Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2580 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 4 Num. 2580 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2016 del TRIBUNALE di CHIETI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, nel senso del rigetto del ricorso;
lette le conclusioni della difesa che insiste nell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME, munito di procura speciale, chiede alla Suprema Corte, ex art. 625-ter cod. proc. pen., la rescissione del giudicato, con riferimento alla sentenza di condanna n. 1329 emessa dal Tribunale di Chieti il 29 settembre 2016, irrevocabile il 17 gennaio 2017, per essersi proceduto per tutta la durata del processo in assenza dell’imputata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo per reato di furto pluriaggravato commesso il 28 ottobre 2013.
A tal fine, la ricorrente, sostiene l’applicabilità dell’art. 625-ter cod. proc pen., con annessa competenza della Suprema Corte, perché abrogato solo successivamente al passaggio in giudicato della sentenza oggetto di richiesta di rescissione (a decorrere dal 3 agosto 2017 e in forza dell’art. 1, comma 70, legge 23 giugno 2017, n. 103), in luogo dell’art. 629-bis, cod. proc. pen., e, quindi, della competenza della Corte d’appello, in vigore a decorrere dal 3 agosto 2017.
Trattasi, il citato art. 629-bis, di articolo introdotto dalla detta I. n. 103 d 2017 e sostituito antecedentemente alla proposizione dell’istanza de qua, ancorché non con riferimento all’autorità competente, dall’art. 37, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, a decorrere dal 30 dicembre 2022, come disposto dall’art. 6 dl. n. 162 del 2022).
Nel merito rescissorio, anche ai fini della tempestività della richiesta, si deduce, con supporto documentale, che la condannata avrebbe avuto conoscenza del procedimento e conseguentemente del provvedimento della cui rescissione trattasi solo a seguito della notificazione alla stessa, in data 4 luglio 2023, del provvedimento di revoca del decreto di sospensione di ordine di esecuzione (e contestuale ordine di carcerazione) emesso il 9 agosto 2018, notificato in precedenza al solo difensore di ufficio e alla condannata con le forme delle notificazioni a soggetto irreperibile.
La mancata conoscenza del procedimento emergerebbe altresì dall’assenza dell’imputata e di ogni elemento tale da far ritenere sussistente un effettivo contatto tra ella e il difensore di ufficio, nominatole in sede di identificazione ed elezione di domicilio presso lo stesso avvocato, che l’avrebbe difesa nel giudizio di merito.
Le parti hanno depositato conclusioni nei termini di cui in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
È pregiudiziale la questione inerente all’individuazione della disciplina applicabile: l’art. 625-ter cod. proc. pen., con annessa competenza della Suprema Corte, abrogato (dalla I. n. 103 del 2017) successivamente alla sentenza oggetto di richiesta rescissoria ma antecedentemente all’istanza, ovvero l’art. 629-bis, del medesimo codice, con conseguente competenza della Corte d’appello, in vigore a decorrere dal 3 agosto 2017 (di recente sostituito, a opera dell’art. 37, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, ferma restando la competenza della Corte territoriale) e, quindi, da epoca successiva alla sentenza in oggetto e antecedente alla richiesta di rescissione.
Sul punto si registrano due diversi orientamenti di legittimità (ancorché fondati su argomentazioni traenti spunto da medesimi arresti della Suprema Corte, tra cui Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537).
2.1. Per il primo di essi, in termini cronologici, ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni in generale e, quindi, anche in materia di rescissione del giudicato (in quanto mezzo d’impugnazione straordinario), allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione.
Sul punto si vedano, in particolare, Sez. 6, n. 40146 del 21/03/2018, Pinti, Rv. 273843, e Sez. 6, n. 19117 del 23/03/2018, Tardiota, Rv. 273441, entrambe però inerenti a fattispecie, differenti dalla presente, caratterizzate da sentenze pronunciate antecedentemente alla I. n. 103 del 2017 oltre che da istanze di rescissione parimenti antecedenti, con riferimento, quindi, a ipotesi che, comunque, pur in applicazione del diverso principio di seguito evidenziato, non avrebbero avuto sorti differenti (si vedano altresì, nello stesso senso, Sez. 1, n. 5204 del 28/05/2019, dep. 2020, COGNOME, non massimata, e Sez. 5, n. 31840 del 17/09/2020, Manda, non massimata, entrambe con riferimento a fattispecie caratterizzate dall’antecedenza rispetto all’entrata in vigore della I. n. 103 del 2017 delle sentenze oggetto di rescissione, inerenti a istanze di rescissione successive a tale data).
2.2. Per l’orientamento formatosi successivamente, invece, in tema di rescissione del giudicato, ai fini dell’individuazione della norma applicabile, in assenza di disposizioni transitorie che regolino espressamente il passaggio tra le diverse discipline succedutesi nel tempo, si deve fare riferimento non al
momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato bensì a quello nel quale il condannato in «assenza» è venuto a conoscenza del provvedimento e può esercitare il diritto di impugnazione straordinaria.
