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Rescissione del giudicato: quando scatta il termine?

Un uomo, condannato in assenza, ha richiesto la rescissione del giudicato dopo essere stato notificato di un ordine di esecuzione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo che il termine di 30 giorni per la richiesta decorre dal momento della conoscenza effettiva della sentenza, fornita dall’ordine di esecuzione, e non dalla consultazione completa del fascicolo processuale. La richiesta è stata quindi giudicata tardiva.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rescissione del Giudicato: La Notifica dell’Esecuzione Fa Scattare il Termine

Nel complesso panorama della procedura penale, i termini processuali rappresentano pilastri fondamentali per la certezza del diritto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante precisazione sul dies a quo, ovvero il momento di decorrenza, del termine per richiedere la rescissione del giudicato. Questo strumento, disciplinato dall’art. 629-bis del codice di procedura penale, consente di rimettere in discussione una sentenza di condanna definitiva quando l’imputato è stato giudicato in assenza senza aver avuto effettiva conoscenza del processo. La pronuncia in esame stabilisce che la notifica dell’ordine di esecuzione è sufficiente a far partire il conteggio dei 30 giorni.

I Fatti del Caso

Un individuo, condannato in via definitiva per rapina aggravata con una sentenza emessa in sua assenza, proponeva ricorso in Cassazione contro l’ordinanza della Corte di Appello che aveva dichiarato inammissibili le sue richieste. L’imputato, venuto a conoscenza della condanna a seguito della notifica di un ordine di esecuzione di pene concorrenti, aveva presentato, oltre 30 giorni dopo tale notifica, un’istanza principale di rescissione del giudicato e una subordinata di restituzione nel termine per impugnare.
La Corte territoriale aveva rigettato entrambe le istanze per tardività, sostenendo che il termine di 30 giorni dovesse decorrere dalla data di notifica dell’ordine di esecuzione, momento in cui il condannato aveva acquisito conoscenza della sentenza.

La Decisione della Cassazione e la Rescissione del Giudicato

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello, rigettando il ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Secondo i giudici di legittimità, la richiesta di rescissione del giudicato era stata presentata oltre il termine perentorio di 30 giorni stabilito dalla legge.
La Corte ha affrontato e respinto i tre motivi di ricorso, fornendo una chiara interpretazione della normativa vigente, in particolare alla luce delle modifiche introdotte dalla Riforma Cartabia.

Le Motivazioni della Sentenza

Il “Dies a Quo” per la Rescissione del Giudicato dopo la Riforma Cartabia

Il punto centrale della controversia riguardava l’interpretazione della locuzione “momento della avvenuta conoscenza della sentenza”, introdotta dalla Riforma Cartabia all’art. 629-bis c.p.p. in sostituzione della precedente “conoscenza del procedimento”. Il ricorrente sosteneva che tale conoscenza dovesse essere intesa come cognizione piena e integrale del contenuto della sentenza e degli atti processuali, non realizzabile con la semplice notifica di un ordine di esecuzione.
La Cassazione ha respinto questa tesi. Ha chiarito che la modifica legislativa mirava a creare maggiore certezza. Il dies a quo per la rescissione del giudicato si individua nella precisa ed effettiva cognizione degli elementi essenziali del provvedimento: l’autorità giudiziaria emittente, il fatto che sia stata inflitta una condanna e gli estremi della stessa. Tali informazioni sono contenute nell’ordine di esecuzione, il quale è quindi un atto idoneo a far decorrere il termine. Attendere la cognizione dell’intero apparato motivazionale o del fascicolo processuale, secondo la Corte, significherebbe affidare alla discrezionalità del condannato la scelta del momento in cui far partire il termine, eludendo la natura perentoria dello stesso.

L’Inidoneità dell’Ordine di Esecuzione

Il secondo motivo di ricorso si basava sull’assenza, nell’ordine di esecuzione notificato, dell’avviso circa la facoltà di chiedere la restituzione nel termine o la rescissione del giudicato, previsto da una recente normativa. Il ricorrente deduceva che tale mancanza rendesse l’atto “inidoneo” a costituire il dies a quo.
Anche questo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha osservato che il codice di rito non prevede alcuna nullità specifica per questa omissione. Di conseguenza, la notifica di un ordine di esecuzione che indica espressamente gli estremi della decisione definitiva è sufficiente a far scattare il termine perentorio per la proposizione della richiesta di rescissione del giudicato.

La Richiesta di Rimessione in Termini

Infine, il ricorrente lamentava che la Corte d’Appello avesse erroneamente ignorato una richiesta di rimessione in termini per la proposizione dell’istanza di rescissione, basata su ostacoli oggettivi (disfunzioni della cancelleria) incontrati nell’accesso agli atti. La Cassazione ha ritenuto anche questa doglianza infondata, sottolineando che tale istanza era stata avanzata solo tardivamente nel corso dell’udienza e non nell’atto originario. La richiesta iniziale, depositata oltre i termini, riguardava la rescissione o la restituzione nel termine per impugnare la sentenza di merito, non la restituzione nel termine per presentare la stessa istanza di rescissione a causa di forza maggiore.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di rigore e certezza procedurale. Per la richiesta di rescissione del giudicato, il termine di 30 giorni inizia a decorrere non da una conoscenza soggettiva e completa degli atti, ma dal momento oggettivo in cui il condannato ha notizia certa dell’esistenza di una sentenza definitiva a suo carico. La notifica di un ordine di esecuzione, contenente gli elementi identificativi della condanna, è ritenuta a tal fine un atto pienamente sufficiente e idoneo. Questa interpretazione bilancia la tutela del condannato assente con l’esigenza di stabilità del giudicato, evitando che i termini processuali possano essere manipolati a piacimento.

Da quando decorre il termine di 30 giorni per chiedere la rescissione del giudicato?
Secondo la sentenza, il termine di 30 giorni decorre dal momento in cui il condannato acquisisce una conoscenza precisa ed effettiva degli estremi della sentenza definitiva, come l’autorità che l’ha emessa e la condanna inflitta. La notifica di un ordine di esecuzione che contiene queste informazioni è considerata sufficiente a far partire il termine.

È necessario conoscere il contenuto completo della sentenza e del fascicolo per poter chiedere la rescissione del giudicato?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che non è richiesta la conoscenza dell’intero apparato motivazionale della sentenza o degli atti processuali. La cognizione degli elementi essenziali del provvedimento è sufficiente per attivare il termine decadenziale, per evitare di lasciare alla discrezionalità del condannato la scelta del momento per agire.

L’ordine di esecuzione è valido per far decorrere il termine anche se non contiene l’avviso sulla facoltà di chiedere la rescissione?
Sì. La Corte ha stabilito che l’assenza di un avviso specifico nell’ordine di esecuzione circa la facoltà di chiedere la rescissione del giudicato non rende l’atto inidoneo a far decorrere il termine, poiché il codice di procedura penale non prevede una nullità specifica per tale omissione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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