Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20630 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20630 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Moldavia il 02/07/1981 avverso l’ordinanza del 19/12/2024 della Corte d’appello di Bologna udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Bologna ha dichiarato inammissibile l’istanza di rescissione del giudicato proposta da NOME COGNOME ai sensi dell’articolo 629bis cod. proc. pen., in relazione alla condanna a un anno e tre mesi di reclusione inflitta dal Tribunale di Modena con sentenza del 16/01/2014, per il delitto di cui all’art. 497 cod. pen.
A dire di parte ricorrente, l’imputato non aveva saputo nulla del processo, celebrato in sua assenza e con un difensore d’ufficio, apprendendo di esso solo il 19/10/2024, all’arrivo in Italia, allorché era stato arrestato in virtù della detta condanna.
La Corte d’appello ha rilevato che, ai sensi dell’articolo 15bis l. 67/2014, nei processi con dispositivo di sentenza emesso prima dell ‘ entrata in vigore delle
nuove norme sull’assenza dell’imputato (introdotte con la stessa legge) avrebbe dovuto operare il rimedio della restituzione nel termine ex articolo 175, comma 2, cod. proc. pen., e non quello azionato. Pertanto, ha dichiarato inammissibile il ricorso, non potendo neppure riqualificarsi l’istanza quale richiesta di restituzione nel termine, in ragione della diversa natura e funzione degli istituti, differenti per petitum ed effetti.
2. Avverso l’ordinanza ricorre l’imputato.
Lamenta l’erronea applicazione dell’articolo 629 -bis cod. proc. pen. e delle norme ad esso collegate.
Richiama il principio del tempus regit actum , secondo cui la disciplina applicabile è quella vigente al momento della conoscenza da parte del condannato dell’esistenza della sentenza a lui prima ignota, dies a quo del termine di trenta giorni per la proposizione dell’impugnazione de qua .
Si cita una assunta pronuncia di legittimità conforme (Cass. sez. IV Ord. n. 1407/2023 del 19/10/2023), la quale affermerebbe che l’unico riferimento temporale idoneo a individuare la norma processuale applicabile è il momento della conoscenza della sentenza, considerando la rescissione come avente natura di impugnazione straordinaria. Si sostiene che sarebbe incongruo applicare al Garit norme anteriori alla legge 28 aprile 2014, n. 67, poiché il suo diritto a impugnare non era esercitabile prima della conoscenza della sentenza al momento dell’arresto , avvenuto il 9 ottobre 2024, dieci anni dopo la sua emissione.
Si evidenzia che una diversa interpretazione porterebbe alla coesistenza di discipline distinte per imputati nella stessa condizione e che l’istituto della remissione nel termine, suggerito dalla Corte d’Appello, consentendo di impugnare la sentenza di primo grado, menomerebbe il diritto di difesa poiché priverebbe l’imputato del più rilevante tra i gradi di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. Anzitutto, la sentenza che parte ricorrente menziona quale precedente (che, in realtà, è Sez. 4, n. 2580 del 19/10/2023, dep. 2024, Dedu, Rv. 28570101), fa chiaramente riferimento a ben diversa fattispecie, relativa ad una sentenza emessa ‘il 29 settembre 2016, irrevocabile il 17 gennaio 2017’ : quindi nel pieno vigore delle norme introdotte con la legge 67/2014 e in relazione a un giudizio in cui s’era proceduto ‘per tutta la durata del processo in assenza dell’imputata’.
Tale precedente si occupa del problema del regime applicabile in materia di impugnazioni e, in particolare, in materia di rescissione del giudicato, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra: verificando, dunque, se potesse applicarsi il regime anteriore alla legge 103/2017 (data in cui il provvedimento impugnato era già stato emesso) ovvero quello posteriore (data in cui l’impugnazione era stata proposta).
Coerentemente, la sentenza de qua ha affermato il seguente principio di diritto: «In tema di rescissione del giudicato, per l’individuazione della norma applicabile, in assenza di disposizioni transitorie, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 629bis cod. proc. pen. dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, si deve far riferimento non al momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato, ma a quello in cui il condannato in “assenza” ha avuto conoscenza della stessa e ha avuto, quindi, la possibilità di esercitare il diritto di impugnazione straordinaria. (In applicazione di tale principio, è stata affermata la competenza della Corte d’appello a decidere su un ricorso per rescissione avverso sentenza passata in giudicato prima dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, di cui l’imputato aveva avuto effettiva conoscenza successivamente alla vigenza del citato d.lgs. n. 150 del 2022)».
Dunque, la menzionata pronuncia afferma applicarsi il principio del tempus regit actum esclusivamente, ed ovviamente, «in assenza di disposizioni transitorie»: che, però, nella specie vi sono.
