Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16006 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16006 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 484/2025
CC – 03/04/2025
Relatore –
R.G.N. 1501/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nata ad ORISTANO il 29/10/1996; avverso l’ordinanza del 09/12/2024 della Corte d’appello di Cagliari Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dell’istanza.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza del 9.12.2024, emessa dalla Corte di Appello di Cagliari in funzione di giudice dell’esecuzione, è stata rigettata l’istanza di restituzione nel termine per proporre impugnazione avanzata nell’interesse di NOME ed è stata, altresì, dichiarata inammissibile la richiesta di rescissione del giudicato ex art. 629-bis cod. proc. pen. presentata anch’essa in relazione alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Cagliari in data 23 aprile 2024 – depositata fuori termine e divenuta irrevocabile in data 2 novembre 2024 – che aveva condannato NOME giudicata in assenza, in ordine al reato di cui agli articoli 110, 624-bis 625 n. 2 cod.
pen.; ed è stata contestualmente rigettata anche la richiesta di sospensione dell’esecuzione di tale pronuncia ai sensi dell’art. 635 c.p.p.
Avverso la suindicata ordinanza ricorre per cassazione la predetta, tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Col primo motivo deduce, in relazione al rigetto dell’istanza di remissione nel termine per l’impugnazione, la erronea applicazione delle norme di cui all’art. 175 del codice di rito, nonché vizi di motivazione per assenza e manifesta illogicità e violazione dell’art. 24, comma 2, Cost. e dell’art. 6 C.e.d.u. Secondo il provvedimento impugnato la sospensione dall’albo professionale del difensore non può fondare una richiesta di restituzione nel termine in quanto non configura ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. In tale motivazione tuttavia nessun cenno viene fatto alla specifica situazione della imputata COGNOME assistita d’ufficio dal difensore, avv. NOME COGNOME con il quale non aveva alcun contatto professionale. Il provvedimento impugnato viene motivato richiamando la costante giurisprudenza di legittimità e, tuttavia, si deve evidenziare che i precedenti della Corte di Cassazione in materia non sembrano conferenti in quanto gli stessi riguardano la ben diversa situazione di assistenza difensiva liberamente scelta dall’imputato, connotata pertanto da un legame fiduciario tra difensore ed assistito. Nel caso di specie, invece, non si può certo imputare alla ricorrente un mancato controllo circa l’esatta osservanza dell’incarico difensivo: tra essa e il suo precedente difensore d’ufficio non vi era stato, infatti, alcun contatto e neppure alcun rapporto fiduciario. Essendo l’imputata affidata al sistema di difesa garantito dallo Stato, avrebbe dovuto lo Stato, a valle della sospensione disciplinare del professionista incaricato di ufficio, fornire un pronto sostituto, così da garantirle un completo esercizio del diritto di difesa. A ciò si aggiunga che l’ipotesi della sospensione disciplinare dall’albo è equiparabile a quella dell’abbandono di difesa sicché incombeva al Consiglio dell’Ordine individuare un nuovo difensore per l’imputata. Vi sono peraltro pronunce di questa Corte che, con riferimento proprio al caso della sospensione o della cancellazione dall’albo del difensore, si sono espresse in termini di astratta configurabilità dell’ipotesi della forza maggiore, cui consegue il diritto del nuovo difensore, eventualmente nominato dall’imputato, alla restituzione nel termine nella sua integralità.
2.2.Col secondo motivo deduce, in ordine alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza di rescissione del giudicato, l’erronea applicazione delle norme di cui all’art. 127 e 629 bis del codice di rito, nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione. Nell’istanza originaria si era evidenziato che l’imputata era stata giudicata in assenza, che non aveva avuto quindi alcuna conoscenza del processo a
suo carico e della sentenza di condanna anteriormente alla notifica dell’ordine di carcerazione e che non aveva avuto alcun contatto con il difensore di ufficio, allegando allo scopo dichiarazione di quest’ultimo ricevuta a mezzo mail dal difensore incaricato al momento della notifica dell’ordine di carcerazione. Si era altresì evidenziato che tutte le notificazioni degli atti del processo, ivi compresa quella relativa al decreto di citazione a giudizio, non risultano ricevute personalmente dalla condannata. Era stata altresì chiesta alla Corte di appello l’acquisizione d’ufficio del fascicolo di primo grado, ma tale istanza era stata rigettata, con decisione de plano , ritenendola manifestamente infondata per difetto della relativa prova.
