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Residenza reddito di cittadinanza: condanna confermata

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di falsa dichiarazione finalizzata a ottenere il reddito di cittadinanza. La ricorrente aveva dichiarato falsamente di possedere il requisito della residenza decennale. La Corte ha stabilito che la successiva dichiarazione di incostituzionalità del requisito decennale, ridotto a quinquennale dalla Corte Costituzionale, non estingue il reato, poiché la residenza effettiva della ricorrente era comunque inferiore anche al nuovo limite di cinque anni. La Corte ha inoltre respinto la tesi difensiva sulla mancanza di consapevolezza, confermando la piena rilevanza penale della condotta.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Residenza Reddito di Cittadinanza: La Cassazione Fa Chiarezza sul Reato di Falsa Dichiarazione

La questione della residenza per il reddito di cittadinanza è stata al centro di un complesso dibattito giuridico che ha coinvolto le più alte corti nazionali ed europee. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 34369 del 2025, ha messo un punto fermo su un aspetto cruciale: la rilevanza penale delle false dichiarazioni anche a seguito della riduzione del requisito di residenza da dieci a cinque anni. Analizziamo insieme i fatti, le motivazioni e le conclusioni di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una cittadina straniera condannata in primo e secondo grado per aver falsamente dichiarato, al fine di ottenere il reddito di cittadinanza, di essere residente in Italia da almeno dieci anni. In realtà, la sua permanenza nel territorio nazionale era significativamente più breve, essendo arrivata in Italia nel giugno 2017 e avendo presentato la domanda nel dicembre 2020. La difesa ha impugnato la condanna in Cassazione, basando il ricorso principalmente sulla sopravvenuta illegittimità costituzionale del requisito decennale, ridotto a cinque anni da una storica sentenza della Corte Costituzionale.

Il Complesso Dialogo tra Corti Nazionali ed Europee

Per comprendere la decisione della Cassazione, è fondamentale analizzare il contesto in cui si inserisce. La questione del requisito di residenza è stata oggetto di due pronunce fondamentali ma con impostazioni diverse:

1. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE): Con sentenza del 29 luglio 2024, la CGUE ha stabilito che la normativa italiana che subordinava l’accesso al beneficio a un requisito di residenza di dieci anni era in contrasto con il diritto dell’Unione. La Corte europea ha qualificato il reddito di cittadinanza come una ‘prestazione sociale’, concludendo che una richiesta di residenza così lunga fosse discriminatoria per i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.

2. La Corte Costituzionale Italiana: Con la sentenza n. 31 del 20 marzo 2025, la Consulta ha preso una strada diversa. Pur dichiarando incostituzionale il requisito dei dieci anni e riducendolo a cinque, ha specificato che il reddito di cittadinanza non è una mera misura assistenziale, ma uno strumento complesso di inclusione sociale e lavorativa. Questa natura ‘attiva’ giustifica, secondo la Corte, un requisito di radicamento territoriale, sebbene quello decennale fosse sproporzionato.

La Decisione sulla Residenza per il Reddito di Cittadinanza e le Sue Implicazioni Penali

La Corte di Cassazione, chiamata a decidere sul ricorso, ha scelto di allinearsi all’interpretazione della Corte Costituzionale. Ha ribadito che il reddito di cittadinanza non può essere ridotto a semplice assistenza sociale, data la presenza di obblighi di attivazione lavorativa e sociale per i beneficiari. Questa qualificazione è cruciale perché legittima la previsione di un requisito di residenza che dimostri un legame stabile con il territorio.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso sulla base di due argomentazioni principali.

In primo luogo, ha chiarito che l’intervento della Corte Costituzionale non ha abolito il reato di falsa dichiarazione. La sentenza della Consulta ha avuto un effetto ‘parzialmente demolitorio’: ha ridotto il requisito da dieci a cinque anni, ma non lo ha eliminato. Di conseguenza, la condotta di chi dichiara il falso rimane penalmente rilevante se la residenza effettiva non raggiunge nemmeno il nuovo limite quinquennale. Nel caso di specie, la ricorrente risiedeva in Italia da circa tre anni e mezzo al momento della domanda, un periodo inferiore sia ai dieci anni originari sia ai cinque anni stabiliti dalla Consulta. La sua dichiarazione era, quindi, oggettivamente falsa e la condotta illecita.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alla mancanza di ‘paternità consapevole dell’atto’. La difesa sosteneva che l’imputata non fosse pienamente cosciente della falsità della sua dichiarazione. La Cassazione ha ritenuto questa argomentazione generica e non supportata da prove, sottolineando che la ricorrente aveva sottoscritto i moduli necessari e che un eventuale errore sulla normativa non scusa, configurandosi come un irrilevante errore su legge penale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di diritto fondamentale: la riduzione del requisito di residenza per il reddito di cittadinanza non sana le condotte di chi ha fornito dichiarazioni false. Il reato sussiste ogni volta che la residenza effettiva sia inferiore al limite legale, che oggi è fissato in cinque anni. La decisione riafferma la natura complessa del beneficio, distinguendolo dalle mere prestazioni assistenziali, e conferma la legittimità di un apparato sanzionatorio penale a tutela della corretta erogazione delle risorse pubbliche.

La riduzione del requisito di residenza per il Reddito di Cittadinanza da 10 a 5 anni cancella il reato per chi ha dichiarato il falso in precedenza?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la riduzione del requisito non cancella il reato. La condotta resta penalmente rilevante se la residenza effettiva del dichiarante al momento della domanda era inferiore anche al nuovo limite di cinque anni.

Perché la Corte di Cassazione non ha seguito l’interpretazione della Corte di Giustizia Europea che considerava il requisito di 10 anni illegittimo?
La Cassazione ha aderito all’impostazione della Corte Costituzionale italiana, la quale ha qualificato il Reddito di Cittadinanza non come una mera prestazione di assistenza sociale (come assunto dalla CGUE), ma come una misura complessa di inclusione attiva nel lavoro e nella società. Questa diversa natura giustifica, secondo le corti italiane, l’esistenza di un requisito di stabile radicamento territoriale.

È possibile difendersi dall’accusa di falsa dichiarazione sostenendo di non aver capito bene la legge o i moduli da firmare?
No, di norma non è una difesa efficace. La Corte ha ritenuto che l’ignoranza o l’errore sui requisiti per ottenere il beneficio si risolve in un errore sulla legge penale, che secondo l’articolo 5 del codice penale non esclude la punibilità, a meno che non si tratti di un’ignoranza ‘inevitabile’, circostanza non riscontrata nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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