Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34816 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34816 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma nel procedimento a carico di NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA avverso la ordinanza del 21/03/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata; lette le richieste del difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe la Corte di appelli() di Roma ha accolto l’istanza di rescissione del giudicato proposta da RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen. e ha revocato la sentenza pronunciata nei confronti del predetto in data 26 ottobre 2017 dal Tribunale di Roma, divenuta
irrevocabile in data 11 febbraio 2018 con la quale era stata affermata la penale responsabilità del predetto per il reato di cui all’art. 495 cod. pen. commesso in data 16 aprile 2014.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, chiedendone l’annullamento ed articolando un unico motivo di impugnazione con il quale sostiene che la vicenda andrebbe ricostruita in modo diverso rispetto a quanto operato dalla Corte di appello.
Evidenzia, in particolare, che NOME COGNOME in data 16 aprile 2014, in occasione del controllo dei carabinieri che ha dato luogo alla comunicazione della notizia di reato, aveva nominato suo difensore di fiducia l’AVV_NOTAIO, alla quale era stata comunicata la nomina fiduciaria sia telefonicamente che a mezzo fax; il COGNOME aveva in pari data anche eletto domicilio presso il difensore di fiducia. All’esito di detto controllo il COGNOME era stato denunciato per il reato d cui all’art. 496 cod. pen. e tratto in arresto in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso nei suoi confronti per altro fatto per il quale era stato condannato. All’udienza preliminare del 9 maggio 2017 il Giudice per le indagini preliminari aveva dichiarato la assenza dell’imputato, emettendo il decreto che disponeva il giudizio per l’udienza del 10 luglio 2017 innanzi al Tribunale di Roma. In data 10 luglio 2017 il Tribunale dava atto che, successivamente all’udienza in pari data, nel corso della quale l’AVV_NOTAIO non era comparsa ed era stata sostituita da un difensore nominato ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen., era pervenuta rinuncia al mandato difensivo da parte dell’AVV_NOTAIO e quindi era stato nominato un difensore di ufficio.
Sostiene, quindi, il ricorrente che la vocatio in iudicium è stata del tutto rituale e che il rapporto processuale si era correttamente instaurato sin dall’udienza preliminare, a nulla rilevando la scelta del difensore di fiducia di non comparire in udienza. In particolare, sostiene che non rileverebbe in alcun modo la mancata instaurazione di un rapporto professionale tra l’imputato ed il difensore di fiducia da lui inizialmente nominato, invocando un precedente di questa Corte di cassazione secondo il quale, in tema di rescissione del giudicato, la nomina di un difensore di fiducia con elezione di domicilio presso il suo studio, alla quale abbia fatto seguito una dichiarazione di rinuncia al mandato, costituisce indice di effettiva conoscenza del processo che legittima il giudizio in assenza, salva l’allegazione, da parte del condannato, di circostanze di fatto che consentano di ritenere che egli non abbia avuto conoscenza della celebrazione del processo e che questa non sia dipesa da colpevole disinteresse per la vicenda processuale (Sez. 4, n. 13236 del 23/03/2022, Piunti, Rv. 283019) che ha escluso l’incolpevole mancata conoscenza del processo per la condotta
negligente dell’imputato, resosi di fatto irreperibile anche con il suo difensore, tanto da rendere impossibile la comunicazione della rinuncia al mandato per l’interruzione del rapporto professionale).
Nel caso di specie, il COGNOME, mediante la nomina del difensore di fiducia e l’elezione di domicilio presso il suo studio, ha operato una scelta che gli avrebbe consentito di seguire i successivi sviluppi del procedimento. Sarebbe, quindi, ragionevole ritenere, sostiene il ricorrente, che il COGNOME sia stato informato dal proprio difensore degli avvisi di conclusione delle indagini e di fissazione dell’udienza preliminare e del decreto di citazione a giudizio, in quanto notificati presso il domicilio eletto e che pertanto egli ebbe conoscenza della vocatio in iudicium oppure che egli abbia inteso sottrarsi volontariamente e colpevolmente alla conoscenza degli atti del procedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, nei limiti di seguito esposti.
La prima questione, assai rilevante, è quella della disciplina applicabile.