Ebbene, innanzitutto non sembra corretto il pronunciamento di inammissibilità in quanto fondato sulla mera richiesta difensiva di acquisire d’ufficio l’intero fascicolo del primo grado ad integrazione di ciò che si era già prodotto, ovvero la sentenza di primo grado ove risultava che l’imputata era rimasta assente tutta la durata del processo e la dichiarazione del difensore di ufficio sulla mancata instaurazione del rapporto processuale professionale con l’assistita di ufficio. La Corte di appello illegittimamente adotta la procedura de plano e dichiara l’inammissibilità dell’istanza non per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento della domanda ma esclusivamente sulla base di un asserito difetto di prova, senza pronunciarsi sull’assenza o meno di probabilità di accoglimento della domanda; laddove la stessa, a fronte delle allegazioni di difensive, non avrebbe potuto giungere alla declaratoria di inammissibilità, ma avrebbe dovuto, piuttosto, fare uso dei propri poteri di acquisizione delle informazioni necessarie ai fini della verifica degli elementi addotti con l’istanza in argomento.
L’onere probatorio che incombe sul condannato che formula istanza di rescissione del giudicato secondo la giurisprudenza di legittimità implica l’allegazione di documentazione a supporto a fronte della quale eventualmente il giudice investito della richiesta potrà procedere all’acquisizione di documentazione integrativa per chiarire aspetti ambigui e colmare eventuali lacune nella documentazione prodotta. A fronte, pertanto, della richiesta difensiva e della documentazione allegata, la Corte di appello avrebbe dovuto procedere all’acquisizione del fascicolo di primo grado e solo all’esito di tale acquisizione avrebbe potuto ritenere l’istanza manifestamente infondata.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni.
Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte, con la requisitoria scritta pervenuta in atti, ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è inammissibile.
Innanzitutto, occorre premettere che la nuova disposizione dell’art. 629bis, come sostituita dall’art. 37 comma 1 del d.lgs. del 10 ottobre 2022 n. 150, trova applicazione a decorrere dal 30.12.2022, ex art. 99-bis del medesimo d.lgs. così come modificato dall’art. 6 del d.l. 31 ottobre 2022 n. 162, convertito, con modificazioni, nella l. 30 dicembre 2022 n. 199.
L’elemento decisivo, ai fini dell’applicazione della disciplina previgente o successiva in tema di processo in assenza, è stato individuato, dal legislatore della riforma, nella dichiarazione di assenza. L’art. 89, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 fissa, infatti, come regola generale che se nel processo pendente è già stata pronunziata, in qualsiasi stato e grado del procedimento e prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, l’ordinanza dichiarativa dell’assenza continueranno ad applicarsi le norme introdotto dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 anche con riferimento alla disciplina dei mezzi di impugnazione, comprese le norme relative alle nullità in appello, alla rescissione del giudicato ed alla sospensione della prescrizione, a seguito della sospensione del processo, ai sensi della formulazione ante riforma dell’art 159 c.p. comma 1, n. 3 bis.
