Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17226 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17226 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORINO il 11/03/1986
avverso l’ordinanza del 23/09/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con il provvedimento di cui in epigrafe la corte di appello di Salerno rigettava la richiesta avanzata nell’interesse di COGNOME NOME, ex art. 629, bis, c.p.p., di rescissione del giudicato formatosi in relazione alla sentenza emessa in data 10.4.2024, divenuta irrevocabile l’11.5,2024, con cui il tribunale di Salerno aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia il suddetto COGNOME in relazione ai reati in rubrica ascrittigli.
Avverso il provvedimento de quo, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il Napoletano lamentando violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., con riguardo agli artt. 629 bis e 420 bis, c.p.p., nonché la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione dell’ordinanza impugnata, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che egli avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento instaurato a suo carico.
Con requisitoria scritta del 27.11.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.sa NOME COGNOME chiede che il ricorso venga accolto.
Con memoria del 2.12.2024, il difensore di fiducia del Napoletano, avv. NOME COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso, reiterando le proprie doglianze.
Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi infondati. 4. Come è noto, ai sensi dell’art. 629 bis, co. 1, c.p.p., nella formulazione introdotta dall’art. 37, co. 1, d.lgs. 10.10.2022, n. 150, con decorrenza a partire dal 30.12.2022 (c.d. riforma Cartabia), applicabile ratione temporis al caso in esame (l’istanza di rescissione che ha incardinato il relativo giudizio, infatti, è stata presentata il 18.6.2024), la rescissione del giudicato è ammessa solo nel caso in cui il condannato nei cui confronti si sia proceduto in assenza “provi che sia stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’art. 420 bis, e che non abbia potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini, senza sua colpa, salvo risulti che abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza”.
Orbene, come è stato rilevato in un condivisibile arresto di questa sezione, in tema di rescissione del giudicato, a seguito delle modifiche apportate all’art. 629-bis cod. proc. pen. dall’art. 37, comma 1, d.lgs., 10 ottobre 2022, n. 150, oltre ai vizi della citazione a giudizio, presupposto per l’esperibilità del rimedio da parte del condannato giudicato in assenza non è più l’incolpevole mancata conoscenza del processo, ma la mancata prova dell’effettiva conoscenza della pendenza dello stesso prima della pronuncia della sentenza divenuta definitiva (cfr. Sez. 5, n. 37154 del 18/09/2024, Rv. 287018).
Al riguardo si è osservato, in particolare, che “alla precedente formulazione (la rescissione poteva essere richiesta dal condannato che “provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza del processo”) si è così sostituito un dettato più complesso in cui si citano espressamente i presupposti normativi della dichiarazione di assenza (prevista dall’art. 420 bis cod.proc.pen.), restando tuttavia fermo l’onere della prova a carico del richiedente, si aggiunge (e non si tratta di ipotesi alternativa, avendo il legislatore utilizzato la congiunzione “e”, non la disgiuntiva “o”) anche la mancata impugnazione della sentenza (ché altrimenti sarebbe stata quella la sede in cui sollevare l’eccezione), ma si esclude ancora il rimedio nel caso in cui si provi che il condannato aveva avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo (prima ovviamente della sentenza da impugnare sul punto)”.
Spetta, dunque, al richiedente dimostrare di essere stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’art. 420 bis, co. 1 e 2, c.p.p., e di non avere potuto impugnare, senza sua colpa, la sentenza resa nel giudizio in cui è stato dichiarato assente, dovendosi comunque escludere la fondatezza dell’istanza di rescissione laddove, come si è detto, sia dimostrato che il condannato aveva avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza passata in giudicato.
Tale dimostrazione non è stata fornita dal condannato, risultando dagli atti, d’altro canto, elementi di segno opposto, che depongono nel senso
di un’effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza passata in giudicato da parte del Napoletano.
Come rileva infatti la corte territoriale: “la notifica all’imputato dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. e del decreto di citazione diretta giudizio è stata effettuata presso la casa di abitazione del Napoletano e si è perfezionata per compiuta giacenza dopo dieci giorni dalla ricezione della seconda raccomandata contenente l’avviso dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale” e “il Napoletano ha ritirato il decreto di citazione presso l’ufficio postale di Castiglione dei Genovesi entro i sei mesi di normale giacenza (quindi lo ha ritirato entro la data del 5.1.2023) considerato che il P.M. non ha trasmesso al Tribunale il plico (contenente la copia del decreto di citazione a giudizio destinato al Napoletano), che, in caso di mancato ritiro del plico entro sei mesi da parte del Napoletano, l’ufficio postale gli avrebbe dovuto restituire in qualità di mittente”.
Tale conclusione appare del tutto conforme ai principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di notificazioni a mezzo posta, nel caso in cui l’atto notificando non sia consegnato al destinatario per il suo rifiuto a riceverlo ovvero per la sua temporanea assenza o per l’assenza o l’inidoneità di altre persone legittimate a riceverlo, non è sufficiente, per provare il perfezionamento della procedura di notificazione, la spedizione della raccomandata con la comunicazione dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale, ma è necessario che l’organo notificante dia dimostrazione dell’avvenuta ricezione dell’atto da parte del destinatario, garantendo solo tale adempimento la sua effettiva conoscenza dell’atto processuale e l’esercizio dei diritti di difesa (cfr. Sez. 4, n. 4359 del 09/01/2024, Rv. 285752).