Secondo un precedente di questa Corte di cassazione, in tema di rescissione del giudicato, per l’individuazione della norma applicabile, in assenza di disposizioni transitorie, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 629-bis cod. proc. pen. dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, si deve far riferimento non al momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato, ma a quello in cui il condannato in “assenza” ha avuto conoscenza della stessa e ha avuto, quindi, la possibilità di esercitare il diritto di impugnazione straordinaria (Sez. 4, Ordinanza n. 2580 del 19/10/2023, dep. 2024, Dedu, Rv. 285701 che a sua volta richiama Sez. 5, Ordinanza n. 380 del 15/11/2021, dep. 2022, Saban, Rv. 282528).
È, quindi, applicabile la disciplina introdotta dalla Riforma Cartabia, in quanto il NOME, secondo quanto dallo stesso affermato, sarebbe venuto a conoscenza della condanna in data 30 maggio 2023.
La nuova disciplina differisce dalla precedente, poiché la vecchia poneva a carico del richiedente l’onere dimostrare di non aver avuto conoscenza della celebrazione del processo e che tale mancata conoscenza non dipendesse da colpa dello stesso imputato.
Per la disciplina introdotta dalla riforma Cartabia è invece sufficiente dimostrare che l’imputato sia stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’art. 420-bis cod. proc. pen. e che non si sia potuto proporre impugnazione nei termini senza colpa, salvo che risulti positivamente
che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza.
3. Ai fini della decisione sulla richiesta di rescissione, non rileva la ritual delle notifiche dell’avviso ex 415-bis cod. proc. pen., dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. e del decreto di citazione a giudizio.
Quanto all’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., deve osservarsi che le Sezioni Unite hanno già affermato, ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione antecedente alla modifica operata con legge n. 67 del 28 aprile 2014, che l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in ivdicium, sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell’accusa contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l’imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza (Sez. U., n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716).
Il medesimo principio è stato riaffermato da questa Corte di cassazione anche in relazione alla richiesta di rescissione del giudicato (Sez. 5, n. 19949 del 06/04/2021, NOME COGNOME, Rv. 281256; Sez. 6, Sentenza n. 43140 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 277210), osservando che l’effettiva conoscenza del processo, che legittima il giudizio in assenza, deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium.
La legge 28 aprile 2014 n. 67, allo scopo di adeguare l’ordinamento italiano alla normativa internazionale – che riconosce all’imputato il diritto ad essere presente nel processo e configura la facoltà di rimanere assente cOme rinunzia a un diritto che, per avere rilevanza, deve provenire da un soggetto consapevole – ha soppresso le disposizioni del codice di rito che consentivano il processo contumaciale. Le nuove disposizioni non consentono che si proceda in assenza nei confronti dell’imputato per il quale manca la prova della conoscenza della data della udienza o dell’esistenza del procedimento e prevedono strumenti restitutori volti a garantire, nel caso di illegittima celebrazione del processo i assenza, la regressione e, quindi, la celebrazione di un nuovo processo in cui esercitare il diritto di difesa. In particolare, l’art. 420-quater, comma 1, cod. proc. pen. prevede che laddove non vi sia una espressa rinuncia dell’imputato a partecipare al processo (art. 420-bis, comma 1, cod. proc. pen.) e manchi la prova certa che l’imputato abbia conoscenza del procedimento o si sia sottratto volontariamente a tale conoscenza (art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen.), il giudice è tenuto a rinviare il processo, disponendo che l’avviso di fissazione
dell’udienza preliminare o il decreto di citazione a giudizio Siano notificati personalmente all’imputato, onde ottenere la prova certa della conoscenza del procedimento da parte dell’acCusato. Ove tale notificazione non riesca, il processo, ai sensi dell’art. 420-quater, comma 2, cod. proc. per, deve essere sospeso, non potendo procedersi in assenza dell’imputato.
Il diritto ad essere presente nel processo può costituire oggetto di rinuncia da parte dell’imputato, ma a tal fine è necessario che egli abbia notizia personalmente dell’esistenza del processo a suo carico e del suo diritto a parteciparvi. Solo laddove tale condizione venga rispettata, la rinuncia dell’accusato a presenziare al processo potrà dirsi consapevole e volontaria e quindi efficace. Solo allora la mancata comparizione dell’imputato potrà essere intesa quale rinuncia a comparire.
Né la conoscenza effettiva della vocatio in iudicium può presumersi sulla base della mera regolarità della notificazione.
