Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35736 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35736 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME COGNOMECODICE_FISCALE 01AABFJ) nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/02/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sulle conclusioni del PG,-
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RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Milano con ordinanza del 15 febbraio – 2 aprile 2024 ha rigettato la richiesta di rescissione del giudicato presentata il 9 novembre 2023 nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE, che è stato condannato dal Tribunale di Busto Arsizio con sentenza del 3 novembre 2016, confermata dalla Corte di appello di Milano il 16 maggio 2019 e divenuta irrevocabile il 2 luglio 2019, alla pena di quattro anni ed otto mesi di reclusione, oltre a sanzione pecuniaria.
Si assumeva nella richiesta di rescissione: non avere avuto NOME COGNOME alcuna conoscenza del procedimento né del processo né della sentenza, sino all’arresto, avvenuto 1’11 ottobre 2023, in esecuzione dell’ordine di carcerazione; essere stato dichiarato latitante assente ma non essersi mai sottratto volontariamente all’esecuzione di alcun provvedimento, non sapendo – né potendo sapere – della relativa adozione; non avere mai ricevuto alcun atto del processo; essere stato assistito da Avvocato di ufficio che non ha mai conosciuto e con il quale non vi è mai stato alcun contatto.
La Corte territoriale ha rilevato: essere stato correttamente dichiarato l’imputato latitante con provvedimento del 5 agosto 2015 in relazione ai tentativi di esecuzione dell’ordinanza cautelare del G.i.p. di Busto Arsizio del 9 aprile 2015 ed al verbale della Questura di Varese del 9 maggio 2015, con contestuale nomina di Difensore di ufficio, presso il quale era stato notificato il decreto che dispone il giudizio; essere stato, quindi, il processo celebrato in assenza dell’imputato ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen.; non essere state dedotte prima della sentenza di primo grado questioni di nullità derivanti dalla erronea dichiarazione di latitanza per incompletezza o irritualità delle ricerche, sottolineando che sarebbero, comunque, ormai precluse dal giudicato formatosi sul punto; essersi, comunque, l’imputato posto in condizione di irreperibilità rendendosi latitante, così dovendo escludersi che sia incolpevole la mancata conoscenza della celebrazione del processo a suo carico.
Ricorre per la cassazione dell’ordinanza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, tramite Difensore di fiducia, affidandosi ad un unico, complessivo, motivo con il quale denunzia violazione di legge, sotto due aspetti.
4.1. Lamenta, in particolare, essere l’ordinanza basata sulla semplice dichiarazione di latitanza, senza una effettiva indagine che tenga conto dei dati concreti del caso specifico. Infatti, essendo “non più reperibile” il fascicolo del P.M., come riferito alla Difesa allorchè ne ha fatto richiesta in Cancelleria, né mai
trasmesso l’incarto alla Corte di appello, non si può accertare presso quale domicilio siano state fatte le ricerche che hanno preceduto il decreto di latitanza.
Inoltre, nel fascicolo non vi sarebbe alcuna dichiarazione o elezione di domicilio del ricorrente relativo al processo in questione: in particolare, appunto mancando gli atti del fascicolo, non si comprenderebbe il legame con l’indirizzo in provincia di Lodi, mentre quello in provincia di Milano corrisponderebbe ad una elezione di domicilio effettuata al momento della scarcerazione, il 10 settembre 2013, cioè circa due anni prima, e – si sottolinea – in un diverso procedimento: con riferimento a quest’ultimo atto, si osserva come l’elezione o la dichiarazione di domicilio effettuate al momento della scarcerazione abbiano efficacia limitata al procedimento in cui la scarcerazione è stata disposta e non già per altri eventuali procedimenti, come precisato da Sez. 6, n. 19219 del 02/03/2017, Cobo, Rv. 270029, e da Sez. 2, n. 31773 del 28/04/2023, NOME, non mass.
4.2. Sotto ulteriore profilo, si rammenta avere la Corte di legittimità, anche a Sezioni Unite, precisato che la nozione di effettiva conoscenza debba essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium e non già alla generica pendenza di un procedimento (Sez. U, n. 28919 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 275716, e Sez. 6, n. 21997 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279680), vocatio la cui conoscenza difetterebbe totalmente nel processo in questione, di cui nulla il ricorrente ribadisce di avere mai saputo, come dichiarato già al momento dell’arresto.
