Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4172 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4172 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILANO il 13/01/1981
avverso l’ordinanza del 09/07/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME COGNOME del foro di Milano, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, con annullamento dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 luglio 2024 la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’istanza presentata da NOME COGNOME finalizzata, ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., ad ottenere la rescissione del giudicato in relazione alla sentenza emessa nei suoi confronti il 17 maggio 2021 dal Tribunale di Milano, confermata con sentenza della Corte d’appello di Milano del 25 maggio 2022 (irrev. 10 luglio 2022), con la quale era stato condannato alla pena di anni 3 mesi 8 di reclusione ed euro 1.800,00 di multa.
La Corte territoriale ha osservato che il ricorrente, in occasione del sequestro di alcuni assegni, ricevette le comunicazioni di cui agli artt. 369 e 369bis cod. proc. pen., contestualmente nominando difensore l’avv. COGNOME ed eleggendo domicilio in Monza, alla INDIRIZZO
I successivi tentativi di notifica nel domicilio eletto non andarono a buon fine, per irreperibilità del destinatario; furono quindi eseguiti nei confronti del difensore d’ufficio medio tempore nominato, in quanto l’avv. COGNOME aveva comunicato di non accettare l’incarico (segnalando di aver inutilmente cercato di contattarlo al telefono cellulare di cui disponeva).
L’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen. fu quindi notificato sempre all’avv. COGNOME il quale a sua volta avvisò il Riva inviandogli una mail, nella quale sottolineava il fatto che il suo assistito si fosse reso irreperibile anche nei suoi confronti, invitandolo quindi a nominare un difensore di fiducia.
L’indirizzo mail utilizzato era certamente in uso al Riva, per come emerso dai messaggi scambiati con le persone offese del reato per cui si è proceduto.
La Corte d’appello ha pertanto ritenuto che il COGNOME si fosse volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione della legge penale sostanziale e processuale, in quanto la Corte territoriale ha erroneamente applicato l’art. 629-bis cod. proc. pen. nella versione anteriore a quella introdotta dal d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, come si evince dall’affermazione secondo cui la mancata conoscenza del processo sarebbe derivata da una scelta consapevole del ricorrente.
Tuttavia, poiché il ricorrente è venuto a conoscenza della condanna soltanto il 19 aprile 2024, è a questo momento che occorre far riferimento per
individuare la disciplina applicabile, ovvero quella introdotta dal d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, che, in quanto più favorevole, è applicabile ai sensi dell’art. 2 cod. pen.
Stando alla nuova formulazione della norma, la rescissione è impedita nel solo caso in cui risulti che il condannato abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge processuale e vizio della motivazione in quanto la Corte territoriale ha errato nel dichiarare l’assenza del Riva.
Si osserva, al riguardo che, non poteva essere valorizzata l’elezione di domicilio, poiché anteriore alla instaurazione del processo e quindi non contenente alcuna vocatio in judicium; altrettanto deve dirsi, per le medesime ragioni, per l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Allo scrutinio dei motivi è utile premettere che la rescissione del giudicato costituisce uno strumento di chiusura del sistema, in quanto istituto che non si limita, come già previsto dall’art. 175, cod. proc. pen., a restituire nel termine per impugnare la sentenza emessa nel processo in cui l’imputato sia rimasto assente, ma garantisce l’instaurazione del processo ab initio, allorquando la mancata partecipazione non sia stata volontaria e sia stata accertata la violazione dei diritti partecipativi dell’imputato.
Da tempo quindi, la Corte di cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha sottolineato il legame esistente tra l’istituto in esame e l’art. 420-bis cod. proc. pen., affermando che la rescissione del giudicato trae una sua ragione negli specifici accertamenti ora demandati al giudice ai fini della dichiarazione di assenza (in motivazione Sez. U, n. 36848 del 17/7/2014, COGNOME, Rv. 259990 – 01; Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Lovric, in motivazione).
Si tratta di un mezzo di impugnazione straordinario (sempre Sez. U, COGNOME, cit.) che appresta, come osservato in dottrina, in favore del condannato in assenza senza sua colpa, un rimedio effettivo, totalmente ripristinatorio dei suoi diritti processuali, il cui accoglimento determina la trasmissione degli atti al giudice di primo grado.
1.1. Ciò posto, il primo motivo è manifestamente infondato.
Dalla natura impugnatoria del rimedio, poc’anzi evidenziata – che rende improprio il richiamo del ricorrente all’art. 2 cod. pen. (p. 2 ricorso) – si desunto che allorquando si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione, sulla scorta delle indicazioni provenienti da un intervento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv. 236537; conf., con specifico riferimento alla successione delle norme in materia di rescissione, Sez. 6, n. 19117 del 23/03/2018, Tardiota, Rv. 273441 e Sez. 6, n. 40146 del 21/03/2018, COGNOME, Rv. 273843)
A questo orientamento se ne è successivamente contrapposto un altro, più recente, secondo cui, sempre in assenza di disposizioni transitorie, si deve fare riferimento non al momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato bensì a quello nel quale il condannato in assenza è venuto a conoscenza del provvedimento (Sez. 5, ordinanza n. 380 del 15/11/2021, Saban, Rv. 282528 01; conf., Sez. 5, ordinanza n. 15666 del 16/04/2021, Duric, Rv. 280891 – 01); in tale momento, successivo rispetto alla decisione, insorge infatti il diritto alla impugnazione straordinaria.
