Rescissione del Giudicato: L’Istanza di Restituzione nel Termine non è Convertibile
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7486 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale della procedura penale in materia di rescissione del giudicato. Questa pronuncia chiarisce che un’istanza di restituzione nel termine non può essere ‘convertita’ o riqualificata in una richiesta di rescissione del giudicato. Si tratta di due rimedi processuali distinti, con presupposti e finalità differenti, che non possono essere confusi né considerati intercambiabili.
I Fatti del Caso
Un imputato, giudicato in assenza e condannato con sentenza definitiva, aveva proposto ricorso avverso un’ordinanza della Corte d’Appello di Roma. Quest’ultima aveva dichiarato inammissibile la sua richiesta di rescissione del giudicato. Il ricorrente contestava tale decisione, ma la sua istanza originaria era stata formulata come richiesta di restituzione nel termine. Il nodo della questione, quindi, era stabilire se un’istanza con un determinato nomen iuris (restituzione nel termine) potesse essere trattata come un’istanza diversa (rescissione del giudicato).
La Decisione della Corte di Cassazione sulla Rescissione del Giudicato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, specificando che la disciplina normativa della rescissione del giudicato, prevista dall’art. 629-bis del codice di procedura penale, non può essere attivata attraverso un’istanza di restituzione nel termine.
Le Motivazioni: Distinzione tra Rimedi Processuali
Il cuore della decisione risiede nella netta distinzione tra i due istituti processuali. La Corte ha sottolineato che i due rimedi hanno natura e presupposti diversi e non sono fungibili.
Il Principio di Conservazione degli Atti e i suoi Limiti
Il ricorrente sperava probabilmente nell’applicazione del principio di conservazione degli atti, disciplinato dall’art. 568, comma 5, del codice di procedura penale. Questo principio permette al giudice di qualificare correttamente un’impugnazione anche se la parte le ha attribuito un nome errato. Tuttavia, la Cassazione ha richiamato una giurisprudenza consolidata (sentenze n. 33647/2022 e n. 863/2022) per affermare che tale principio opera esclusivamente per i rimedi qualificati dal codice come ‘impugnazioni’.
La Natura della Restituzione nel Termine
La richiesta di restituzione nel termine non rientra nella categoria delle impugnazioni. È un rimedio di carattere generale volto a sanare una decadenza incolpevole da un termine perentorio, ma non è un mezzo per contestare nel merito una decisione giudiziaria. Di conseguenza, non essendo un’impugnazione, ad essa non si applica il principio di conservazione e, pertanto, non può essere ‘convertita’ in una richiesta di rescissione del giudicato.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame rafforza la necessità di un approccio rigoroso nella scelta degli strumenti processuali. Gli avvocati e i loro assistiti devono prestare la massima attenzione a qualificare correttamente le proprie istanze, poiché un errore nella scelta del rimedio può portare a una dichiarazione di inammissibilità, precludendo la possibilità di far valere le proprie ragioni. La decisione conferma che la rescissione del giudicato è uno strumento specifico, attivabile solo con un’istanza ad hoc che rispetti i presupposti formali e sostanziali previsti dalla legge, senza possibilità di ‘salvataggio’ attraverso la riqualificazione di istanze di diversa natura.
 
È possibile convertire una richiesta di restituzione nel termine in una richiesta di rescissione del giudicato?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che i due rimedi non sono intercambiabili. L’istanza di restituzione nel termine non può essere riqualificata come richiesta di rescissione del giudicato perché i due istituti hanno natura e presupposti differenti.
Perché il principio di conservazione degli atti processuali non si applica in questo caso?
Secondo la giurisprudenza consolidata citata dalla Corte, il principio di conservazione (art. 568, comma 5, c.p.p.) si applica solo ai rimedi che il codice qualifica espressamente come ‘impugnazioni’. La restituzione nel termine non rientra in questa categoria e quindi non può beneficiare di tale principio.
Qual è stata la conseguenza per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7486 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 7486  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/07/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME;
considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la dichiarazione di inammissibilità della richiesta di rescissione del giudicato, è manifestamente infondato in quanto i giudici del merito hanno correttamente applicato la disciplina normativa di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen., ampiamente argomentando sul punto (si veda, in partico are, pag. 2);
che, inoltre, si prospettano enunciati e -meneutici in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 33647 del 08/07/2022, COGNOME, Rv. 283474; Sez. 4, n. 863 del D3/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282566), secondo cui l’istanza di restituzione nel termine, proposta dall’imputato dichiarato assente ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. peri., non può essere riqualificata nella richiesta di rescissione del giudicato perché il principio d conservazione, di cui all’art. 568, comma 5,, cod. proc. pen., è applicabile ai soli rimedi qualificati come impugnazioni dal codice di rito, tra i quali non rientra la restituzione nel termine;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024.