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Rescissione del giudicato: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile la richiesta di rescissione del giudicato presentata da un’imputata condannata in assenza per evasione. La decisione si fonda sulla genericità dell’istanza e sulla volontaria irreperibilità dell’interessata, che le ha impedito di avere conoscenza del processo. La Corte chiarisce che la condotta dell’imputato che si sottrae deliberatamente alla giustizia esclude la possibilità di riaprire un processo definito con sentenza irrevocabile.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rescissione del giudicato: la volontaria irreperibilità preclude la riapertura del processo

La rescissione del giudicato rappresenta un istituto fondamentale a tutela del diritto di difesa, consentendo la riapertura di un processo concluso con sentenza definitiva quando l’imputato, giudicato in assenza, non ha avuto effettiva conoscenza del procedimento. Tuttavia, questo diritto non è incondizionato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: se l’ignoranza del processo deriva da una condotta volontaria dell’imputato, come il rendersi irreperibile, la richiesta di rescissione deve essere respinta.

I fatti del caso

Una donna, condannata in via definitiva nel 2018 per il reato di evasione, presentava un’istanza alla Corte di Appello chiedendo la remissione in termini e la rescissione del giudicato. Sosteneva di essere venuta a conoscenza della condanna solo nel dicembre 2024 e che, pertanto, la sua richiesta era tempestiva. A sua discolpa, adduceva di non aver saputo del processo a suo carico a causa della rinuncia al mandato da parte del suo difensore di fiducia e della mancata instaurazione di un rapporto con il successivo difensore d’ufficio.

La Corte di Appello rigettava l’istanza, ritenendola generica e infondata. I giudici evidenziavano come dagli atti emergesse una conoscenza del procedimento da parte della donna sin dal settembre 2022. Inoltre, l’istanza non specificava con precisione il dies a quo, ovvero il giorno esatto in cui era avvenuta la presunta conoscenza della sentenza, un onere probatorio che grava sulla parte richiedente. Contro questa decisione, la donna proponeva ricorso in Cassazione.

La decisione della Cassazione sulla rescissione del giudicato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici d’appello. La Suprema Corte ha articolato la sua decisione su due piani principali: l’onere della prova e la colpa dell’imputato nella mancata conoscenza del processo.

L’onere della prova e la genericità dell’istanza

In primo luogo, la Corte ha sottolineato come l’istanza originaria fosse manifestamente generica. L’indicazione del “mese di dicembre 2024” come momento della conoscenza della sentenza è stata ritenuta insufficiente. Spetta a chi chiede la rescissione del giudicato fornire la prova rigorosa della data in cui ha avuto effettiva conoscenza dell’atto, allegando documentazione o altri elementi utili a dimostrare la tempestività della richiesta. L’assenza di tale prova rende di per sé l’istanza inammissibile.

La condotta dell’imputato come causa ostativa alla rescissione del giudicato

Il nucleo centrale della decisione riguarda la condotta della ricorrente. La Cassazione ha accertato che la notifica dell’atto di citazione a giudizio (vocatio in iudicium) era stata ritualmente eseguita. Inizialmente tentata presso il domicilio dichiarato dall’imputata (dove si trovava in detenzione domiciliare), la notifica era risultata impossibile a causa del suo allontanamento volontario (sine titulo), ovvero della sua evasione. Di conseguenza, la notifica era stata correttamente effettuata presso lo studio del difensore di fiducia, come previsto dall’art. 161 c.p.p.

Questa situazione, secondo la giurisprudenza consolidata, configura una condizione di volontaria irreperibilità. L’imputato che, dopo aver dichiarato o eletto un domicilio, interrompe i contatti con il proprio difensore e si sottrae volontariamente alla giustizia, non può invocare l’incolpevole mancata conoscenza del processo. Tale comportamento crea una presunzione di conoscenza che legittima lo svolgimento del processo in sua assenza. La Corte ha richiamato il principio secondo cui sull’imputato grava un “onere di diligenza informativa”, che consiste nel dovere di mantenersi in contatto con il proprio difensore e di informarsi sullo stato del procedimento a suo carico.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su principi giuridici consolidati, distinguendo anche la disciplina applicabile. Ha chiarito che le nuove norme introdotte dalla Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022) in materia di processo in assenza e rimedi ripristinatori non erano applicabili al caso di specie, poiché la sentenza di condanna era stata pronunciata e divenuta irrevocabile nel 2018, ben prima dell’entrata in vigore della riforma. Pertanto, la questione doveva essere decisa sulla base della normativa previgente.

Secondo tale disciplina, la volontaria sottrazione alla conoscenza del processo è un comportamento che preclude l’accesso a rimedi come la rescissione del giudicato. La condotta dell’imputata – che non solo era evasa, ma non aveva mai cercato di mettersi in contatto con il proprio legale – è stata interpretata come una chiara manifestazione di disinteresse verso le sorti del procedimento. La mancata conoscenza non è stata, quindi, “incolpevole”, ma diretta conseguenza di una scelta deliberata. Pertanto, la dichiarazione di assenza era stata legittima e il processo si era svolto correttamente.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza riafferma un principio di responsabilità dell’imputato. Il diritto a un nuovo processo, garantito dalla rescissione del giudicato, è riservato a chi, senza sua colpa, non ha potuto partecipare al primo. Chi invece si rende volontariamente irreperibile, violando gli obblighi connessi alla sua posizione processuale (come quello di comunicare le variazioni di domicilio o di mantenere i contatti con il difensore), si assume il rischio che il processo si svolga in sua assenza e non può successivamente lamentare una violazione del diritto di difesa. La decisione sottolinea che la diligenza è un onere che grava anche sull’imputato, il quale non può strumentalizzare i rimedi processuali per sanare le conseguenze della propria condotta negligente o elusiva.

È sufficiente dichiarare genericamente di aver appreso tardi di una condanna per ottenere la rescissione del giudicato?
No, non è sufficiente. La parte che richiede la rescissione ha l’onere di fornire la prova specifica e documentata del giorno esatto in cui è venuta a conoscenza della sentenza (dies a quo), al fine di dimostrare la tempestività della sua istanza. Un’indicazione generica, come “nel mese di…”, rende la richiesta inammissibile.

L’imputato che si rende volontariamente irreperibile può chiedere la rescissione del giudicato per mancata conoscenza del processo?
No. Secondo la Corte, la condizione di volontaria irreperibilità, causata ad esempio da un’evasione o dall’interruzione deliberata dei contatti con il proprio difensore, esclude l’incolpevolezza nella mancata conoscenza del processo. Tale condotta crea una presunzione di conoscenza che impedisce di accedere alla rescissione del giudicato.

Le nuove norme della Riforma Cartabia sulla rescissione si applicano a sentenze divenute definitive prima della sua entrata in vigore?
No. La Corte ha chiarito che la nuova disciplina sui rimedi ripristinatori, introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022 (Riforma Cartabia), si applica esclusivamente alle impugnazioni proposte contro sentenze pronunciate in data successiva alla sua entrata in vigore. Per le sentenze precedenti, come quella del caso in esame, continua ad applicarsi la normativa previgente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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