Nel caso di specie, avendo l’imputato eletto domicilio presso il suo difensore di fiducia, le notifiche effettuate presso quest’ultimo dell’avviso di fissazion dell’udienza preliminare e del decreto di citazione a giudizio sono pienamente valide, ma non valgono di per se stesse a provare la effettiva conoscenza della vocatio in iudicium in capo all’imputato.
Occorre, infatti, distinguere la validità delle notificazioni dell’avviso fissazione dell’udienza preliminare e del decreto di citazione a giudizio dalla prova certa che l’imputato abbia conoscenza del procedimento, richiesta perché possa procedersi in sua assenza, che operano su piani diversi.
L’effettiva conoscenza dell’atto da notificare non è un requisito di validità della notificazione. Difatti, laddove manchi la prova certa della conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, non potrà procedersi in sua assenza anche laddove le notifiche risultino tutte validamente eseguite. D’altra parte, la prova della conoscenza del procedimento da parte dell’imputato non consente la celebrazione del processo in assenza se non vi sia la prova della rituale notifica dell’avviso di fissazione, dovendo il giudice procedere alla rinnovazione della notificazione nel caso in cui ne dichiari la nullità (art. 420, comma 2, cod. proc. pen.).
Ai fini dell’accoglimento della istanza, è, invece, necessario accertare se le dichiarazioni di assenza pronunciate all’udienza preliminare e all’udienza innanzi al giudice monocratico siano state o meno pronunciate in carenza dei relativi presupposti.
L’art. 420-bis cod. proc. pen., anche nel testo in vigore quando l’imputato è stato dichiarato assente, contemplava la elezione di domicilio e la nomina del
difensore di fiducia quali elementi sintomatici dell’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato.
Occorre, tuttavia, evidenziare che le Sezioni Unite con la sentenza Ismail (Sez. U., n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420) hanno escluso che la nomina del difensore di fiducia e l’elezione di domicilio presso il difensore consentano di per se stesse di «presumere» in modo assoluto l’effettiva conoscenza in capo all’imputato (vedi punti 8.5, 8.6 e 8.7 del considerato in diritto).
Anche la nomina del difensore di fiducia, per valere come indice sintomatico di effettiva conoscenza, deve essere una nomina effettiva e quindi accettata (vedi punto 11 in fondo del considerato in diritto).
Occorre, quindi, anche per la nomina del difensore di fiducia, l’instaurazione di un effettivo rapporto professionale tra difensore e cliente. Aver nominato un difensore di fiducia che ha poi rinunciato al mandato o che sia stato revocato parimenti non consentirà di procedere senza certezza della conoscenza (vedi par. 13.2 del considerato in diritto).
Per completezza, occorre aggiungere che questa Corte di cessazione ha pure affermato, in tema di processo in assenza, che nel caso in cui la relativa dichiarazione risulti emessa nella vigenza della disciplina antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il giudice che, nel corso del giudizio, rileva la sussistenza di fatti da cui possa inferirsi, con ragionevole certezza, che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza del processo è tenuto a revocare, anche ex officio, l’ordinanza dichiarativa dell’assenza (Sez 4, n. 48776 del 15/11/2023, Rv. 285572, che, con riguardo alla notifica al difensore d’ufficio dell’atto di citazione per il giudizio di appello, ha precisato che non sussiste un onere del difensore di provare l’assenza di contatti con l’imputato, né di formulare istanza di revoca dell’ordinanza dichiarativa dell’assenza).
Applicando al caso di specie i principi sopra esposti, deve osservarsi che effettivamente l’imputato aveva nominato un difensore di fiducia e aveva eletto domicilio presso di lui, ma il difensore così nominato non ha partecipato all’udienza preliminare, venendo sostituito da un difensore nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen.
Il decreto di citazione a giudizio innanzi al Tribunale è stato notificato al difensore di fiducia, che non è comparso alla prima udienza del 10 Idglio 2017, in cui è stata dichiarata l’assenza dell’imputato.
In sostanza, il difensore di fiducia si è del tutto disinteressato del processo. Dagli atti risulta anche che alle ore 10,40 del 10 luglio 2017, dopo che il processo a carico del COGNOME era stato già chiamato, l’AVV_NOTAIO,
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difensore di fiducia dell’imputato, ha fatto pervenire al TribUnale una sua dichiarazione scritta in cui affermava di avere da tempo rinunciato al mandato difensivo a suo tempo conferito, versando nella impossibilità di svolgere il proprio incarico professionale, stante la irreperibilità dell’imputato.
