Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31235 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31235 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Albania il 30/07/1982
avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Roma del 20/03/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per la declaratoria in inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata del 20 marzo 2025, la Corte d’appello di Roma, decidendo in sede di rinvio in seguito ad annullamento, statuito dalla Prima sezione di questa Corte con sentenza n. 43851 del 17 ottobre 2024, di preceddte provvedimento della stessa Corte territoriale del 27 febbraio 2024, ha rigettato l’istanza di rescissione del giudicato proposta nell’interesse di NOME COGNOME in relazione alla sentenza della Corte d’assise d’appello di Roma, irrevocabile il 9 marzo 2021, con la quale è stata confermata la condanna del medesimo per il delitto di cui all’art. 630 cod. pen.
1.1. Nell’stanza formulata dal condannato, volta ad ottenere la rescissione del giudicato – e, solo in via subordinata, la restituzione nel termine per proporre impugnazione – si rappresenta che il difensore ha rinunciato al mandato già nel corso del giudizio di primo grado, in ragione della impossibilità di stabilire un contatto con il Sadikaj; che la rinuncia è stata ritenuta improduttiva di effetti, per non esser stata fornita prova circa l’avvenuta comunicazione della stessa all’imputato; che il difensore ha preso parte al giudizio di appello e ha proposto ricorso in sede di legittimità.
1.2. La Prima sezione di questa Corte, nella premessa della sentenza d’annullamento, ha dato atto: che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce aveva dichiarato, in data 30 settembre 2011, la latitanza del Sadikaj, nell’ambito del procedimento che in tale sede si svolgeva a suo carico, con imputazione ex art. 74 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309; che il condannato, nell’ambito del processo culminato con l’emissione della sentenza della quale viene invocata, ora, la rescissione, è stato elettivamente domiciliato, sin dal 2011, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME nonché dichiarato assente nel corso del processo.
Tracciati i confini tra i due istituti azionati dal ricorrente, la Prima sezione ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, NOME COGNOME, Rv. 279420), che ha evidenziato come, ai fini della dichiarazione di assenza, non possa essere considerato presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore, spettando comunque al giudice il compito di verificare – anche in presenza di ulteriori elementi – la sussistenza dell’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, richiamando l’ineludibile esigenza che siffatto accertamento offra una tranquillizzante certezza circa il fatto che l’interessato abbia avuto piena conoscenza del procedimento instaurato a suo carico, oppure che si sia sottratto volontariamente alla celebrazione dello stesso. Ha, altresì, ribadito che «in tema di rescissione del giudicato, non costituisce indice di effettiva conoscenza del processo la nomina di un
difensore di fiducia con elezione di domicilio presso il suo studio compiuta nella fase delle indagini preliminari, alla quale abbia fatto seguito una dichiarazione di rinuncia al mandato, ove non vi sia prova che la rinuncia sia stata comunicata all’imputato e non ricorrano elementi concreti da cui desumere che questi abbia avuto notizia della “vocatio in iudiciunn”» (Sez. 6, n. 24729 del 07/03/2024, Fa! COGNOME, Rv. 286712; Sez. 6, n. 46795 del 12/10/2023, NOME COGNOME, Rv. 285493; Sez. 6, n. 34523 del 11/05/2023, NOME COGNOME, Rv. 285177; Sez. 3, n. 11813 del 24/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281483 e, infine, Sez. 3, n. 48376 del 09/11/2022, COGNOME, Rv. 284062, la quale ha precisato come – in tema di giudizio in assenza – debba reputarsi viziata da nullità assoluta la notifica del decreto di citazione a giudizio dell’imputato, laddove non si abbia la certezza in ordine alla conoscenza della pendenza del processo da parte sua, ovvero non possa ritenersi sussistente una volontà del medesimo volta a sottrarsi a tale conoscenza; «tale conoscenza del processo, peraltro, non può esser fatta automaticamente derivare dall’esistenza di una elezione di domicilio, intervenuta nella fase delle indagini preliminari».
Alla luce delle richiamate regole ermeneutiche, la Prima sezione ha ritenuto che la Corte di appello di Roma non vi si fosse conformata «essendosi improvvidamente assunta la decisione di non procedere all’acquisizione degli atti processuali necessari, infatti, non si è compiuto alcun accertamento circa la sussistenza di prova, in ordine all’effettiva conoscenza del giudizio, in capo all’imputato; si è ritenuta, viepiù, automaticamente preclusa l’esperibilità dell’invocato rimedio della rescissione, in presenza della proposizione di impugnazione, proposta da difensore che aveva espressamente dichiarato di non riuscire ad avere contatto alcuno con l’assistito».
1.3. Decidendo in sede di rinvio, la Corte d’appello ha, in primis, rilevato il difetto di legittimazione dell’istante per non essere stata conferita al difensore di fiducia specifica procura.
Ha, quindi, reputato che la volontaria sottrazione del ricorrente all’esecuzione di un titolo custodiale emesso anche in relazione al delitto di cui all’art. 630 cod. pen., solo successivamente trasmesso per competenza territoriale all’autorità giudiziaria capitolina, implicasse la conoscenza del procedimento ed abbia, dunque, legittimamente consentito la celebrazione del processo in absentia.