Invero, è stato più volte evidenziato, da questa Corte, che la nullità degli atti introduttivi di giudizio definito con sentenza irrevocabile, che abbiano determinato un’errata dichiarazione di contumacia o di assenza, concorrendone le altre condizioni, può essere fatta valere con il rimedio della restituzione del termine di cui all’art. 175 cod. proc. pen. (nella versione vigente antecedentemente alle modifiche introdotte dall’art. 11 legge 28 aprile 2014, n. 67), in caso di sentenza contumaciale, o con quello della rescissione del giudicato di cui all’art. 629bis cod. proc. pen., in caso di sentenza pronunciata in assenza (Sez. 3, n. 14631 del 11/01/2024, Posillo, Rv. 286194-01).
Tanto in applicazione della chiara disposizione transitoria di cui all’art. 15bis , comma 1, l. 67/2014, come modificato dalla l. 118/2014, secondo cui: «Le disposizioni di cui al presente capo» (tra cui quella sulla rescissione del giudicato) «si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado».
Nella specie, è certo che il detto dispositivo sia stato pronunciato prima dell’entrata in vigore della detta legge, sicché l’istituto invocato non era applicabile.
4. Per completezza, va evidenziato come questa Corte abbia già più volte dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, proposta in relazione agli artt. 3, 10, 24, 11 e 117 Cost., dell’art. 15bis della legge 28 aprile 2014 n. 67 nella parte in cui limita l’applicabilità della disciplina relativa al processo in assenza, introdotta dalla stessa legge, ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado: ciò in ragione dell’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore «nel regolare nei processi in corso gli effetti temporali di nuovi istituti ovvero delle modificazioni introdotte in istituti già esistenti», atteso che «le relative scelte, ove non siano manifestamente irragionevoli, si sottraggono a censure di illegittimità costituzionale» (Corte cost., sent. n. 219 del 2004, a proposito della disciplina transitoria dettata dall’art. 5 della legge 12 giugno 2003, n. 134, in tema di “patteggiamento allargato”). È evidente, infatti, che il regime transitorio, per definizione, stabilisce una linea di demarcazione a partire dalla quale la nuova disciplina risulta applicabile ed è, dunque, ovvio che non per questa natura può ritenersi ex se illegittima (Corte cost., sent. n. 381 del 2001, in tema di attuazione del “giusto processo”), salvo il limite della detta manifesta irragionevolezza, nella specie insussistente. Invero, la stessa disciplina fa correttamente leva su un dato processuale -la deliberazione della sentenza di primo grado, al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina -‘del tutto immune dal rischio di prestarsi ad arbitri e coerente rispetto alle esigenze del regime transitorio, posto che, come osservava la relazione di accompagnamento alla proposta di legge n. 2344 – poi approvata con la legge n. 118 del 2014 cit. -, con l’emissione della sentenza conclusiva del processo in primo grado «non v’è più modo di adeguare la pregressa dichiarazione di contumacia ai nuovi parametri del processo nei confronti dell’irreperibile». D’altra parte, il discrimen temporale individuato dal legislatore è coerente anche con la finalità di «evitare la dispersione delle attività processuali già compiute», finalità, questa, valorizzata, nella prospettiva della ritenuta ragionevolezza dell’opzione legislativa, dalla sent. n. 72 del 2008 con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui esclude l’applicazione dei termini di prescrizione più brevi ai processi già pendenti in grado d’appello, ossia ai processi per i quali è intervenuta la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado (cfr. Sez. U,
47008 del 29/10/2009 – dep. 10/12/2009, COGNOME, Rv. 244810)’ (così Sez. 5, n. 24796 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 270600-01, in motivazione; confronta, negli stessi termini: Sez. 3, n. 13722 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 275991-01).
Da ultimo, pur non essendo qui neppure contestato il diniego espresso nel provvedimento impugnato di riqualificare l’istanza quale richiesta di rimessione in termini, va, ad abundantiam , rimarcato che, come evidenziato, in motivazione, da Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Rv. 259992-01, è esclusa ogni possibilità di riqualificare la richiesta di rescissione del giudicato come restituzione nel termine ed anche quale incidente di esecuzione, tenuto conto del differente oggetto giuridico dei rimedi in questione (confronta, negli stessi termini: Sez. 6, n. 10000 del 14/02/2017 Cc., COGNOME, Rv. 269665-01; Sez. 5, n. 10433 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 277240-01; Sez. 1, n. 23426 del 15/04/2015, Lahrach, Rv. 26379401 ; per l’affermazione di analogo principio volto a negare la riqualifica, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., della richiesta di incidente di esecuzione in quella di rescissione del giudicato, confronta, per tutte, Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Rv. 280931-02).
Ai sensi dell ‘art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria, a favore della cassa delle ammende, nella misura in dispositivo, congrua in rapporto alle ragioni dell’inammissibilità ed all’attività processuale che la stessa ha determinato, valutata la colpa nella determinazione della stessa causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 23/04/2025.