Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13589 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13589 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la ordinanza in data 14/11/2023 della Corte di appello di Brescia, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 14/11/2023, la Corte di appello di Brescia rigettava l’istanza con la quale, nell’interesse di COGNOME NOME, era stata chiesta la rescissione del giudicato ex art. 629-bis cod. proc. pen. in relazione alla sentenza pronunciata nei confronti dello stesso dal Tribunale di Bergamo in data 22/03/2017, confermata dalla Corte di appello di Brescia in data 08/01/2018, irrevocabile in data 27/03/2018, ritenendo che nella fattispecie difettasse, in capo
all’istante, il requisito della mancata incolpevole conoscenza della celebrazione del processo, conclusione supportata dai seguenti rilievi:
–COGNOME aveva nominato un difensore di fiducia (AVV_NOTAIO) eleggendo domicilio presso il suo studio;
-lo stesso COGNOME aveva richiesto l’emissione di provvedimento di espulsione, disattendendo i doveri di diligenza nel mantenere i contatti con il difensore di fiducia;
-il rapporto tra il COGNOME ed il suo difensore di fiducia era ben consolidato, trattandosi del medesimo difensore nominato dal primo in altro procedimento e che poi era stato incaricato di procedere al deposito dell’istanza di espulsione dal territorio dello Stato.
Avverso la predetta ordinanza, nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE, è stato proposto ricorso per cassazione, il cui formale unico motivo viene di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: erronea applicazione della legge processuale in relazione all’art. 629-bis cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
In realtà, la Corte territoriale ha omesso di confrontarsi con le pronunce giurisprudenziali che evidenzierebbero come, nel concreto, in fattispecie similari, non potesse ritenersi raggiunta la prova dell’instaurazione di un rapporto professionale tra il difensore e l’odierno ricorrente; in particolare, non ha tenuto in alcuna considerazione il documento, prodotto dalla difesa, costituito dalla dichiarazione dell’AVV_NOTAIO con cui si dava atto della mancanza di qualsiasi rapporto di natura professionale che giustificasse la conoscenza del procedimento da parte del proprio assistito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Come è noto, a seguito delle modifiche operate dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 (art. 11, comma 6), la disciplina del processo in absentia ex art. 420bis cod. proc. pen. subordina la possibilità di procedere “in assenza” dell’imputato alla «effettiva conoscenza del procedimento», ossia all’effettiva informazione sul contenuto dell’accusa, sulla pendenza del procedimento e sui tempi e luoghi della sua celebrazione. Per tale motivo, la norma richiede che l’imputato «abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza» ovvero risulti «con certezza» che egli sappia del procedimento; a tale prova positiva della conoscenza si aggiungono le ipotesi di conoscenza tipizzata contemplate dal secondo comma
dell’art. 420-bis, vale a dire la dichiarazione od elezione di domicilio; l’applicazione di misure precautelari che abbiano portato all’udienza di convalida o la sottoposizione a misura cautelare; la nomina di un difensore di fiducia. A tali ipotesi, infine, il legislatore ha equiparato quella in cui l’imputato si si «volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo».
2.1 A sua volta, l’art. 629-bis cod. proc. pen. (che la legge 23 giugno 2017, n. 203 ha introdotto in luogo dell’art. 625-ter stesso codice), prevede fra i presupposti per l’accoglimento della richiesta di rescissione del giudicato che il condannato, nei cui confronti si sia proceduto in absentia, «provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza del processo».
Rispetto a tale quadro normativo, deve essere richiamato il fondamentale apporto ermeneutico che sul tema della disciplina del processo in absentia e sul correlato rimedio della rescissione del giudicato è stato fornito dalle recenti decisioni delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte.