Richiamato anche il principio di diritto fissato dalla Corte Edu nel proc. Sejdovic vs Italia del 1° marzo 2006, ric. n. 56581/2000, secondo cui la rinuncia a difendersi non può desumersi dalla mera qualità di latitante e, in ogni caso, non spetta all’imputato provare che non intendeva sottrarsi alla giustizia, si chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
5. Il P.G. della Corte di cassazione nella requisitoria scritta ex art. 611 cod. proc. pen. del 27 maggio 2024 ha chiesto, in accoglimento del ricorso, l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e deve essere accolto, per le seguenti ragioni.
Va premesso, quanto alla disciplina applicabile, che «In tema di rescissione del giudicato, per l’individuazione della norma applicabile, in assenza di disposizioni transitorie, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 629-bis cod. proc. pen. dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, si deve far riferimento non al momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato, ma a quello in cui il condannato in “assenza” ha avuto conoscenza della stessa e ha avuto, quindi,
la possibilità di esercitare il diritto di impugnazione straordinaria (In applicazione di tale principio, è stata affermata la competenza della Corte d’appello a decidere su un ricorso per rescissione avverso sentenza passata in giudicato prima dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, di cui l’imputato aveva avuto effettiva conoscenza successivamente alla vigenza del citato d.lgs. n. 150 del 2022)» (così Sez. 4, ord. n. 2580 del 19/10/2023, dep. 2024, Dedu, Rv. 285701; in precedenza v. già Sez. 5, ord. n. 380 del 15/11/2021, dep. 2022, Saban, Rv. 282528; Sez. 5, ord. n. 15666 del 16/04/2021, Duric, Rv. 280891).
2. Ciò premesso, coglie nel segno il rilievo critico del ricorrente a proposito della circostanza che l’elezione di domicilio nel luogo ove si indicano effettuate le ricerche di NOME RAGIONE_SOCIALE fosse relativa ad altro e diverso processo, con la conseguenza, già sottolineata da Sez. 6, n. 49498 del 15710/2009, Santise, Rv. 245650, che «L’elezione o dichiarazione di domicilio sono valide ed efficaci unicamente nell’ambito del procedimento nel quale sono state effettuate, mentre non spiegano alcun effetto nell’ambito di altri procedimenti, sia pure geneticamente collegati a quello originario. Ne consegue che l’elezione di domicilio fatta dal detenuto al momento della sua scarcerazione, ai sensi dell’art. 161, comma terzo, cod. proc. pen., è limitata al procedimento nel quale è resa e non estende i suoi effetti ad altri procedimenti, salvo che dall’atto non risulti una diversa ed inequivoca dichiarazione dell’interessato. (Fattispecie in cui, nonostante l’elezione di domicilio effettuata dall’imputato al momento della sua dimissione dalla casa circondariale, la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto legittima la notifica del decreto di citazione per il giudizio d’appello, eseguita presso il domicilio dallo stesso precedentemente eletto)».
Si tratta di principio che è stato di recente ribadito da Sez. 2, n. 31773 del 28/04/2023, NOME, cit. puntualmente nel ricorso, in motivazione sub n. 1.2, p. 3, del “considerato in diritto”, e già espresso in passato da Sez. 5, n. 3330 del 09/06/2000, NOME COGNOME, Rv. 217246, che ha affermato che «L’elezione o dichiarazione di domicilio sono valide ed efficaci unicamente nell’ambito del procedimento nel quale sono state effettuate, mentre non spiegano alcun effetto nell’ambito di altri procedimenti, sia pure geneticamente collegati a quello originario. (Nella fattispecie, l’elezione di domicilio era avvenuta nell’ambito di un procedimento per ricettazione, per il quale l’imputato era stato tratto in arresto e poi scarcerato; da detto procedimento aveva tratto origine altro, separato procedimento per il reato di falsa dichiarazione a PU sulla identità personale e, con riferimento a tale secondo procedimento, il giudice di merito aveva disposto notificarsi decreto di citazione a giudizio ed estratto contumaciale della sentenza di primo grado al domicilio eletto nel primo procedimento. La
Suprema corte, in applicazione del principio sopra enunciato, ha annullato l’ordinanza del giudice di appello che aveva dichiarato inammissibile il gravame dell’imputato, il quale aveva eccepito la nullità della notificazione della sentenza contumaciale di primo grado)».
