Rescissione del Giudicato: Quando Scatta il Termine per l’Istanza?
La rescissione del giudicato rappresenta un istituto fondamentale a tutela del diritto di difesa, permettendo di rimettere in discussione una condanna definitiva pronunciata in assenza dell’imputato. Tuttavia, l’accesso a tale rimedio è subordinato a precisi termini di decadenza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 2547/2024) ha ribadito con fermezza il principio secondo cui il termine per agire decorre dalla conoscenza effettiva della sentenza, senza che l’evoluzione della giurisprudenza possa posticipare tale momento.
I Fatti del Caso
Un soggetto veniva condannato in via definitiva dal Tribunale di Pisa per il reato di sequestro di persona. L’interessato, tuttavia, veniva a conoscenza di tale condanna solo molto tempo dopo, a seguito della notifica di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti in data 19 febbraio 2021. Nonostante ciò, l’istanza per la rescissione del giudicato veniva presentata solo il 20 luglio 2021, ben oltre il termine di trenta giorni previsto dalla legge.
La Corte d’Appello di Firenze dichiarava l’istanza inammissibile per tardività. L’imputato proponeva quindi ricorso in Cassazione, sostenendo una tesi peculiare: a suo dire, il termine non doveva decorrere dalla data in cui aveva saputo della condanna, ma dalla data di deposito (23 aprile 2021) di una nota sentenza delle Sezioni Unite (la c.d. sentenza ‘Lovric’) che aveva risolto un contrasto giurisprudenziale sul rimedio corretto da utilizzare in casi come il suo. In pratica, sosteneva di aver potuto agire con cognizione di causa solo dopo tale chiarimento giurisprudenziale.
La Questione Giuridica: Il Dies a Quo per la Rescissione del Giudicato
Il nucleo della controversia riguardava l’individuazione del dies a quo, ossia del giorno da cui far partire il conteggio dei trenta giorni per proporre l’istanza di rescissione del giudicato. Il ricorrente cercava di ancorare tale momento non a un fatto (la conoscenza della sentenza), ma a un evento giuridico (la pubblicazione di una sentenza delle Sezioni Unite) che, a suo avviso, gli avrebbe dato la ‘certezza’ dello strumento processuale da utilizzare.
La difesa dell’imputato argomentava che solo dopo il deposito della motivazione delle Sezioni Unite egli avrebbe avuto piena contezza della soluzione al contrasto giurisprudenziale, potendo così proporre un’istanza di rescissione coerente con il nuovo orientamento. La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere se tale interpretazione fosse accoglibile e se l’incertezza del diritto potesse giustificare un differimento dei termini processuali.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto integralmente la tesi del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile che il termine di trenta giorni per chiedere la rescissione del giudicato inizia a decorrere dal momento in cui l’interessato ha avuto ‘effettiva conoscenza’ della sentenza di condanna. Nel caso di specie, tale conoscenza era pacificamente avvenuta il 19 febbraio 2021.
La Corte ha specificato che l’intervento delle Sezioni Unite, pur importante per dirimere contrasti interpretativi, non ha alcuna influenza sulla decorrenza dei termini processuali. Attendere un chiarimento dalla giurisprudenza non è una causa di forza maggiore né un caso fortuito che possa giustificare il mancato rispetto di un termine perentorio. L’ordinamento non consente di ‘congelare’ i termini processuali in attesa che la giurisprudenza si consolidi.
Inoltre, la Corte ha sottolineato, quasi a titolo di paradosso, che anche se si volesse seguire l’errata prospettiva del ricorrente, l’istanza sarebbe stata comunque tardiva. Infatti, essendo la sentenza delle Sezioni Unite stata depositata il 23 aprile 2021, l’istanza presentata il 20 luglio 2021 sarebbe comunque arrivata ben oltre i trenta giorni successivi.
Le Conclusioni
Con la sentenza in esame, la Cassazione riafferma un principio cardine del diritto processuale: la certezza e la perentorietà dei termini. Il dies a quo per l’impugnazione o per la proposizione di rimedi straordinari come la rescissione del giudicato è ancorato a un dato oggettivo e fattuale – la conoscenza del provvedimento – e non può essere subordinato alle mutevoli interpretazioni giurisprudenziali. Questa decisione serve da monito sulla necessità di agire tempestivamente per la tutela dei propri diritti, senza attendere evoluzioni normative o giurisprudenziali che non hanno l’effetto di sospendere o posticipare i termini stabiliti dalla legge. La conseguenza della tardività è, e rimane, l’inammissibilità dell’istanza, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Da quale momento decorre il termine di 30 giorni per presentare l’istanza di rescissione del giudicato?
