Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16066 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16066 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato in Marocco il 03/06/1990
avverso l’ordinanza del 03/10/2024 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 03/10/2024, la Corte d’appello di Brescia rigettava la richiesta, presentata da NOME COGNOME ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., di rescissione del giudicato di cui alla sentenza del 16/01/2019 del Tribunale di Bergamo, divenuta irrevocabile il 17/04/2019, con la quale lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione ed C 600,00 di multa per i reati di rapina e lesioni personali aggravate nonché per un reato in materia di armi.
Avverso tale ordinanza del 03/10/2024 della Corte d’appello di Brescia, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a un unico motivo, con il quale deduce,
in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale e, in particolare, la violazione dell’art. 629-bis cod. proc. pen. e la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione.
Dopo avere ripercorso lo sviluppo cronologico del procedimento, il ricorrente contesta anzitutto l’affermazione della Corte d’appello di Brescia secondo cui il fatto che egli, nel corso delle indagini preliminari, aveva nominato un difensore di fiducia e aveva eletto domicilio presso di lui avrebbe consentito di ritenere la conoscenza, da parte sua, del processo a suo carico.
L’COGNOME deduce come tali atti non si potrebbero ritenere idonei a fare presumere la conoscenza del processo, avendo invece il giudice l’obbligo di verificare, in rapporto alle circostanze concrete, che vi sia stata l’effetti instaurazione del rapporto professionale con il difensore; obbligo che risulterebbe “rafforzato” nei casi in cui, come nella specie, il soggetto sia stato espulso dal territorio dello Stato durante lo svolgimento del processo.
Dopo avere citato due passaggi della motivazione di Sez. 1, n. 27629 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 281637-01, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Brescia non avrebbe tenuto conto dei seguenti elementi, nonostante essi si dovessero ritenere dimostrativi «del fatto che non è possibile qualificare il rapporto tra NOME COGNOME e l’allora difensore come ben consolidato ovvero effettivo»: 1) la nomina del difensore di fiducia e l’elezione di domicilio erano intervenute durante la fase delle indagini preliminari; 2) l’udienza preliminare era stata celebrata un anno dopo la nomina fiduciaria e, in quella sede, il sostituto dell’allora difensore non aveva chiesto di procedere con riti alternativi; 3) all’esito del dibattimento, i difensore di fiducia non aveva proposto atto di appello avverso la sentenza di primo grado; 4) «dal certificato penale emerge che, successivamente all’espulsione, il sig. COGNOME faceva rientro in Italia e veniva condannato per il reato di cui all’art. D.Lvo 286/1998. Nell’ambito di questo procedimento penale non veniva assistito dallo stesso difensore di fiducia nominato nel procedimento che si è concluso con la sentenza che ci occupa, bensì da un difensore di ufficio».
Il ricorrente contesta poi le argomentazioni sulla base delle quali la Corte d’appello di Brescia ha ritenuto che l’espulsione dell’Ainouss dal territorio dello Stato non potesse comprovare la mancata conoscenza del processo.
L’COGNOME lamenta anzitutto che la Corte d’appello di Brescia: a) da un lato, si sarebbe limitata a considerare il mero dato oggettivo del tempo intercorso tra la nomina del difensore di fiducia e l’espulsione, senza considerare i già menzionati «elementi che non consentono di ritenere effettivamente instaurato e stabilizzato il rapporto professionale»; b) dall’altro lato, avrebbe illogicamente fatt riferimento alla «modestia» del tempo intercorso tra la stessa nomina fiduciaria e l’espulsione, pur «avendo le statuizioni del Supremo Collegio al contrario messo in
rilievo che è proprio la brevità del tempo a qualificare l’insufficiente solidità d rapporto fiduciario».
L’COGNOME lamenta altresì l’illogicità della motivazione là dove la Corte d’appello di Brescia ha valorizzato il fatto che egli avrebbe potuto chiedere di essere autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del suo diritto di difesa, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 25 luglio 1998 286, atteso che la mancanza di una tale richiesta proverebbe piuttosto che «il ricorrente non era a conoscenza del processo pendente a suo carico: se lo avesse conosciuto avrebbe certamente avanzato istanza di rilascio di nullaosta al rientro nel territorio nazionale per ragioni di giustizia».
Il ricorrente conclude che la motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe viziata in quanto non sarebbe «idonea a dimostrare la colpevole mancata conoscenza della celebrazione dell’odierno procedimento da parte del ricorrente, con conseguente violazione del disposto dell’art. 629 bis c.p.p.».