Sul punto si vedano, in particolare, Sez. 5, n. 15666 del 16/04/2021, Duric, Rv. 280891, e Sez. 5, n. 380 del 15/11/2021, dep. 2022, Saban, Rv. 282528, entrambe inerenti a fattispecie sostanzialmente sovrapponibili alla presente in quanto caratterizzate da sentenze pronunciate antecedentemente alla I. n. 103 del 2017 (invero, la prima delle due, avente a oggetto l’istanza di rescissione di due sentenze delle quali una successiva all’entrata in vigore della citata legge n. 103 del 2017; si veda altresì, sempre con riferimento a fattispecie sovrapponibile alla presente, Sez. 5, n. 15938 del 16 aprile 2021, Osazee, non massimata).
Il collegio condivide il secondo orientamento che, quindi, intende confermare, e il sotteso iter logico-giuridico, cui si fa rinvio esplicitandone di seguito i più significativi passaggi come emergenti dalla più recente citata Sez. 5, n. 380 del 2021, dep. 2022, Saban.
3.1. Ricostruito l’istituto in esame, in termini di mezzo di impugnazione straordinario in quanto «rimedio restitutorio finale», si chiarisce che la disciplina regolatrice del fenomeno successorio di istituti processuali non può che ricondursi al principio di cui all’art. 11 delle disposizioni preliminari al codic civile, che – in mancanza di specifica disposizione transitoria che statuisca in senso contrario – impone di fare riferimento alla normativa vigente nel momento in cui deve essere svolta l’attività processuale oggetto di modifica. Il suddetto principio, espresso con il brocardo tempus regit actum, implica che la validità degli atti è regolata dalla legge vigente al momento della loro formazione. Trattasi di principio più volte sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale, secondo la quale «il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi – non è stato tuttavia elevato a dignità costituzionale, se si eccettua la previsione dell’art. 25 della Costituzione, relativa alla legge penale. Al legislatore ordinario, pertanto, fuori della materia penale, non è inibito emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione però che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti» (il riferimento in sentenza è a Corte cost., n. 416 del 1999; si veda anche Corte cost., n. 207 del 2016, che, in materia di norme processuali penali, ha affermato che l’inapplicabilità dell’istituto della messa alla prova ai processi in corso, in cui sia stata già dichiarata l’apertura del dibattimento, è conseguenza non della mancanza di retroattività della norma penale ma del normale regime temporale
della norma processuale, retto dal principio tempus regit actum, che potrebbe essere derogato da una diversa disciplina transitoria ma la cui mancanza non è censurabile in forza dell’art. 7 della CEDU).
3.2. In materia di impugnazioni, sempre secondo l’orientamento in considerazione (cfr., sentenza «Saban» cit.), sulla questione della successione delle norme processuali in mancanza di disposizione regolante il periodo transitorio, è intervenuta Sez. U, n. 27614 del 2007, Lista, cit., che ha operato la distinzione tra modifiche legislative che attengono alla categoria del «regime delle impugnazioni» (nelle quali rientrano le modifiche legislative relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi e ai termini per esercitarla) e modifiche legislative che, invece, si riferiscono al procedimento di impugnazione. Si è quindi affermato che, ai fini dell’individuazione del «regime» applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di pronuncia del provvedimento da impugnare e non a quello in cui si propone l’impugnazione. In particolare, si sono ritenuti irragionevoli gli esiti ai quali condurrebbe il riferire la legg applicabile a quella vigente al tempo in cui l’atto d’impugnazione è proposto, potendosi determinare una asimmetria tra le posizioni di più parti impugnanti, collegata ai tempi, spesso differenti, per la proposizione dell’impugnazione stessa, a loro volta influenzati da eventi casuali o aleatori (adempimenti di cancelleria, vicende della notifica e altro). Si è, peraltro, evidenziata la necessità che l’actus sia focalizzato e isolato, sì da cristallizzare la disciplina giuridica ad esso riferibile. Secondo le Sezioni Unite «Lista» l’atto di impugnazione ha una propria autonomia e una funzione autoreferenziale, che è quella di dare avvio al grado successivo di giudizio. In proposito, però, l’orientamento in esame sottolinea che il caso esaminato dalle Sezioni Unite era quello dell’ammissibilità di una impugnazione ordinaria quale l’appello: è stata infatti affrontata la questione del perdurante potere di appello, agli effetti penali, in capo alla persona offesa costituita parte civile avverso la sentenza emessa nei processi relativi ai reati di ingiuria e diffamazione, nonostante l’abrogazione per legge di tale rimedio. Le Sezioni Unite hanno stabilito che l’impugnazione conserva la sua efficacia anche dopo quella data, stante l’assenza di una disciplina transitoria espressa in senso derogatorio. Quindi, il riferimento alla data della sentenza ha trovato una sua collocazione armonica nella considerazione dell’individuazione del momento in cui sorge il diritto all’impugnazione e al correlato affidamento che ha il soggetto (legittimato a proporre la stessa impugnazione) sulle norme regolanti tale diritto. Insomma, la questione su cui hanno deciso le Sezioni Unite Corte di Cassazione – copia non ufficiale
«Lista» concerneva l’an del diritto ad impugnare (peraltro in un caso in cui tanto l’emissione della sentenza quanto la proposizione dell’impugnazione risalivano a epoca precedente alla riforma), giacché il problema interpretativo afferiva all’applicabilità ai procedimenti in corso (ovvero all’appello già proposto) della norma dì cui all’art. 9 della legge n. 46 del 2006, che aveva abrogato l’art. 577 cod. proc. pen., sottraendo alla parte civile il potere di proporre gravame agli effetti penali nei casi di ingiuria e di diffamazione. Il riferimento temporale alla disciplina vigente al momento della pronuncia della sentenza è stato giustificato dal fatto che è in rapporto a quest’ultimo actus e al tempus del suo perfezionamento che vanno valutati la «facoltà di impugnazione, la sua estensione, i modi e i termini per esercitarla».
