Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7352 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 7352  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/09/2023 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15/09/2023, la Corte d’appello di Roma rigettava la richiesta, che era stata presentata da NOME COGNOME, di rescissione del giudicato di cui alla sentenza del 13/10/2021 del Tribunale di Roma, divenuta irrevocabile il 28/01/2022, con la quale lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione, con la concessione della sospensione condizionale della stessa pena, subordinata all’adempimento dell’obbligo di eliminare le conseguenze dannose del reato.
 Avverso l’indicata ordinanza del 15/09/2023 della Corte d’appello di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale ha chiesto, in relazione all’art.
606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’annullamento della stessa ordinanza «per mancato riconoscimento della erroneità della dichiarazione di assenza che ha comportato la mancata notificazione del decreto di citazione all’allora imputato».
Nel richiamare alcune pronunce della Corte di cassazione in tema di dichiarazione di assenza e di rescissione del giudicato (in particolare: Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, NOME, Rv. 279420-01; Sez. 1, n. 38122 del 04/05/2022, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 39292 del 22/09/2021, COGNOME, non massimata), il ricorrente sostiene che, dalle stesse pronunce, si ricaverebbe che, per escludere l’«incolpevole mancata conoscenza del processo», sarebbe richiesta «la prova della consapevolezza e della volontarietà della sottrazione» a esso (così il ricorso), sulla base di condotte positive, non essendo, invece, di per sé sufficiente – come mostrerebbe invece di ritenere la Corte d’appello di Roma la mera mancanza di diligenza né l’elezione o la dichiarazione di domicilio, le quali sarebbero solo «una delle tante situazioni che possono rappresentare un indizio ma che, certamente, da sole non bastano per fondare un giudizio di consapevolezza e volontarietà in capo al soggetto».
Ciò premesso, il ricorrente rappresenta che il verbale di identificazione e dichiarazione di domicilio che egli sottoscrisse il 27/07/2017 si sarebbe caratterizzato «per la totale mancanza di qualsivoglia riferimento alla vicenda oggetto di contestazione» in quanto: a) non conteneva né l’indicazione dei reati contestati e/o dei relativi articoli di legge né la descrizione del fatto; b) riguardav un fatto commesso il 16/04/2017, cioè consumato «oltre tre mesi prima della dichiarazione di domicilio»; c) faceva riferimento soltanto alla querela che era stata sporta da NOME COGNOME presso la Stazione RAGIONE_SOCIALE Frosinone, mentre il fatto contestato era avvenuto a Roma e, come risultava dalla sentenza del Tribunale di Roma, egli e lo COGNOME non si conoscevano.
Secondo il ricorrente, sulla scorta di tali connotazioni della propria dichiarazione di domicilio, non sarebbe possibile «fondare una valutazione di consapevolezza circa l’esistenza del procedimento penale né, tanto meno, di volontaria sottrazione alle notificazioni allo stesso relative». Infatti, «[ mancanza di qualsivoglia riferimento al fatto, la distanza temporale dello stesso rispetto alla sottoscrizione del verbale di identificazione e il riferimento a Frosinone quale luogo di presentazione della querela, certamente fuorviante in mancanza di ulteriori specificazioni, sono tutti elementi che rendono la dichiarazione di domicilio del COGNOME del tutto inidonea a sorreggere un giudizio di consapevolezza e, conseguentemente, la dichiarazione di assenza dello stesso è stata determinata da una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, che deve comportare la rescissione del giudicato».
Il ricorrente espone ancora che la Corte d’appello di Roma non avrebbe indicato alcuna sua condotta positiva idonea a sorreggere un giudizio di consapevolezza e volontarietà della sottrazione al processo ma si sarebbe limitata a fare riferimento a una mancanza di diligenza, cioè a un coefficiente soggettivo che sarebbe insufficiente al fine di ritenere la conoscenza del processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 L’unico motivo è fondato, nei termini che seguono.
2. In tema di rescissione del giudicato, la Corte di cassazione ha chiarito che l’effettiva conoscenza del processo deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, sicché non si può desumere dalla mera dichiarazione o elezione di domicilio operata nella fase delle indagini preliminari, quando a essa non sia seguita la notifica dell’atto introduttivo del giudizio in detto luogo, ancorché a mano di soggetto diverso dal destinatario, ma comunque legittimato a ricevere l’atto (Sez. 6, n. 21997 del 18/06/2020, Cappelli, Rv. 279680-01). La Corte ha precisato che, nel caso di sopravvenuta impossibilità di notifica al domicilio dichiarato o eletto, la notifica della vocatio in iudicium, effettuata ai sensi dell’art.161, comma 4, cod. proc. pen., in quanto eseguita in luogo diverso dal domicilio indicato, non consente di ritenere la sicura conoscenza del procedimento da parte dell’imputato.
L’art. 629-bis cod. proc. pen. attribuisce in effetti rilievo, al pari precedente art. 420-bis, comma 4, cod. proc. pen., alla mancata conoscenza della celebrazione del «processo», con ciò presupponendo la formalizzazione di un’accusa e il deferimento a giudizio dell’interessato.