2.2. Con la sentenza n. 28912 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 275716, le Sezioni unite, chiamate a pronunciarsi sulla nozione di «effettiva conoscenza del procedimento» alla quale l’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella previgente formulazione, collegava effetti preclusivi alla restituzione in termini per l’impugnazione, hanno tracciato, in generale, anche i confini di ammissibilità del processo in absentia. La Corte ha affermato, innanzitutto, la necessità che l’accusato non sia soltanto posto a conoscenza dell’esistenza di un’indagine penale a suo carico, ma che sia destinatario di un formale provvedimento di vocatio in iudicium, contenente l’indicazione dell’accusa formulata, nonché della data e del luogo di svolgimento del giudizio: in tal senso si è, fra l’altro, valorizzato il dato che tanto l’art. 420-bis, comma 4, quanto l’art. 629-bis, comma 1, cod. proc. pen. annettono rilevanza alla mancata conoscenza del «processo», con ciò presupponendo la formalizzazione di un’accusa ed il deferimento a giudizio dell’interessato. Tale conoscenza, inoltre, deve essere effettiva e non meramente legale, come reso evidente dall’inequivoco tenore testuale dell’art. 420-bis cod. proc. pen. nella parte in cui richiede, come visto, che l’imputato «abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza» ovvero ricorrano le ipotesi di conoscenza tipizzata fondate sulle situazioni di cui al comma 2 della norma. Quanto all’ipotesi in cui l’imputato si sia «volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo», la richiamata decisione delle Sezioni unite ha specificamente puntualizzato che, nel rispetto delle fonti sovranazionali così come interpretate dalle competenti Corti (Corte EDU, sentenza 18/05/2004, Somogyi c. Italia; sentenza 10/11/2004, Sejdovic c. Italia) e, altresì, come recepite nel nostro ordinamento (art. 19, legge n. 69 del 2005), la mancata
conoscenza del processo da parte dell’imputato non osta alla celebrazione dello stesso quando egli si sia ad essa deliberatamente sottratto. In tale contesto ricostruttivo, la citata decisione ha significativamente aggiunto che deve ritenersi operante una presunzione relativa di volontaria sottrazione alla conoscenza del processo nel caso di «inottemperanza all’onere di informazione che deriva dalle situazioni tipizzate dall’art. 420-bis, cod. proc. pen.», come si desume dal tenore, sostanzialmente simmetrico, degli artt. 420-bis, comma 4, e 629-bis, comma 1, cod. proc. pen., che onerano l’interessato (nell’un caso, imputato; nell’altro, condannato) della dimostrazione di una sua «incolpevole mancata conoscenza del processo».
2.3. Con la successiva Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, NOME COGNOME, Rv. 279420-01, si sono formulate ulteriori indicazioni esegetiche, che muovono dalla medesima premessa fatta propria dalla sentenza COGNOME, ossia che il fondamento del sistema è incentrato sull’effettività della conoscenza del processo e sull’accertamento che la parte sia personalmente informata del contenuto dell’accusa e del giorno e luogo della udienza. In particolare, la sentenza COGNOME ha posto l’accento sul rilievo che l’art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen., nella prospettiva di rendere più agevole il compito del giudice, ha tipizzato casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vocatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell’imputato: in questo senso, l’aver eletto domicilio, l’essere stato sottoposto ad arresto, fermo o a misura cautelare, l’aver nominato un difensore di fiducia, sono altrettante situazioni che consentono di desumere dalla notifica, regolare ma non a mani proprie, l’effettiva conoscenza del processo. Non si tratta, pertanto, della creazione di (nuove) presunzioni di conoscenza del processo, ma di casi in cui, nelle date condizioni, è ragionevole ritenere che l’imputato abbia effettivamente conosciuto l’atto regolarmente notificato secondo le date modalità, fermo restando che alcun effetto potrà conseguire ad una impossibilità di regolare notifica.
In tale quadro ricostruttivo, la decisione in parola ha rimarcato che l’unica ipotesi in cui il legislatore ha previsto che possa procedersi alla celebrazione del processo pur se la parte ignori la vocatio in ius è quella di volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti dello stesso, precisando che di un tale comportamento vi deve essere traccia “positiva” all’esito di un necessario accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta, atteso che la disposizione normativa non “tipizza” e non consente di tipizzare alcuna condotta predeterminata che possa ritenersi tale. A questo proposito, sempre secondo la sentenza NOME COGNOME, ipotesi quali la «manifesta mancanza di diligenza informativa» ovvero la «indicazione di un domicilio falso» pur se
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apparentemente valido, se non possono far affermare automaticamente ed a priori, su un piano solo astratto, la ricorrenza della “volontaria sottrazione”, nondimeno non sono affatto irrilevanti, trattandosi, per converso, di circostanze che possono e devono essere valutate nei singoli casi concreti; ciò, s’intende, senza esasperare il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarlo automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, pena il ritorno alle “vecchie” presunzioni.
Tali principi risultano senz’altro applicabili anche all’istituto dell rescissione del giudicato.