3.3. Proprio quanto innanzi, circa l’evidenziato passaggio motivazionale delle Sezioni Unite «Lista», per l’orientamento che il collegio condivide chiarisce che il quadro normativo applicabile, nel caso di successione di leggi processuali, deve essere ricostruito tenendo presente la disciplina del tempo in cui è sorto il diritto di impugnare, ciò a tutela del legittimo affidamento delle parti nello svolgimento del processo secondo le regole vigenti al tempo del compimento degli atti, nonché l’esigenza che esse conoscano il momento in cui sorgono diritti o oneri con effetti per loro pregiudizievoli.
Tale affidamento non può che parametrarsi con la disciplina processuale dell’insieme delle regole sistematicamente organizzate in vista della statuizione giudiziale ovvero con l’inizio dell’attività che caratterizza il rapporto processuale.
3.4. Premessa l’evidenziata ricostruzione e tornando all’esame del caso di specie, l’orientamento in considerazione (cfr., Sez. 5, n. 380 del 2021, dep. 2022, Saban, cit.) individua il momento in cui sorge il diritto del condannato in «assenza» a proporre la richiesta di rescissione.
Alla stregua della disposizione di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen. (e del previgente art. 625-ter cod. proc. pen), il momento in cui l’interessato può esercitare il suo diritto all’impugnazione (entro il termine perentorio di trenta giorni) è quello «dell’avvenuta conoscenza de/procedimento», ora, deve chiarirsi in questa sede, in forza della sostituzione del citato art. 629-bis a opera del d.lgs. n. 155 del 2022, il riferimento deve intendersi all’avvenuta «conoscenza della sentenza».
È, dunque, quello l’unico riferimento temporale che si può valorizzare per individuare la norma processuale applicabile, ove peraltro si consideri la natura d’impugnazione straordinaria della rescissione, quale rimedio restitutorio finale (per la pacifica natura di mezzo di impugnazione straordinaria della rescissione si veda, ex plurimis, Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259990).
In effetti, proprio la natura dell’istituto della rescissione è apparsa dirimente nella soluzione delle questioni poste dalla successione delle norme processuali in esame.
Con la richiesta di rescissione l’interessato non fa valere solo il diritto a impugnare la sentenza passata in giudicato: egli, promuovendo il procedimento di rescissione, si avvale (sul presupposto della mancata conoscenza effettiva del processo e della conseguente impossibilità di volontaria rinuncia alla partecipazione o sottrazione a esso) del potere di richiedere la riapertura e la ripetizione del processo, ovvero di ottenere che nei suoi confronti si statuisca di nuovo sul merito delle accuse formulate. Non è stato altresì ritenuto di poco conto considerare la struttura del procedimento in esame, che si apre con una prima fase nella quale, oltre al vaglio della legittimazione e della tempestività della richiesta, il giudice competente deve accertare la sussistenza dei presupposti della mancata conoscenza effettiva del processo. Solo superata tale fase il condannato può ottenere la rescissione del giudicato, con trasmissione degli atti al giudice di primo grado, qualora appunto provi che l’assenza sia stata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.