1.1.Ciò posto, si evidenzia che il ricorso – al pari delle originarie richieste rivolte alla Corte di appello – adduce genericamente – e su tale premessa imposta sia le deduzioni afferenti la declaratoria di inammissibilità della richiesta di rescissione sia quelle relative al rigetto della richiesta di restituzione nel termine ai sensi dell’art. 175 comma 1 cod. proc. pen. (rimasto invariato a seguito della riforma introdotta dal d.lgs. n. 150/2022) – che la condannata, all’epoca imputata, non avrebbe avuto conoscenza del processo, se non all’atto della notificazione dell’ordine di carcerazione, per non essere intervenute le notificazioni degli atti personalmente nei suoi confronti. Si evidenziava, in buona sostanza, già nelle istanze originarie di non poter offrire, allo stato, ulteriori elementi di valutazione non avendo potuto, la difesa, ancora visionare il fascicolo del processo sebbene richiesto al precedente difensore di ufficio, indi si chiedeva la possibilità di integrare la documentazione allegata, nonché, alla Corte di appello, di procedere all’acquisizione del fascicolo del dibattimento. Si fondavano entrambe le richieste sulla mera prospettazione della circostanza che la COGNOME non avrebbe mai avuto conoscenza del processo e sarebbe stata giudicata in assenza, allegando unicamente la dichiarazione del difensore di ufficio che avrebbe affermato di non avere avuto, per quanto a suo ricordo, alcun contatto con l’allora imputata. E, a
supporto della richiesta di restituzione nel termine per impugnare, si evidenziava che il difensore di ufficio era stato sospeso dall’esercizio della professione dal 30.9.2024 al 30.11.2024, ossia proprio nell’arco di tempo in cui decorrevano i termini per impugnare la sentenza di primo grado, senza che, a quanto consta, fosse intervenuta da parte dell’autorità giudiziaria procedente la designazione di un nuovo difensore, con la conseguenza che l’imputata era rimasta priva di difensore per impugnare per caso fortuito o forza maggiore, ossia per evento a lei non imputabile.
Tali argomenti vengono in buona sostanza reiterati dalla difesa col ricorso in scrutinio, arricchiti con riferimenti a pronunce di questa Corte di legittimità in tema di sospensione o cancellazione del difensore dall’albo professionale, ritenute inconducenti rispetto al caso di specie in quanto relative al caso in cui il difensore sospeso o cancellato era stato nominato di fiducia e non di ufficio.
Ci si duole del fatto che, nonostante la richiesta di acquisizione del fascicolo del dibattimento fosse stata avanzata ad integrazione degli elementi già allegati dalla difesa – notificazioni non intervenute a mani proprie, assenza dell’imputata emergente dalla sentenza del Tribunale e dichiarazione del difensore di ufficio circa la mancata instaurazione di contatti con l’assistita – la Corte di appello non aveva provveduto in tal senso ed aveva, per un verso, rigettato la richiesta di restituzione nel termine e, per altro verso, addirittura dichiarato inammissibile l’istanza di rescissione.
Ebbene, balza evidente che è la stessa prospettazione dei presupposti legittimanti le due richieste ad essere generica, a non possedere quei requisiti minimi affinché esse potessero trovare accoglimento, genericità che si è poi ripercossa sul contenuto del ricorso in scrutinio che pecca a sua volta di aspecificità, essendo anch’esso rimasto ancorato ad espetti che la difesa adduce senza avere nemmeno preso cognizione degli atti. La prospettazione difensiva, che, secondo quanto precisa lo stesso difensore, non scaturisce dalla consultazione degli atti – non esaminati, sebbene il predetto ben avrebbe potuto e dovuto accedere, innanzitutto lui, al fascicolo del procedimento per verificare ciò che è accaduto durante il suo corso al fine di avanzare, a ragion veduta, e non in via esplorativa, eventuali richieste restitutorie o rescissorie – si risolve in una sorta di mandato esplorativo rivolto alla Corte di appello sulla base della mera circostanza che sia la condizione di assente che l’assistenza del difensore di ufficio risultano dalla sentenza del Tribunale e dell’assunto di una dichiarazione di assenza effettuata non personalmente all’imputata (senza nemmeno indicarsi le ragioni per le quali la notificazione non a mani proprie non sarebbe stata idonea a determinare la conoscenza del processo né precisare se la dichiarazione di assenza dovesse
comunque ritenersi formalmente corretta o affetta da nullità per vizi affliggenti la notificazione).
Il ricorso, per altro verso, ritiene di avere supportato l’assunto della mancata conoscenza dell’imputata della pendenza del processo attraverso la mera allegazione del comportamento del difensore di ufficio, senza neppure indicare la ragione per la quale esso avrebbe assunto rilievo ai fini della effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputata.