Il termine decorre dal giorno in cui il condannato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento di condanna, non da momenti successivi legati a chiarimenti giurisprudenziali.
L’attesa di una sentenza delle Sezioni Unite che chiarisca un dubbio interpretativo può posticipare la scadenza di un termine processuale?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale e l’attesa di una sua risoluzione non influiscono in alcun modo sulla decorrenza dei termini, che partono dalla conoscenza effettiva del provvedimento da impugnare.
Cosa accade se l’istanza di rescissione del giudicato viene presentata oltre il termine di legge?
L’istanza viene dichiarata inammissibile per tardività. Di conseguenza, il giudice non può esaminare il merito della richiesta e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2547 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2547 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORRE DEL GRECO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/05/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO, il quale ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte d’appello di Firenze, rilevandone l’intempestiva presentazione, ha dichiarato inammissibile l’istanza di rescissione del giudicato proposta da NOME in riferimento alla sentenza con il quale il Tribunale di Pisa lo ha condannato per il reato di sequestro di persona.
Avverso l’ordinanza ricorre l’NOME deducendo vizi di motivazione. Rileva il ricorrente che erroneamente la Corte avrebbe ritenuto tardiva l’istanza, in quanto egli, dopo aver proposto tempestivamente istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza ex art. 175 c.p.p. poi dichiarata inammissibile, solo a seguito del deposito il 23 aprile 2021 della motivazione della sentenza n. 15498/21 RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite egli ha avuto contezza della soluzione del contrasto giurisprudenziale sul mezzo esperibile per far valere la nullità assoluta conseguente all’omessa citazione dell’imputato nei cui confronti si è proceduto in assenza ed ha dunque potuto proporre istanza di rescissione coerentemente a quanto stabilito dalla citata sentenza. Erroneamente la Corte territoriale avrebbe poi ritenuto che in realtà già alla data della pronunzia della predetta sentenza, il 26 novembre 2020, egli doveva considerarsi edotto della soluzione in quanto divulgata mediante l’informazione provvisoria, documento che in realtà si limita a riportare il quesito sulla questione controversa e a comunicare se la Corte vi abbia risposto in termini affermativi o negativi, ma non anche il principio di diritto evincibile soltanto a seguito del deposito della motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va anzitutto precisato che, come ricordato nel provvedimento impugnato, l’istante ha avuto notizia della sentenza che lo aveva condannato per il reato di sequestro di persona a seguito della notifica il 19 febbraio 2021 di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso dal pubblico ministero nel quale la stessa era espressamente menzionata. L’istanza ex art. 629-bis c.p.p. è stata invece proposta solo il 20 luglio 2021 e dunque ben oltre i trenta giorni dall’avvenuta conoscenza della sentenza.
Ciò premesso alcuna rilevanza assume ai fini della determinazione del dies a quo in cui ha iniziato a decorrere il suddetto termine l’eccepito intervento di Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280931, posto che nell’occasione il Supremo
Collegio – peraltro confermando l’orientamento ampiamente maggioritario nella giurisprudenza di legittimità – era chiamato a dirimere un contrasto giurisprudenziale sulla possibilità di far valere ai sensi dell’art. 670 c.p.p. dinanzi al giu dell’esecuzione le nullità endoprocessuali non rilevate nel processo di cognizione e sulla convertibilità dell’incidente di esecuzione in richiesta di rescissione del giudicato Ma come ammesso anche nel ricorso, l’NOME non ha mai proposto un’istanza ai sensi dell’articolo da ultimo citato, bensì una richiesta di restituzione nel termine p impugnare la sentenza ex art. 175 c.p.p., peraltro dichiarata inammissibile dal Tribunale di Pisa. E’ dunque irrilevante stabilire in quale momento l’istante possa aver avuto conoscenza del contenuto della decisione RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite, questione sulla quale la Corte territoriale si è inutilmente esercitata, tanto più che in ogni cas l’istanza è stata tardivamente proposta, posto che la motivazione della sentenza COGNOME è stata depositata il 23 aprile 2021 e, dunque, anche nella errata prospettiva del ricorrente l’istanza sarebbe stata presentata oltre i trenta giorni di legge.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende.
Così deciso il 4/12/2023