Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25362 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25362 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Somalia il 01/01/1990
avverso l’ordinanza del 22/01/2025 della Corte d’appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22/01/2025, la Corte d’appello di Catania dichiarava inammissibile la richiesta, che era stata personalmente presentata da NOME COGNOME diretta a ottenere di rescissione del giudicato di cui alla sentenza del 22/11/2022 della Corte d’appello di Catania, divenuta irrevocabile il 08/12/2022, con la quale era stata confermata la condanna dell’COGNOME per i reati di rapina aggravata in concorso e lesioni personali aggravate in concorso, con rideterminazione della relativa pena in quattro anni e sette mesi di reclusione ed € 1.300,00 di multa.
La Corte d’appello di Catania dichiarava l’inammissibilità della suddetta richiesta di rescissione del giudicato per essere stata la stessa presentata oltre il termine di trenta giorni dall’avvenuta conoscenza della sentenza che è previsto
dall’art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen., avendo individuato il dies a quo della decorrenza del suddetto termine nel momento della consegna dell’COGNOME in attuazione del mandato di arresto europeo esecutivo che era stato emesso nei suoi confronti.
2. Avverso la menzionata ordinanza del 22/01/2025 della Corte d’appello di Catania, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen.: a) l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 629-bis cod. proc. pen. in combinato disposto con l’art. 143 dello stesso codice, «poiché erroneamente valutato il decorso del termine per l’impugnazione a partire dal giorno della consegna del condannato all’autorità giudiziaria italiana (poiché evento dal quale si ritiene verificata l’avvenuta conoscenza della sentenza ad opera del condannato) e non dalla traduzione della sentenza in lingua inglese nonostante il riconosciuto status di soggetto alloglotto in capo al ricorrente»; b) l’apparenza e la contraddittorietà della motivazione, «poiché, nonostante il riconoscimento nell’ordinanza impugnata dello status di soggetto alloglotto in capo all’istante, non è stata in alcun modo presa valutata la mancata traduzione della sentenza in lingua inglese (allegata in seno all’istanza di rescissione)».
Quanto alle lamentate inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 629-bis cod. proc. pen. in combinato disposto con l’art. 143 dello stesso codice, il ricorrente rappresenta che la Corte d’appello di Catania ha riconosciuto che egli è un soggetto alloglotto, non comprendendo la lingua italiana e, ciò nonostante, «non ha tenuto in alcuna considerazione che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza della sentenza poiché mai tradotta in lingua inglese, così come mai tradotti gli atti introduttivi al giudizio di secondo grado». L’COGNOME rappresenta in proposito che l’art. 629-bis cod. proc. pen. «fa decorrere il termine dei 30 giorni (così come interpretato dalle Sezioni unite dalla consegna del condannato alle autorità italiane poiché in tale fase lo stesso si presume abbia la materiale possibilità di avere conoscenza della sentenza e, così, di accedere agli atti del processo al fine di far valere le proprie doglianze». Nel caso di specie, invece, egli «non ha avuto alcuna conoscenza degli atti processuali poiché mai tradotti nonostante le prescrizioni qui all’art. 143 c.p.p.».
Quanto alle lamentate apparenza e contraddittorietà della motivazione, il ricorrente denuncia che «i giudici, da un canto, pur riconoscendo che “l’istante è soggetto alloglotta che non comprende la lingua italiana”, con motivazione meramente apodittica hanno ritenuto comprensibile per l’imputato una sentenza di condanna mai tradotta».
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo non è fondato.
È pacifico e non contestato che la richiesta di rescissione del giudicato è stata presentata dall’COGNOME il 18/11/2024 e, pertanto, oltre trenta giorni dalla consegna dello stesso COGNOME alle autorità italiane, la quale è avvenuta il 03/10/2024.
Sotto il profilo intertemporale, si deve precisare che, ai sensi della norma transitoria di cui all’art. 89 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la disciplina del rescissione del giudicato applicabile al caso di specie è quella dell’art. 629-bis cod. proc. pen. nel testo anteriore alla sostituzione di tale articolo a opera dell’art. 37 comma 1, del suddetto decreto legislativo.
Ciò posto, peraltro, ai fini di quanto qui specificamente interessa, si deve osservare che la Corte di cassazione ha recentemente chiarito che anche la sostituzione, nel comma 2 dell’art. 629-bis cod. proc. pen., della locuzione «procedimento» con la locuzione «sentenza» (a seguito della menzionata sostituzione dell’art. 629-bis a opera dell’art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2022) non comporta che il termine decadenziale di trenta giorni per la proposizione della richiesta di rescissione del giudicato debba decorrere dal momento in cui il condannato ha avuto contezza del contenuto della pronuncia che intenderebbe rescindere, giacché, ai fini della procedura di rescissione, è irrilevante la cognizione dell’intero apparato motivazionale della sentenza irrevocabile, oltre che degli atti processuali su cui esso si fonda (Sez. 2, n. 14510 del 08/01/2025, COGNOME Rv. in corso di attribuzione).