Laddove, quando è poi nell’ambito del giudizio di rescissione che il giudice deve verificare, se a fronte della regolarità formale della notificazione della citazione a giudizio, l’imputato – rimasto inerte per tutto l’arco del giudizio – sia venuto effettivamente a conoscenza del processo o meno, non potrà non assumere rilievo, innanzitutto, ciò che lo stesso promotore dell’istanza di rescissione prospetta. Non è evidentemente sufficiente, in tal caso, che egli si limiti ad addure che tale sua inattività sia dipesa da incolpevole mancata conoscenza del processo, ma dovrà indicare le specifiche ragioni che, pure a fronte della, comunque, intervenuta notificazione, sia pure non a mani proprie, gli hanno impedito di venire a conoscenza del processo.
A maggior ragione s’impone l’adeguata prospettazione dell’istante nel caso in cui si assume che la dichiarazione di assenza sia stata effettuata in mancanza dei presupposti previsti dall’art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen.
L’art. 629-bis del codice di rito, anche nella formulazione antecedente alla riforma Cartabia, prevede che l’onere probatorio ricada sull’istante.
D’altra parte, nell’ambito del giudizio di rescissione il diretto interessato non è più assente e la sua interlocuzione al riguardo diventa imprescindibile: essendo egli il soggetto direttamente coinvolto che assume di non essere venuto a conoscenza – non per sua colpa – del processo, dovrà, dunque, egli indirizzare il giudice indicando le specifiche ragioni che gli hanno impedito la conoscenza del processo e di impugnare nei termini senza sua colpa.
E quando ciò non accade, come nel caso di specie, la richiesta di rescissione non può che essere dichiarata inammissibile.
Come ha già avuto modo di affermare questa Corte con la sentenza Sez. 6, Sentenza n. 17836 del 27/05/2020, Rv. 279026 -01, in tema di rescissione del giudicato, è legittima la dichiarazione di inammissibilità per manifesta infondatezza pronunciata “de plano”, in quanto l’art. 629-bis cod. proc. pen. rinvia all’art. 127 cod. proc. pen., il cui comma 9 consente di provvedere “senza formalità di procedura” alla dichiarazione di ogni causa di inammissibilità dell’atto introduttivo, sicché l’instaurazione del contraddittorio camerale è necessaria solo nel caso in cui occorra procedere a valutazioni di merito sulla
richiesta di rescissione; laddove la Corte di appello nel provvedimento impugnato si è espressa in termini di manifesta infondatezza avendo essa ritenuto la palesa insussistenza dei presupposti fondanti la pretesa rescissoria alla stregua delle generiche prospettazioni difensive.
1.2. E’ solo il caso di aggiungere, quanto alla richiesta di restituzione nel termine per forza maggiore, che, ferma restando la genericità degli assunti che hanno costituito premessa descrittiva comunque e che in ogni caso anche in relazione a tale istanza non si fondano su allegazioni specifiche, come ha già avuto modo di osservare questa Corte in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso una sentenza di condanna, non integra un’ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore la sospensione o la cancellazione del difensore dall’albo professionale, anche nel caso in cui risulti che il professionista abbia omesso di informare della circostanza il suo assistito (cfr. per tutte, Sez. 1, Ordinanza n. 21222 del 25/05/2006, Rv. 233865 – 01). Incombe, infatti, su quest’ultimo, comunque, l’onere di scegliere un difensore professionalmente valido e, in ogni caso, anche nell’ipotesi di difensore di ufficio, di vigilare sulla esatta osservanza dell’incarico da parte dello stesso.
A ciò si aggiunga che, più in generale, la decadenza dell’imputato dal termine per proporre appello non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto ascrivibile al difensore, atteso che all’imputato personalmente spetta la facoltà di impugnare, in via autonoma e concorrente rispetto al difensore (Sez. 2, Sentenza n. 13803 del 10/03/2021, Rv. 281033 – 01; conf. anche n. 2591 del 1994); facoltà che evidentemente sussisteva anche nel caso di specie.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 03/04/2025. Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME