Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45871 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45871 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 24/06/1986
avverso l’ordinanza del 20/05/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
letto il ricorso del difensore e gli atti allegati; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni di inammissibilità del ricorso di cui alla requisitoria del 20/09/202 del Pubblico ministero, nella persona del sostituto P.G. NOME COGNOME.
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
NOME propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di appello di Brescia del 28/03-20/05/2024 che ha rigettato la richiesta di rescissione del giudicato di diverse sentenze di cui all’ordine di carcerazione emesso nei suoi confronti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo il 1/04/2022 e notificato al ricorrente il 27/12/2023.
La difesa affida le sue censure a due motivi, i quali saranno enunciati, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
In particolare, si deduce:
2.1. Inosservanza degli artt. 629-bis, 420-bis, 161 e 178 lett. c), cod. proc. pen. Si lamenta che non si attagli al caso di specie l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla Corte di merito a fondamento del rigetto dell’istanza – che fa leva sul comportamento negligente tenuto dall’imputato, il quale, pur a fronte della nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, erroneamente eseguita al difensore in qualità di domiciliatario, non si sia attivato autonomamente per mantenere con il già menzionato i contatti periodici essenziali per essere informato dello sviluppo del procedimento. Si espone, infatti, che in tutti i procedimenti in cui è stata dichiarata l’assenza dell’imputato, la notifica del decreto di citazione era stata effettuata non presso il difensore quale domiciliatario, bensì ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. per inidoneità del domicilio; oltretutto, si sottolinea che il difensore di fiducia, nel frattempo, aveva rinunciato al mandato (e di tanto l’imputato non era stato posto a conoscenza) ed era seguita la nomina del difensore di ufficio a cui era stato notificato l’atto introduttivo del giudizio p l’imputato.
2.2. Vizio di motivazione laddove è stato assegnato rilievo al decreto di latitanza (punti 5 e 6 del provvedimento impugnato) rispetto a notifiche effettuate in precedenza. Analogamente si denuncia il vizio di motivazione con riferimento a punti 8 e 9, ove si era, quanto a primo punto, assegnato rilievo al fatto che il difensore aveva rinunziato al mandato per mancanza di contatti con l’assistito, nulla argomentandosi circa la mancata conoscenza del processo in capo all’imputato e, quanto al punto 9, ove si era assegnato rilievo al fatto che il procedimento era stato definito con sentenza pronunciata dopo che l’imputato si era reso latitante nell’altro procedimento, non si era considerato che il decreto di citazione a giudizio era stato notificato al difensore di fiducia il 13/07/2016 e la rinunzia al mandato era intervenuta successivamente (il 24/10/2016).
Il Pubblico ministero, nella persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME con requisitoria del 20/09/2024, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile essendo i motivi manifestamente infondati.
In tema di rescissione del giudicato, con particolare riguardo al caso in cui la dichiarazione di assenza sia avvenuta prima dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 150/2020, per orientamento consolidato di questa Corte, sussiste una colpevole mancata conoscenza del processo, preclusiva del ricorso di cui all’art. 625-ter cod. proc. pen., in tutti i casi in cui l’imputato non abbia adempiuto agli oneri di diligenza generati dalla conoscenza dell’esistenza del processo, seppure in una fase iniziale, desumibile dalla elezione di domicilio, dalla nomina di un difensore di fiducia, ovvero dall’applicazione di una misura precautelare o cautelare, ovvero dal ricevimento personale della notifica dell’avviso di udienza (Sez. 2, n. 14787 del 25/01/2017, COGNOME, Rv. 269554 – 01; Sez. 6, n. 3318 del 12/07/2024; Sez. 4, n. 32980 del 2/07/2024).
Nel caso in esame la Corte territoriale, con percorso argomentativo immune da vizi logici, ha rappresentato come non solo non possa parlarsi di incolpevole mancata conoscenza del processo da parte dell’interessato ma addirittura come lo stesso, non per negligenza ma per preordinata strategia, abbia proceduto ad attuare un preciso disegno comportamentale teso a sottrarsi alla conoscenza dei vari processi a cui era sottoposto (motivazione che investe anche le doglianze che investono i punti 8 e 9 della decisione).
Si tratta di una valutazione che risulta continente con gli elementi di fatto indicati a sostegno di tale argomentazione (al riguardo si è fatto riferimento alla vicinanza ed omogeneità temporale delle condotte di truffa, unitamente alla ripetuta irreperibilità in cui l’imputato appositamente si poneva per assicurarsi l’impunità, per come avvalorato dalle reiterate rinunce al mandato difensivo del difensore di fiducia ripetutamente nominato nell’ambito dei diversi procedimenti) e in relazione alla quale non è consentito alla Corte di legittimità sovrapporre la propria valutazione a quella che è stata compiuta nel giudizio di merito.
Anche quanto al rilievo che la Corte di merito ha assegnato alla latitanza, la censura risulta manifestamente infondata, in quanto il ricorrente non si confronta appieno con l’orientamento giurisprudenziale citato che ritiene non decisivo il profilo attinente ad una precedente vocatio in ius negativa (e tanto dunque a prescindere dall’ulteriore rilievo che l’imputato nelle more del
procedimento riesame non fosse evaso, posto che il decreto di latitanza risulta essere stato poi successivamente emesso a seguito di valido titolo cautelare).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle pese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 22 ottobre 2024.