La fattispecie presa in esame in tale ultimo arresto era relativa alla notifica all’imputato di decreto penale di condanna, mediante immissione della cartolina nella cassetta postale e invio di comunicazione di avvenuto deposito, seguita da mancato ritiro dell’atto, in cui la Corte, ritenendo non perfezionata, in tali forme, la procedura notificatoria, ha
censurato la decisione impugnata, che aveva dichiarato inammissibile, perché intempestiva, l’opposizione successivamente proposta dal difensore di fiducia.
Nel caso in esame, invece, come si è detto, la corte territoriale, con motivazione affatto contraddittoria o carente, ma, piuttosto, dotata di intrinseca coerenza logica, ha desunto l’avvenuto ritiro del plico contenente la copia del decreto di citazione a giudizio destinato al Napoletano, dalla circostanza che il pubblico ministero non ha trasmesso al tribunale, come sarebbe stato suo specifico onere, il plico in questione, che, ove non fosse stato ritirato entro sei mesi dal destinatario, l’ufficio postale competente avrebbe dovuto restituire allo stesso pubblico ministero, in qualità di mittente.
A fronte di tale logico argomentare il ricorrente non ha fornito la prova del mancato ritiro del plico in questione (che, come si è detto, incombeva sul condannato e che egli avrebbe potuto fornire ottenendo dall’ufficio postale di Castiglione dei Genovesi una specifica attestazione al riguardo), ma si è limitato ad affermare in maniera del tutto assertiva di non avere ritirato il plico, contestando, inoltre, la possibilità di essere stato effettivamente a conoscenza del processo perché difeso da un difensore di ufficio nominato dal pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, in quanto solo nel caso in cui egli avesse nominato un difensore di fiducia, a suo avviso, potrebbe ritenersi dimostrata l’effettiva conoscenza della pendenza del processo da parte sua.
Sotto tale profilo, va rilevato come ormai sia costante nella giurisprudenza di legittimità, almeno a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 23948 del 28/11/2019, Rv. 279420, citata dal ricorrente, l’orientamento secondo il quale la nomina di un difensore di ufficio e la stessa elezione di domicilio da parte dell’indagato o dell’imputato presso tale difensore non è un presupposto idoneo su cui fondare la conoscenza del procedimento da parte dell’indagato o dell’imputato, essendo, invece, a tal fine necessario accertare l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale.
Si è così affermato che la notifica all’imputato dell’avviso ex art.415-bis, c.p.p., e del decreto di citazione effettuata mediante la consegna al difensore d’ufficio domiciliatario, ove non sia stata accertata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale da cui sia derivata l’effettiva conoscenza del processo ovvero la volontaria sottrazione alla sua conoscenza da parte del giudicabile, comporta la nullità della dichiarazione di assenza (cfr. Sez. 6, n. 19420 del 05/04/2022, Rv. 283264, nonché, nello stesso senso, Sez. 5, n. 22752 del 21/01/2021, Rv. 281315).
Vero è che in questa prospettiva si è ulteriormente chiarito come, in tema di giudizio in assenza, non sia configurabile un onere di diligenza dell’imputato assistito da un difensore di ufficio nel tenersi informato della celebrazione del processo a proprio carico, pur dopo l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio (cfr. Sez. 6, n. 34523 del 11/05/2023, Rv. 285177).
Tuttavia nel caso in esame la corte territoriale ha svolto una soddisfacente indagine sull’esistenza di un effettivo rapporto professionale tra il COGNOME e il difensore di ufficio, idoneo a dimostrare la conoscenza effettiva del processo in capo al ricorrente, rapporto messo in luce da una serie di circostanze oggettive.
Il difensore di ufficio, avv. NOME COGNOME del Foro di Salerno, infatti, nominato dal pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, ha regolarmente ricevuto la notifica dell’avviso ex art. 415 bis, c.p.p., e del decreto di citazione a giudizio, partecipando, personalmente o a mezzo di sostituto processuale all’uopo delegato, a tutte le tre udienze in cui si è articolato il dibattimento di primo grado, senza mai eccepire l’impossibilità di avere contatti con il proprio assistito per concordare la sua difesa (circostanze tutte, che il ricorrente non contesta).
In questo contesto, rileva la corte territoriale con motivazione ancora una volta dotata di intrinseca coerenza logica, dunque insindacabile in questa sede di legittimità, appare chiaro sintomo della effettiva conoscenza della pendenza del processo in capo al Napolitano la circostanza che il difensore di ufficio, all’udienza del 10.1.2024, aveva
chiesto di potere articolare il mezzo di prova dell’esame dell’imputato, evidentemente facendo affidamento su di una strategia difensiva
concordata con quest’ultimo, che, tuttavia, non veniva esperita, in, quanto all’udienza del 10.4.2024, giorno fissato per il suddetto esame, il
COGNOME aveva deciso di non partecipare all’udienza, sottraendosi, dunque, all’esame chiesto dal suo difensore.
5. Al rigetto, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
Rigetta il ricorso processuali.
Così deciso in Roma il 9.1.2025.