È, allora, evidente, sempre per l’orientamento che si condivide, che non si può far riferimento temporale alla disciplina vigente al momento della pronuncia della sentenza (poi passata in giudicato), giacché il procedimento di rescissione non è in rapporto solo con quest’ultimo actus e con il tempus del suo perfezionamento, dovendo essere invece valutati in maniera più ampia la facoltà di impugnazione straordinaria, la sua estensione, modi e i termini per esercitarla. È altresì ritenuto pacifico che la riforma attuata con I. n. 103 del 2017 non abbia inciso (come nel caso deciso dalle Sezioni Unite «Lista») sull’an dell’impugnazione.
3.5. Tale interpretazione, conforme anche ai principi delineati in materia dalla Corte Costituzionale (di cui al precedente paragrafo 6.1.), ha trovato conforto nella sentenza delle Sezioni Unite n. 8914 del 21/12/2017, Aiello, Rv. 272010, che si è pronunziata su un caso in cui il provvedimento (cautelare) impugnato era stato emesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, mentre il ricorso, proposto personalmente dall’indagato, era stato depositato dopo tale data, sicché si poneva necessariamente il problema di verificare l’applicabilità dell’art. 613 cod. proc. pen. nella versione antecedente o successiva alla riforma. Ebbene, le Sezioni Unite hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato personalmente dall’indagato avverso un’ordinanza antecedente rispetto all’entrata in vigore della riforma dell’art. 613 cod. proc. pen., precisando che, sebbene il provvedimento impugnato fosse stato adottato il 25 luglio 2017, e depositato nella cancelleria del Tribunale il 27 luglio
2017, ossia in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, esso risultava essere stato notificato all’imputato in data 21 agosto 2017, nel pieno vigore della nuova normativa processuale, con la conseguenza che l’esercizio del suo diritto di impugnazione ai sensi dell’art. 311, comma 1, cod. proc. pen., avrebbe dovuto necessariamente essere conformato a essa.
È dunque apparso evidente, per l’orientamento in esame, che anche le Sezioni Unite «Aiello» abbiano dato espressa rilevanza non solo all’epoca di proposizione del ricorso ma anche alla data di notifica del provvedimento impugnato, ovvero al momento dal quale decorre il termine per l’interessato di proporre l’impugnazione (cfr., Sez. 5, n. 380 del 2021, dep. 2022, Saban, cit.).
Deve infine aggiungersi, in questa sede, che il condiviso percorso argomentativo che muove dalla tutala dell’affidamento, ancora una volta in considerazione anche degli approdi di cui alle citate Sezioni Unite «Lista», fa altresì da sfondo al recente intervento nomofilattico di Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036, in merito a fattispecie differente dalla presente, in particolare al disposto di cui all’art. 573, comma 1 -bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 d.lgs. n. 150 del 2022.
La Suprema Corte ha chiarito che la citata norma, per la quale, quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione.
È stato in particolare ricordato che possibili limiti o mitigazioni rispetto a un’assolutizzazione delle regole meramente desumibili dal brocardo tempus regit actum sono stati ricavati dalla Corte costituzionale non solo dal principio di «ragionevolezza» (Corte cost., n. 560 del 2000), ma anche dall’esigenza di tutela dell’«affidamento» che il singolo dovrebbe poter nutrire nella stabilità di un determinato quadro normativo. Affidamento che, almeno quando si trovi, a sua volta, «qualificato dal suo intimo legame con l’effettività del diritto di difesa», riceve anch’esso il riconoscimento di principio «costituzionalmente protetto» (Corte cost., n. 394 del 2002). «Né, più in generale», proseguono sul punto le Sezioni Unite n. 38481 del 2023, «possono trascurarsi i riferimenti, talora evidenziati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, all’«accessibilità» e alla «prevedibilità» come connotati essenziali del diritto penale, in una prospettiva
che guarda non soltanto allo ius scriptum ma al «diritto vivente» espresso dalla giurisprudenza (il riferimento esplicito è fatto dalle citate Sezioni Unite a Corte EDU, 14/04/2015, Contrada c. Italia).
I detti principi sono stati ritenuti valevoli anche nella situazione oggetto dell’intervento nomofilattico esaminata delle citate Sezioni Unite del 2023, connotata dall’intervenuta variazione di aspetti che, pur legati formalmente alla sola fase decisoria dell’impugnazione, finiscono, tuttavia, per riverberarsi sugli atti indirettamente, ma logicamente, propedeutici all’impugnazione stessa mutandone imprevedibilmente i connotati in maniera tale da lasciare «indifesa» la parte che tali atti abbia già svolto secondo quanto prescritto dalla normativa preg ressa.
Ne consegue che, essendo il condannato in assenza venuto a conoscenza della sentenza della cui rescissione si tratta il 4 luglio 2023, ed essendo da tale momento esercitabile il diritto d’impugnazione straordinaria mediante istanza di rescissione, deve essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte d’appello di L’Aquila per competenza.
P.Q.M.
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di L’Aquila per competenza.
Così deciso il 19 ottobre 2023
Il Presidente