La Corte di cassazione ha fondato tale principio sulle argomentazioni – che sono condivise dal Collegio – che ciò che rileva ai fini dell’individuazione del dies a quo per la presentazione della richiesta di rescissione è «la precisa ed effettiva cognizione, da parte dell’interessato, degli estremi del provvedimento che ha definito il giudizio, dell’autorità giudiziaria che lo ha emesso e della condanna inflitta», in quanto «uniche informazioni necessarie non solo per comprendere la circostanza relativa all’avvenuta celebrazione di un definitivo processo a suo carico ma anche per potere utilmente individuare la corte territoriale alla quale rivolgersi per attivare il rimedio dell’impugnazione straordinaria e indicarne il preciso oggetto».
Da ciò discende che, ai fini dell’individuazione del medesimo dies a quo, è «ininfluente , invece, la cognizione sia dell’intero apparato motivazionale della sentenza irrevocabile concernente l’affermazione del giudizio di responsabilità e degli atti processuali su cui esso si fonda». E ciò per l’evidente ragione «che i presupposti dell’istituto della rescissione del giudicato non attengono al merito del giudizio ma sono ancorati al solo profilo della mancata conoscenza della
pendenza del processo prima della sentenza di condanna e, dunque, al di là degli specifici accertamenti in esso compiuti, della sua effettiva celebrazione e conseguente defìnitività».
La menzionata modifica normativa con la quale la locuzione «procedimento» è stata sostituita con la locuzione «sentenza» si deve ritenere trovare la propria ragion dell’essere nell’intento del legislatore di individuare, in favor rei e con maggiore necessaria certezza, il dies a quo del termine decadenziale di trenta giorni indicandolo nel momento in cui il condannato ha avuto contezza non già di un qualche atto tale da porlo in qualche modo a conoscenza della vicenda penale a suo carico, «bensì della effettiva esistenza (al di là del suo contenuto valutativo) del provvedimento che ha definitivamente concluso il giudizio» (a ciò si può aggiungere quanto affermato dalla menzionata sentenza Lacatus delle Sezioni unite, le quali hanno evidenziato come il riferimento alla «sentenza» risulti «coerente anche con la fisionomia assunta, in base alla riforma, dall’istituto della rescissione, che è compatibile con un effetto ripristinatorio parziale, con regressione alla fase o al grado»).
Tornando al caso di specie, si deve osservare che gli estremi del provvedimento che ha definito il giudizio, dell’autorità giudiziaria che lo ha emesso e della condanna inflitta costituiscono informazioni che sono contenute nel mandato di arresto europeo nella procedura attiva di consegna (art. 30, comma 1, della legge 22 aprile 2005, n. 69, che rinvia alle informazioni che sono richieste nel modello di cui all’allegato alla decisione quadro 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI, come modificato dall’art. 2, par. 3, della decisione quadro 26 febbraio 2009, n. 2009/299/GAI), il che non è stato contestato dal ricorrente.
Ciò posto, poiché, in base ai principi che si sono sopra esposti, ai fini dell’individuazione del dies a quo per la presentazione della richiesta di rescissione del giudicato, si deve ritenere irrilevante la cognizione dell’intero apparato motivazionale della sentenza irrevocabile, oltre che degli atti processuali su cui esso si fonda, ne discende l’irrilevanza agli stessi fini – diversamente da quanto è ritenuto dal ricorrente – della traduzione del suddetto apparato e dei suddetti atti, con la conseguenza che, come ha correttamente ritenuto la Corte d’appello di Catania, non sussistevano ragioni per discostarsi dal principio, che è stato affermato dalla Sezioni unite della Corte di cassazione con la più volte citata sentenza Lacatus, secondo cui, nel caso di persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo detenuta in carcere, il termine per proporre la rescissione del giudicato decorre dal momento della consegna del condannato.
Né risulta che l’NOME abbia presentato richiesta di restituzione nel termine per esercitare pienamente il diritto all’impugnazione straordinaria, per essersi
rivelato quello previsto in concreto insufficiente a causa della complessità della vicenda processuale, come pure era sua facoltà fare (Sez. 4, n. 36560 del
22/09/2021, COGNOME Rv. 281925-01; Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020, COGNOME
Rv. 279994-01).
2. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle
spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/05/2025.