Successivamente, il Tribunale ha provveduto a sostituire il difensore di fiducia con uno di ufficio, nominato ai sensi dell’art. 97, comma 1, cod. proc. pen.
La Corte di appello di Roma, investita dalla richiesta di rescissione del giudicato, ha correttamente focalizzato la sua attenzione sui rapporti tra l’imputato ed il difensore, onde verificare se si fosse instaurato tra i due un effettivo rapporto professionale, ma ha limitato tale indagine al rapporto con il solo difensore di ufficio, che ha confermato di non avere mai avuto alcun contatto con l’imputato.
Tale accertamento è utile per escludere che l’imputato sia stato informato dal difensore di ufficio della pendenza del processo a suo carico ed abbia avuto la possibilità di impugnare la sentenza di primo grado.
Tuttavia, al fine di accertare se l’imputato sia stato dichiarato assente in difetto dei presupposti di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen. era necessario anche verificare quali fossero stati i rapporti tra il difensore di fiducia e l’imput atteso che, come si è detto, in tanto potrà affermarsi che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza del processo in quanto si dimostri che egli abbia certamente avuto conoscenza della vocatio in iudicium.
La conoscenza certa da parte dell’imputato del processo va riferita alla vocatio in íudicium e quindi deve collocarsi in un momento anteriore all’inizio del processo.
Ne deriva che la Corte di appello avrebbe dovuto estendere le sue indagini anche ai rapporti tra l’imputato ed il difensore di fiducia inizialmente nominato onde verificare se l’irreperibilità del COGNOME, che lo stesso difensore di fiducia all’epoca della dichiarazione di assenza indica quale causa di rinuncia al mandato professionale, derivi da una sua mera negligenza o se il NOME abbia deliberatamente inteso sottrarsi alla conoscenza del processo.
A tale ultimo proposito, deve segnalarsi che le Sezioni Unite, con la sentenza «Ismail» (Sez. U., n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420), hanno evidenziato che l’unica ipotesi in cui può procedersi pur, se l’imputato ignori la vocatio in ius è la volontaria sottrazione «alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento», che, tuttavia, deve consistere in condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta.
Affermano le Sezioni Unite che «L’art. 420-bis cod. proc. pen. non “tipizza” e
non consente di tipizzare alcuna condotta particolare che possa ritenersi tale; quindi non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto etc. Certamente la manifesta mancanza di diligenza informativa, la indicazione di un domicilio ‘falso, pur se apparentemente valido ed altro, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non possono essere di per sé determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della “volontaria sottrazione”: se si esaspera il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti,, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita».
Non basta, quindi, una condotta meramente negligente del COGNOME nel tenere i contatti con il difensore da lui nominato per affermare che egli abbia inteso sottrarsi alla conoscenza del processo.
Concludendo, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Roma che acCerterà se la dichiarazione di assenza dell’imputato sia stata pronunciata in carenza dei relativi presupposti.
A tal fine la Corte di appello potrà anche svolgere accertamenti onde verificare se vi sia stata l’instaurazione di un effettivo rapporto professionale tra il COGNOME ed il difensore di fiducia da lui nominato in quel processo, ossia l’AVV_NOTAIO, e se egli abbia avuto conoscenza della vocatio in iudicium, nonché se la eventuale mancata conoscenza sia dovuta ad una deliberata scelta del COGNOME di sottrarsi ad essa.
Laddove non risulti che il COGNOME abbia avuto conoscenza del processo a suo carico e neppure risulti che egli si sia volontariamente sottratto a tale conoscenza, non avrà rilievo la circostanza che l’AVV_NOTAIO abbia comunicato al Tribunale la sua rinuncia al mandato per irreperibilità del COGNOME solo dopo l’udienza del 10 luglio 2017, atteso che, come si è già esposto sopra, il giudice che, nel corso del giudizio, rileva la sussistenza di fatti da cui possa inferirsi, con ragionevole certezza, che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza del processo è tenuto a revocare, anche ex officio, l’ordinanza dichiarativa dell’assenza (Sez. 4, n. 48776 del 15/11/2023, Rv. 285572).
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Roma.
Così deciso il 12/07/2024.