Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43851 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43851 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 30/07/1982
avverso l’ordinanza del 27/02/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile la richiesta di rescissione presentata nell’interesse di NOME COGNOME relativamente alla sentenza pronunciata nei suoi confronti, il 09/03/2021, dalla Corte di assise di appello di Roma, che – in riforma della sentenza della Corte di assise della medesima città del 05/07/2017 – lo aveva assolto dal reato di cui agli artt. 73 e 80 d.P.R. 09 ottobre 1990 n. 309 ed aveva confermato, invece, la condanna per il reato di cui all’art. 630 cod. pen., rideterminando la pena inflitta nella misura di anni undici e mesi sei di reclusione (pronuncia passata in giudicato il 09/03/2021); con il medesimo provvedimento, la Corte territoriale ha dichiarato la propria incompetenza a decidere, quanto alla richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione, proposta dal condannato.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo tre motivi, che vengono di seguito riassunto entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. c) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 629-bis cod. proc. pe 24 e 111 Cost e 6 CEDU, in conseguenza dell’errata interpretazione ed applicazione delle norme indicate.
Ha errato, la Corte distrettuale, laddove ha ritenuto che il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di assise di appello, proposto dal difensore, determinasse l’inammissibilità dell’istanza di rescissione, nonostante la mancata conoscenza del processo in capo all’imputato. Alcuna procura speciale, in vista della proposizione del ricorso per cassazione, è stata infatti mai rilasciata al difensore, il quale ha ricevuto – quale unico mandato difensivo – la nomina successiva all’emissione della misura cautelare, ad opera del Giudice per le indagini preliminari. Tanto ciò vero, che il difensore stesso ha manifestato durante lo svolgimento del giudizio – la propria volontà di rinunciare all’incarico, proprio in ragione dell’impossibilità di avere contatti con l’assistito. Vero che la legge 23 giugno 2017, n. 103 ha escluso la facoltà dell’imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione; vero anche, però, che non è stata introdotta alcuna limitazione, quanto al difensore già nominato nel giudizio. Non è condivisibile, quindi, il rilievo circa l’esistenza della condizione ostativa rileva dalla Corte territoriale, in merito alla presenza della procura speciale per redigere
il ricorso per cassazione, considerata alla stregua di un indice presuntivo di conoscenza del processo.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 629-bis cod. proc. pen., 24 e 111 Cost e 6 CEDU, per motivazione omessa, apparente e manifestamente illogica, anche sub specie del travisamento di atti e di risultanze processuali decisive, con riferimento alla ritenuta conoscenza del procedimento da parte del Sadikaj e in merito alla sua posizione processuale quale assente.
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 175 cod. proc. pen., pe violazione di legge e vizio di motivazione omessa, apparente e manifestamente illogica, quanto alla richiesta subordinata di rimessione in termini.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Integrando brevemente quanto esposto in parte narrativa, può evidenziarsi come NOME COGNOME sia stato condannato in primo e in secondo grado, per essersi reso colpevole del delitto di cui all’art. 630 cod. pen.; tale decisione ha assunto il carattere della definitività dopo il rigetto del ricorso, ad opera della Corte di cassazione. L’istanza formulata dal condannato era volta, dunque, ad ottenere la rescissione del giudicato e, solo in via subordinata, la restituzione nel termine per proporre impugnazione.
Ha rappresentato il difensore, a sostegno di tale richiesta, di aver rinunciato alla difesa di COGNOME già nel corso del giudizio di primo grado, proprio in ragione della impossibilità di stabilire un contatto con questi. Tale rinuncia è stata però ritenuta improduttiva di effetti, per non esser stata fornita prova, circa l’avvenuta comunicazione della stessa all’imputato. Il medesimo avvocato, consequenzialmente, ha preso parte al giudizio di appello e ha proposto ricorso in sede di legittimità. Giova precisare infine – ancora in punto di inquadramento oggettivo – che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce aveva dichiarato, in data 30/09/2011, la latitanza del COGNOME, nell’ambito del processo che in tale sede si svolgeva a suo carico, con imputazione ex art. 74 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309.
Pacifico è, infine, che l’odierno ricorrente – nell’ambito del processo culminato con l’emissione della sentenza della quale viene invocata, ora, la
rescissione – sia stato elettivamente domiciliato, sin dal 2011, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME nonché dichiarato assente nel corso del processo.
L’impugnazione, sebbene formalmente articolata in plurime doglianze tra loro distinte, presenta una matrice evidentemente unica e ben si presta, pertanto, a una trattazione unitaria.