Peraltro, si è fatta applicazione di tale principio anche nel caso – diverso da quello in esame ma con ratio non dissimile – di rapporto tra procedimento archiviato e riapertura delle indagini, nonostante il collegamento tra i due. Infatti: «In tema di notificazioni all’imputato, l’elezione o dichiarazione d domicilio sono valide ed efficaci unicamente nell’ambito del procedimento nel quale sono state effettuate, mentre non spiegano alcun effetto né nel caso di successiva riapertura delle indagini del procedimento conclusosi con l’archiviazione, la quale dà luogo ad un procedimento formalmente nuovo, né nell’ambito di altri procedimenti pure geneticamente collegati a quello originario archiviato» (Sez. 2, n. 37479 del 14/05/2019, NOME COGNOME, Rv. 277041-02) e «In tema di notificazioni all’imputato, l’elezione o dichiarazione di domicilio sono valide ed efficaci unicamente nell’ambito del procedimento nel quale sono state effettuate, mentre non spiegano alcun effetto nell’ambito di altri procedimenti, sia pure geneticamente collegati a quello originario. Ne consegue che l’elezione di domicilio, fatta nell’ambito di un procedimento conclusosi con l’archiviazione, non proietta la sua validità nel caso di successiva riapertura delle indagini, la quale dà luogo ad un procedimento formalmente nuovo, come evidenziato dalla necessità di procedere a nuova iscrizione a norma dell’art. 335 cod. proc. pen.» (Sez. 5, n. 28691 del 13/06/2013, Tognetti e altro, Rv. 256533).
Occorre, pertanto, convenire con il P.G. della S.RAGIONE_SOCIALE. il quale nella requisitoria scritta ha sottolineato quanto segue:
« non tiene in adeguato conto l’ordinanza impugnata di due rilevanti questioni: ovvero che l’indirizzo che l’RAGIONE_SOCIALE aveva in precedenza dichiarato all’atto della scarcerazione era per altra causa e che la dichiarazione di latitanza nel presente procedimento, ex se, ovvero senza ulteriori elementi, non può costituire dato idoneo ad escludere la mancata incolpevole conoscenza del procedimento.
In altre parole, la Corte di appello non ha adeguatamente motivato in ordine alla circostanza che dall’assenza di qualsivoglia elemento che possa consentire di ritenere che egli fosse a conoscenza del procedimento a carico (né elezione di domicilio, né nomina di difensore, né notifica di alcun tipo, né nessun altro elemento) possa farsi discendere il rigetto dell’istanza.
Appare in altre parole del tutto ‘illogica, e perciò viziata, l’affermazione dell’ordinanza impugnata secondo cui “NOME, rendendosi latitante (per altro
procedimento) si sia posto volontariamente e consapevolmente nella condizione di sottrarsi alla conoscenza del processo”».
Invero, a prescindere dalla validità formale delle notifiche, stando al contenuto del provvedimento impugnato, sembra essersi verificata una divergenza tra conoscenza legale e conoscenza effettiva del processo da parte del ricorrente, divergenza che impone ulteriore approfondimento da parte dei giudici di merito, attraverso l’esame dell’incarto processuale e l’eventuale esercizio dei poteri di accertamento in fatto, circa l’accoglibilità o meno della richiesta di rescissione del giudicato.
Posto che, come già più volte affermato, l’avvenuta dichiarazione di latitanza non costituisce, di per sé, elemento che porti ad escludere la mancata, incolpevole, conoscenza della citazione a giudizio (Sez. 1, n. 17338 del 21/01/2021, NOME, Rv. 281218; Sez. 6, n. 19219 del 02/03/2017, Cobo, Rv. 270029; Sez. 3, n. 1805 del 01/12/2010, dep. 2011, Demiraj, Rv. 249134), occorre tenere presente che nel caso di specie la Corte di appello ha escluso la incolpevole mancata conoscenza in base ad una situazione fattuale non immune da aporie. Infatti, come si legge nell’ordinanza impugnata (p. 2), ci si è limitati nel 2015 a cercare l’imputato presso un domicilio in Milano che lo stesso aveva eletto il 10 settembre 2013 all’atto della scarcerazione per altra causa in diverso e precedente procedimento, domicilio, per le ragioni esposte, giuridicamente non valido ed in cui comunque non è stato reperito, oltre che solo – presso un indirizzo in Lodi, di cui non si apprezza il collegamento con l’imputato, che, inoltre, come si legge nel provvedimento impugnato (p. 2), è stato assistito da Avvocato di ufficio.
3.Per tali ragioni si impone l’annullamento dell’ordinanza, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.
Così deciso il 27/06/2024.