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la vigente formulazione, applicabile nella fattispecie, dell’art. 629bis cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 37, comma 1, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, le condizioni per ottenere la rescissione del giudicato sono costituite dalla prova, da parte del condannato (o della persona sottoposta a misura di sicurezza), di essere stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’art. 420-bis cod. proc. pen. e di non avere potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza sua colpa (ché, altrimenti, il vizio della dichiarazione di assenza avrebbe dovuto essere fatto valere, appunto, proponendo impugnazione). Il rimedio rescissorio è, peraltro, escluso nel caso in cui risulti che lo stess condannato ha avuto effettiva conoscenza del processo prima (ovviamente) della pronuncia della sentenza (da impugnare sul punto e divenuta, invece, definitiva) (Sez. 5, n. 37154 del 18/09/2024, B., Rv. 287018-01).
Ciò posto, si deve ritenere che la Corte d’appello di Brescia abbia correttamente escluso che l’COGNOME avesse provato di essere stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’art. 420-bis cod. proc. pen.
In particolare, la Corte d’appello di Brescia ha logicamente reputato che la nomina di un difensore di fiducia e l’elezione di domicilio presso di lui, ancorché fossero intervenute durante la fase delle indagini preliminari, consentissero, nel caso di specie, di ritenere che l’COGNOME aveva avuto conoscenza della pendenza del processo a suo carico, e, quindi, la legittimità della dichiarazione della sua assenza.
Ciò alla luce del fatto che, nel caso di specie, non solo il decreto che dispone il giudizio era stato regolarmente notificato nel domicilio che era stato indicato dall’imputato, ma non risultava neppure che il difensore di fiducia da lui nominato (l’avv. NOME COGNOME non avesse partecipato all’udienza preliminare e al giudizio dibattimentale, sicché, tenuto conto del fatto che l’COGNOME era stato espulso dal territorio dello Stato solo il 06/12/2018, cioè dopo la celebrazione dell’udienza preliminare (il 11/10/2017) e della prima udienza dibattimentale (il 26/09/2018), vi era ragione di ritenere che il rapporto professionale con il menzionato difensore di fiducia si fosse effettivamente instaurato e che, quindi, in virtù dello stess rapporto, l’COGNOME avesse avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo a suo carico.
A fronte di ciò, gli elementi che sono stati addotti dal ricorrente – costitui dalle circostanze che la nomina fiduciaria e l’elezione di domicilio erano intervenute nella fase delle indagini preliminari, che in sede di udienza preliminare il sostituto del difensore di fiducia non aveva chiesto di procedere con riti alternativi, che non era stato proposto appello avverso la sentenza di primo grado e che nell’ambito di un altro successivo procedimento penale l’COGNOME non era stato assistito dall’avv. COGNOME non risultano di per sé idonei a provare che, per le ragioni che si sono dette, l’imputato non aveva avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la dichiarazione della sua assenza era quindi avvenuta in mancanza dei presupposti previsti dall’art. 420-bis cod. proc. pen.
Si deve poi rilevare come non sia pertinente il richiamo che è stato operato dal ricorrente a Sez. 1, n. 27629 del 24/06/2021, Ndreca, cit., atteso che, nella fattispecie che è stata oggetto di tale pronuncia – la quale è stata basata proprio sulle «peculiarità del caso in esame» -, l’espulsione dell’imputato dal territorio dello Stato era avvenuta non, come è stato congruamente valorizzato dalla Corte d’appello di Brescia con riguardo al presente caso, dopo la celebrazione dell’udienza preliminare e l’inizio del processo, ma «a distanza di appena un giorno» dall’elezione di domicilio presso il difensore che era intervenuta nel corso delle indagini preliminari, il che, proprio in considerazione «della repentina espulsione a brevissimo tempo sia dall’elezione di domicilio che dalla nomina del difensore, intervenute in una fase anticipata del procedimento», evidentemente imponeva in quel caso un «esame anche del profilo relativo alla stabilizzazione del rapporto difensivo».
Tenuto conto di quanto si è argomentato in ordine alla conoscenza, da parte dell’COGNOME, della pendenza del processo a suo carico, l’elemento costituito dal fatto che egli non chiese di essere autorizzato a rientrare in Italia per esercitare i proprio diritto di difesa, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, è st correttamente ritenuto dalla Corte d’appello di Brescia come indice non del
contrario, cioè della mancata conoscenza del processo, quanto del mancato esercizio della suddetta facoltà, che l’ordinamento riconosce al soggetto
allontanato dal territorio dello Stato al fine di assicurargli la pienezza del suo dirit di difesa.
4. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento
della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 08/04/2025.