3.1. In ordine anzitutto alla natura del rimedio esperibile – in caso di deduzione circa una pretesa nullità assoluta e insanabile, attinente agli atti introduttivi di un giudizio che risulti definito con sentenza irrevocabile (nullità d cui abbia avuto origine una errata dichiarazione di contumacia o di assenza) soccorre il principio di diritto fissato da Sez. 3, n. 14631 del 11/01/2024, Posillo, rv. 286194; tale pronuncia ha precisato, infatti, come una patologia procedimentale di tal genere possa essere fatta valere, concorrendone le altre condizioni, azionando il rimedio della restituzione nel termine di cui all’art. 175 cod. proc. pen. (nella versione previgente, rispetto alla novella ex art. 11 legge 28 aprile 2014, n. 67), in caso di sentenza contumaciale, oppure quello della rescissione del giudicato ex art. 629-bis cod. proc. pen., allorquando venga in rilievo l’esistenza di una dichiarazione di assenza (molto illuminante, sul punto, è Sez. U., n. 15498 del 26/11/2020, Lovric, rv. 280931, con particolare riguardo alla eterogeneità strutturale e funzionale, esistente fra i due rimedi ex art. 670 cod. proc. pen., mediante il quale è consentito porre questioni attinenti alla formazione del titolo esecutivo e, invece, la richiesta di rescissione del giudicato).
3.2. Occorre poi richiamare la nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, NOME COGNOME, rv. 279420), che ha evidenziato come – ai fini della dichiarazione di assenza – non possa essere considerato presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore, spettando comunque al giudice il compito di verificare – anche in presenza di ulteriori elementi – la sussistenza di una effettiva instaurazione di un rapporto professionale, tra il legale dorniciliatario e l’indagato; è indispensabile, insomma, che tale accertamento offra una tranquillizzante certezza, circa il fatto che l’interessato abbia avuto piena conoscenza del procedimento instaurato a suo carico, oppure che si sia sottratto volontariamente alla celebrazione dello stesso.
Questa Corte, più recentemente, ha altresì chiarito quanto segue: «In tema di rescissione del giudicato, non costituisce indice di effettiva conoscenza del processo la nomina di un difensore di fiducia con elezione di domicilio presso il suo studio compiuta nella fase delle indagini preliminari, alla quale abbia fatto seguito una dichiarazione di rinuncia al mandato, ove non vi sia prova che la rinuncia sia stata comunicata all’imputato e non ricorrano elementi concreti da cui desumere che questi abbia avuto notizia della “vocatio in iudiciunn”» (Sez. 6, n. 24729 del
07/03/2024, NOME COGNOME, rv. 286712; si vedano anche Sez. 6, n. 46795 del 12/10/2023, NOME COGNOME, rv. 285493; Sez. 6, n. 34523 del 11/05/2023, NOME COGNOME, rv. 285177; Sez. 3, n. 11813 del 24/11/2020, dep. 2021, COGNOME, rv. 281483 e, infine, Sez. 3, n. 48376 del 09/11/2022, COGNOME, rv. 284062, la quale ha precisato come -in tema di giudizio in assenza – debba reputarsi viziata da nullità assoluta la notifica del decreto di citazione a giudizio dell’imputato, laddove non si abbia la certezza in ordine alla conoscenza della pendenza del processo da parte sua, ovvero non possa ritenersi sussistente una volontà del medesimo volta a sottrarsi a tale conoscenza. Tale conoscenza del processo, peraltro, non può esser fatta automaticamente derivare dall’esistenza di una elezione di domicilio, intervenuta nella fase delle indagini preliminari).
Alle regole ermeneutiche sopra richiamate, in realtà, non si è attenuta la Corte di appello di Roma nell’impugnata ordinanza. Essendosi improvvidamente assunta la decisione di non procedere all’acquisizione degli atti processuali necessari, infatti, non si è compiuto alcun accertamento circa la sussistenza di prova, in ordine all’effettiva conoscenza del giudizio, in capo all’imputato; si è ritenuta, viepiù, automaticamente preclusa l’esperibilità dell’invocato rimedio della rescissione, in presenza della proposizione di impugnazione, proposta da difensore che aveva espressamente dichiarato di non riuscire ad avere contatto alcuno con l’assistito.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma, la quale si atterrà – pur con libertà di esiti – ai sopra richiamati principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, 15 ottobre 2024.