Nel richiamare tale ultimo orientamento, formatosi in relazione alla successione di discipline non governate da norme transitorie, il ricorrente non si avvede però dell’espressa previsione, contenuta nell’art. 89, comma 1, del d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, secondo il quale la previgente disciplina si applica anche quando, nei processi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto, è stata già pronunciata, in qualsiasi stato e grado del procedimento, ordinanza con la quale si è disposto procedersi in assenza dell’imputato.
Nella specie, dall’esame del provvedimento impugnato emerge che alla data di entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, era già stata pronunciata una ordinanza con la quale si era disposto di procedere in assenza (cfr., per l’applicazione della previgente disciplina in un caso analogo, Sez. 4, n. 21544 del 21/03/2024, Kninou, non mass.).
1.2. Il secondo motivo, poiché aspecifico, è inammissibile.
Tanto l’art. 629-bis, comma 1, cod. proc. pen. quanto l’art. 420-bis, comma 4, cod. proc. pen. fanno riferimento alla mancata conoscenza del «processo», con ciò presupponendo la formalizzazione di un’accusa ed il deferimento a giudizio dell’interessato (cfr., in parte motiva, Sez. 5, n. 19949 del 06/04/2021, COGNOME, Rv. 281256 – 01).
La mancata conoscenza può essere superata, stando ai principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità, e dalla Corte EDU (cfr. in particolare la sentenza RAGIONE_SOCIALE del 18 maggio 2004 e la sentenza Sejdovic c. Italia del 10 novembre 2004), soltanto quando l’imputato si è ad essa deliberatamente sottratto, realizzando la condizione del difetto di conoscenza «colpevole», che il predetto art. 629-bis cod. proc. pen. richiede per escludere la possibilità di rescissione del giudicato.
Ciò posto, nel caso in esame, contrariamente a quanto afferma il ricorrente il problema non sta nello stabilire se l’elezione di domicilio e la nomina del difensore di fiducia siano o meno sufficienti indicatori della conoscenza: la Corte d’appello, infatti, ha negato la rescissione nel presupposto che la mancata conoscenza della vocatio (di cui non dubita) fosse in realtà colpevole.
Tale valutazione (pp. 2 – 4 ordinanza impugnata) è sostenuta dalla analisi di una serie di indicatori concreti, ovvero la ricezione del verbale di sequestro, l’indicazione di un domicilio inidoneo (il Riva, da informazioni assunte in loco, risultava sconosciuto), la nomina di un difensore di fiducia salvo poi sottrarsi ad ogni contatto (tanto da risultare irreperibile anche all’utenza telefonica a costui fornita), il carteggio intercorso con le persone offese, l’assoluta inerzia del Riva dopo la mancata accettazione dell’incarico ed il contestuale invito dell’avv. COGNOME a nominare un altro difensore.
Queste argomentazioni non sono in alcun modo analizzate e confutate dal ricorrente, che si è limitato a sostenere l’insufficienza delle notifiche ricevute per desumerne la conoscenza della pendenza del processo, anziché confrontarsi, con la dovuta specificità, con la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
Del resto, la stessa sentenza COGNOME (pure menzionata nel provvedimento impugnato), ha affermato che l’ignoranza del procedimento da parte del condannato in assenza “non deve essere a lui imputabile, né come voluta diserzione delle udienze, né come colposa trascuratezza e negligenza nel seguirne il procedere”.
Si è pure sottolineato che la colpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo non richiede che l’imputato si sia deliberatamente sottratto alla “vocatio in iudicium” con comportamenti a ciò finalizzati, essendo sufficiente che si sia posto consapevolmente e volontariamente nella condizione di sottrarsi alla conoscenza del processo, indipendentemente dai motivi di tale comportamento (Sez. 3, n. 35426 del 13/05/2021, Sejdini, Rv. 281851 – 01; conf., Sez. 2, n. 14375 del 31/03/2021, COGNOME Rv. 281101 – 02, secondo cui deve escludersi la incolpevole mancata conoscenza del processo nel caso in cui l’imputato, eletto domicilio presso il proprio luogo di lavoro ove abbia ricevuto la notifica a mani proprie di atti del procedimento sino all’avviso ex art. 415-bis
cod. proc. pen., si sia trasferito altrove senza comunicare all’autorità procedente il mutamento di domicilio o incaricare alcuno a ritirare e comunicargli le notifiche a lui dirette, in quanto, essendosi posto nelle condizioni di non ricevere notizia del processo, ha implicitamente dimostrato di non volervi partecipare).
Anche nella parte in cui valorizza l’elezione di domicilio in un luogo in cui il Riva non poteva essere reperito (p. 5), il provvedimento impugnato, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, si pone in linea con l’orientamento secondo cui la dichiarazione od elezione di domicilio può essere intesa quale espediente per sottrarsi al processo, ad esempio, nel caso in cui l’interessato abbia scientemente indicato un recapito inesistente, inveritiero o inadeguato, per l’impossibilità di reperirvi lui stesso od altre persone legittimate alla ricezione (Sez. 6, n. 21997 del 18/06/2020, COGNOME, in motivazione).
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2024