reato di gestione illegittima di rifiuti pericolosi, trattati come se non lo fossero. Sebbene il procedimento penale contro l’amministratore (la persona fisica) si fosse concluso con una declaratoria di prescrizione, la responsabilità dell’ente era stata comunque accertata.

La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo di aver adottato tutte le cautele necessarie. La difesa si basava principalmente su due argomenti: la presenza in organico di un ingegnere ambientale e l’adozione di una procedura standardizzata per l’analisi a campione dei rifiuti in ingresso, elementi che, a suo dire, avrebbero dovuto escludere la colpa dell’organizzazione.

La Tesi Difensiva e la presunta violazione della responsabilità 231

La difesa della società si è articolata su due punti principali:

1. Mancata considerazione delle misure preventive: Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero dato il giusto peso alla presenza di un ingegnere ambientale e all’esistenza di procedure di controllo, elementi che avrebbero dovuto dimostrare la diligenza dell’ente e interrompere il nesso causale tra l’organizzazione aziendale e il reato.
2. Illogicità della motivazione: Si contestava la logica della sentenza d’appello, in particolare laddove si affermava l’autonoma responsabilità dell’ente basandosi unicamente sulle dichiarazioni degli operatori dell’ARPA, che avevano constatato il mancato rispetto della normativa tramite analisi a campione.

In sostanza, la società tentava di dimostrare che il reato era un evento sporadico e non il frutto di un deficit organizzativo strutturale.

Le Motivazioni della Cassazione: Responsabilità 231 e Deficit Organizzativo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni difensive infondate e orientate a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La decisione si fonda su alcuni punti chiave.

Innanzitutto, la Corte ha evidenziato come le sentenze di primo e secondo grado costituissero una “doppia conforme”, con motivazioni coerenti e saldamente ancorate alle risultanze processuali. Dall’istruttoria era emerso chiaramente che la società non aveva adottato alcun modello organizzativo specifico né aveva codificato prassi concrete per prevenire l’ingresso di rifiuti non autorizzati.

La difesa è stata definita “generica”, poiché la semplice presenza di una figura tecnica come l’ingegnere ambientale, senza che ne fossero specificate le effettive e concrete funzioni di controllo, non costituisce una prova sufficiente dell’adozione di un modello idoneo. L’indagine ha rivelato una “evidente e generalizzata incuria” da parte dei gestori.

Inoltre, è stato provato che nello stabilimento erano presenti rifiuti pericolosi facilmente identificabili, senza alcuna documentazione sulla loro natura e provenienza. L’amministratore, interpellato in merito, non era stato in grado di fornire i risultati di eventuali analisi effettuate. Questo dimostra che le procedure di controllo, se anche esistenti sulla carta, non erano state concretamente attuate.

Conclusioni: Cosa Imparare da questa Sentenza

La pronuncia della Cassazione ribadisce un principio cruciale in tema di responsabilità 231: per escludere la colpa dell’ente non basta allegare l’esistenza di procedure o la presenza di personale qualificato. È necessario dimostrare in modo puntuale e documentato di aver implementato un modello organizzativo e di gestione (MOG) concreto, efficace e specificamente volto a prevenire la commissione dei reati-presupposto.

Un deficit organizzativo, come quello riscontrato nel caso di specie, rende l’ente direttamente responsabile, poiché è proprio questa carenza a rendere possibile la commissione del reato a suo vantaggio. Le aziende devono quindi investire in modelli di compliance reali e verificabili, non limitandosi a enunciazioni di principio, per proteggersi efficacemente dal rischio di incorrere nella responsabilità prevista dal D.Lgs. 231/2001.

La prescrizione del reato per la persona fisica elimina la responsabilità 231 della società?
No. Come emerge dalla sentenza, la responsabilità dell’ente è autonoma. Anche se il reato commesso dalla persona fisica è dichiarato estinto per prescrizione, la società può essere comunque ritenuta responsabile se viene accertato che il reato è stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio e deriva da un deficit organizzativo.

Avere un ingegnere ambientale in organico è sufficiente a escludere la responsabilità 231 per reati ambientali?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la mera presenza di una figura qualificata non è di per sé una prova sufficiente. È necessario dimostrare che tale figura era inserita in un modello organizzativo concreto ed efficace, con compiti di controllo specifici e realmente attuati, volti a prevenire la commissione di quel tipo di reato.

Cosa si intende quando la Cassazione parla di “generiche deduzioni difensive”?
Significa che le argomentazioni della difesa sono rimaste a un livello di mera enunciazione, senza fornire elementi di prova puntuali, precisi e concreti. Ad esempio, affermare di avere procedure standard senza documentarle o senza dimostrare la loro effettiva applicazione è considerata una deduzione generica e, come tale, non idonea a contestare la motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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