In conformità con la CEDU, come interpretata dalla competente Corte di Strasburgo (Corte EDU: sentenza 18/05/2004, Somogyi contro Italia; sentenza 10/11/2004, Sejdovic c. Italia), la mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato non osta alla celebrazione dello stesso processo soltanto quando egli si sia a essa deliberatamente sottratto. Solo in questo caso, pertanto, quel difetto di conoscenza si potrà reputare «colpevole», come richiede l’art. 629-bis cod. proc. pen. per escludere la possibilità di rescissione del giudicato; non anche, invece, qualora il difetto di conoscenza sia ascrivibile a una condotta semplicemente negligente del soggetto.
A quest’ultimo proposito, è opportuno ricordare quanto è stato affermato, nel limitrofo settore della dichiarazione di assenza, dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la già citata sentenza NOME, là dove la Corte ha asserito quanto segue: «si rammenta come la disposizione, per la difesa dai “finti inconsapevoli”, valorizzi, quale unica ipotesi in cui possa procedersi pur se la parte ignori la vocatio in ius, la volontaria sottrazione “alla conoscenza del procedimento o di atti del
procedimento”. Evidentemente, si deve trattare di condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta. L’art. 420-bis cod. proc. pen. non “tipizza” e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare che possa ritenersi tale; quindi, non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto etc. Certamente la manifesta mancanza diligenza informativa, la indicazione di un domicilio falso, pur se apparentemente valido ed altro, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non possono essere di per sé determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della “volontaria sottrazione”: se si esaspera il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita».
In un’altra decisione, la Corte di cassazione ha del resto affermato che, in tema di restituzione nel termine per l’impugnazione della sentenza di condanna contumaciale, ai sensi dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. (nel testo di tale comma vigente prima della sostituzione di esso a opera dell’art. 11, comma 6, della legge 28 aprile 2014, n. 67), è illegittimo il provvedimento di rigetto della relativa istanza, il quale, sul rilievo della regolarità meramente formale della notificazione dell’atto, assegni al comportamento dell’imputato, che abbia omesso di comunicare all’autorità giudiziaria il mutamento del domicilio a suo tempo dichiarato, il significato di una volontaria sua scelta di sottrarsi alla conoscenza legale del processo e delle sentenze (Sez. 1, n. 27919 del 30/09/2020, COGNOME, Rv. 279641-01).
Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, si deve ritenere: da un lato, l’insufficienza delle effettuate notificazioni ad assicurare al ricorrent un’effettiva conoscenza del processo; dall’altro lato, l’assenza di un’accertata deliberata volontà del COGNOME di sottrarsi alla stessa conoscenza.
Questi, infatti, dichiarò domicilio in una fase iniziale delle indagini preliminari (il 27/07/2017), venendo a conoscenza, in tale occasione – come risulta dall’esame della suddetta dichiarazione – solo del fatto che un tale NOME COGNOME, il 20/04/2017, aveva sporto una querela nei suoi confronti (senza, quindi, né riferimenti al fatto al quale la stessa querela si riferiva né indicazione del numero di iscrizione del procedimento).
Successivamente, come risulta dalla sentenza impugnata e dall’esame degli atti del procedimento, il COGNOME non ricevette più comunicazioni relative al procedimento e, in particolare, all’avvio del processo (e alla relativa decisione),
atteso che tutte le notificazioni, non potendo essere effettuate nel domicilio dichiarato – in quanto il COGNOME si era nel frattempo trasferito altrove – furono eseguite, ai sensi del comma 4 dell’art. 161 cod. proc. pen., mediante consegna al difensore di ufficio, in difetto di nomina di un difensore di fiducia.
Ciò non consente, pertanto, essendo il ricorrente anche assistito da un difensore di ufficio, di ritenere la conoscenza del processo da parte del ricorrente (apparendo, anzi, del tutto verosimile che egli non ne abbia avuto conoscenza se non, evidentemente, quando la sentenza di condanna nei suoi confronti è stata posta in esecuzione).
D’altro canto, diversamente da quanto mostra di ritenere la Corte d’appello di Roma («in violazione del minimo di diligenza richiestagli»; «ascrivibile alla colposa trascuratezza dello stesso»), tale sua mancata conoscenza del processo non si può ritenere colpevole – nel senso, sopra indicato, di una volontaria sottrazione alla stessa conoscenza – per il solo fatto che il COGNOME sia stato negligente nel non comunicare all’autorità giudiziaria il mutamento (a partire dal 12/12/2017) del domicilio che aveva dichiarato mesi prima, atteso che, come si è detto, a tale mera negligenza dell’imputato non è possibile assegnare automaticamente il significato di una conclamata volontà dello stesso di evitare la conoscenza del processo.
Pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio.
L’annullamento deve essere esteso anche alla sentenza del 13/10/2021 del Tribunale di Roma nei confronti del ricorrente, in quanto pronunciata in un processo che si è illegittimamente svolto in sua assenza, con la conseguente restituzione degli atti al Tribunale di Roma per un nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella del Tribunale di Roma del 13.10.2021 nei confronti di NOME NOME e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Roma per nuovo giudizio.
Così deciso il 18/01/2024.