4.1. Come già annotato, le Sezioni unite di questa Corte hanno più volte evidenziato lo stretto legame esistente fra l’art. 629-bis (e, prima ancora, dell’art. 625-ter) e l’art. 420-bis del codice di rito: nella lettura offerta dalla sentenza n 32848 del 17/07/2014, COGNOME, Rv. 259990-01, confermata anche da Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280931-01, l’art. 629-bis cod. proc. pen. si pone in stretta correlazione con le previsioni dell’art. 420-bis cod. proc. pen., onde è necessario ricavare dal coordinamento fra le due disposizioni e dalla funzione assegnata all’istituto della rescissione le coordinate per ricostruire il significato della suddetta formula.
4.2. La rescissione del giudicato è destinata ad offrire, in particolare, una forma di tutela all’imputato non presente fisicamente in udienza, attraverso la proposizione di un mezzo straordinario di impugnazione diretto al superamento del giudicato ed alla nuova instaurazione ab initio del processo in situazioni di mancata partecipazione del soggetto accusato, a causa dell’ignoranza incolpevole della celebrazione del processo, che non siano state intercettate e risolte in precedenza in sede di cognizione.
In tal senso, si sottolinea significativamente che la condizione di ignoranza del condannato in assenza «non deve essere a lui imputabile, né come e voluta diserzione delle udienze, né come colposa trascuratezza e negligenza nel seguirne il procedere» (così Sez. U, n. 15498/2021, COGNOME, al par. 8.1).
In altri termini, come evidenziato anche da Sez. 5, n. 31201 del 15/09/2020, COGNOME, Rv. 280137-01 – espressamente richiamata e condivisa dalla stessa sentenza COGNOME – il requisito della «incolpevole mancata conoscenza delle celebrazione del processo» ha il significato di «escludere all’assente pur sempre volontario l’accesso ad un nuovo giudizio, a colui cioè che si sia volontariamente posto nelle condizioni di non ricevere adeguata notizia del processo, dimostrando così implicitamente di non volervi partecipare». Proprio a tal fine, «l’art. 629-bis cod. proc. pen. attribuisce al giudice della rescissione
compito di valutare la sintomaticità dei comportamenti tenuti dall’imputato rimasto assente nel corso dell’intero processo, specie nel caso in cui abbia avuto cognizione della pendenza del procedimento, senza instaurare alcun automatismo in riferimento alle condizioni che, ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen. autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza». E, a tal fine, il Supremo consesso (cfr. la già richiamata Sez. U, n. 15498/2021, COGNOME) ha posto l’accento sugli ampi poteri cognitivi del giudice della rescissione, cui sono demandati controlli non solo formali, ma anche sostanziali, sui dati fattuali dai quali desumere la conoscenza della celebrazione del processo.
Fermo quanto precede, l’ordinanza impugnata risulta avere fatto puntuale applicazione degli illustrati principi, avendo la Corte territoriale escluso la sussistenza di una ipotesi di mancata conoscenza incolpevole del processo da parte del ricorrente con una motivazione puntuale, conforme a diritto e del tutto aliena da manifeste aporie di ordine logico.
In tale prospettiva, i giudici di merito hanno valorizzato le sottoindicate decisive – circostanze in fatto, e segnatamente:
-che il COGNOME aveva eletto domicilio presso il difensore di fiducia; -che l’imputato aveva instaurato un rapporto consolidato con il difensore di fiducia già nominato nell’ambito di altro procedimento penale per il quale era definitivo; -che il difensore di fiducia, su sollecitazione dello stesso COGNOME, aveva provveduto a depositare istanza perché venisse disposta la sua espulsione relativamente al processo per il quale era detenuto istanza poi accolta; -che dopo l’espulsione dal territorio del COGNOME, il difensore aveva anche proposto appello avverso la sentenza di primo grado nell’ambito del procedimento per il quale era stata avanzata istanza di rescissione.
In conclusione, ritiene il Collegio come la decisione della Corte territoriale appaia adeguatamente motivata nella parte in cui non ha ravvisato in capo al ricorrente un’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo a suo carico. Lo stesso, pur avendo effettuato una regolare elezione di domicilio presso il difensore di fiducia, e dunque essendo a conoscenza del fatto che le notifiche sarebbero state effettuate presso il domicilio, e pur avendo conosciuto l’esistenza di un procedimento a suo carico (avendo ricevuto l’informazione di garanzia), si è completamente disinteressato omettendo di contattare il difensore, con il quale aveva un consolidato rapporto professionale o comunque di attivarsi per prendere conoscenza della celebrazione del processo.
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma
di euro tremila in favore della cassa delle ammende, così determinata in considerazione dei profili di colpa emergenti dal ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 13/03/2024.