Avverso l’ordinanza indicata della Corte d’appello di Roma ha proposto ricorso il condannato, con atto a fgrma del difensore e procuratore speciale, Avvocato NOME COGNOME affidando le proprie censure a due motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge in riferimento alla declaratoria di inammissibilità per difetto di procura speciale.
Premesso che il rilievo del difetto di legittimazione è stato formulato per la prima volta in sede rescissoria, evidenzia il ricorrente come la procura conferita al difensore fosse inequivocabilmente riferita all’alltgata istanza di rescissione, avente ad oggetto la sentenza della Corte d’assise d’appello di Roma, come peraltro la stessa Corte d’appello finisce per riconoscere.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge in riferimento agli artt. 629-bis cod. proc. pen., 24 e 111 Cost. e 6 Cedu. Rappresenta, al riguardo, come la Corte del rinvio non si sia attenuta ai principi enunciati nella sentenza d’annullamento, che ha ritenuto come la conoscenza del processo non possa farsi automaticamente derivare dall’esistenza di un’elezione di domicilio presso il difensore di fiducia, intervenuta nella fase delle indagini preliminari, indicando specifici passaggi valutativi al giudice del rinvio, verificando: – se vi sia stata effettivamente conoscenza, da parte del condannato, della esistenza di una “vocatio in iudicium” a suo carico, non essendo sufficiente né la nomina del difensore di fiducia, né l’elezione di domicilio presso il suo studio, a maggior ragione alla luce del rilievo per cui vi è in atti dichiarazione di rinuncia al mandato, non comunicata al condannato per impossibilità di prendere contatti con il medesimo; gli atti processuali necessari per verificare gli accertamenti effettuati in merito alla effettiva conoscenza del giudizio. La Corte del rinvio, invece, non ha svolto gli accertamenti demandati, concentrando le proprie valutazioni sui fatti che hanno dato luogo alla sentenza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce del 24 gennaio 2014, confermata dalla Corte d’appello in sede, ed al materiale probatorio ivi acquisito, limitandosi – nel valutare il procedimento oggetto dell’istanza di rescissione – a dare conto dell’andamento delle udienze, senza tuttavia sciogliere il nodo del se il COGNOME avesse avuto o meno effettiva conoscenza di quel procedimento, soprattutto alla luce del fatto che il predetto non aveva mai conferito mandato difensivo per lo stesso giudizio e che la rinuncia del difensore era stata ritenuta inefficace proprio per l’impossibilità di comunicazione con l’imputato. Risulta, inoltre, che la Corte del rinvio abbia fatto riferimento ad un precedente giurisprudenziale di legittimità (n. 32980 del 2024) in contrasto con i principi posti a base dell’annullamento. Ne discende – ad avviso del ricorrente – che la Corte del rinvio è incorsa nel travisamento dei dati processuali, nella parte in cui ha ricostruito l’erronea attribuzione al ricorrente dello status processuale di assente in luogo di latitante, e di contraddittorietà, nella parte in cui, pur condividendo i principi espressi nella sentenza delle Sezioni Unite Lovric, ha poi fatto applicazione di altro indirizzo Corte di Cassazione – copia non ufficiale
ermeneutico. Secondo il ricorrente, l’aver ricondotto la conoscenza del processo allo stato di latitanza evidenzia un travisamento radicale della documentazione acquisita, ove si consideri che: il COGNOME è stato dichiarato latitante dal Giudice per le indagini preliminari di Lecce il 30 settembre 2011 in relazione alla misura cautelare di cui è stata tentata l’esecuzione il 29 settembre dello stesso anno, per la quale è stato emesso mandato d’arresto internazionale, eseguito in Albania il 30 aprile 2012; il tribunale per il riesame di Bari ha revocato, il 14 aprile 2011, la misura cautelare emessa, per altri reati, richiamata nella memoria difensiva del 1 aprile 2025, con la quale si evidenziava l’erronea indicazione, nella sentenza oggetto di richiesta di rescissione, dello status libertatis dell’istante. Da tanto, discende – ad avviso del ricorrente – l’erronea delibazione della condizione di conoscenza del processo celebrato davanti all’autorità giudiziaria romana, rispetto alla quale non dispiega valenza alcuna la rinuncia al mandato difensivo che, anzi, conferma la irreperibilità del ricorrente e, con essa, la mancata conoscenza della celebrazione del processo a suo carico. Può, dunque, dirsi – ad avviso del difensore – che se è vero che il ricorrente fosse a conoscenza dell’imputazione provvisoria anche del reato di cui all’art. 630 cod. pen. nel corso delle indagini preliminari presso la Procura di Lecce, non sia, invece, dimostrata la conoscenza della successiva celebrazione del processo a Roma per tale reato, all’esito dello stralcio e della trasmissione per competenza a questa autorità giudiziaria. Il vulnus rilevato si apprezza vieppiù – si legge nel ricorso – ove si consideri che la Corte d’assise d’appello di Roma ha rinnovato l’istruttoria dibattimentale anche mediante l’esame della persona offesa; ed anche la “fungibilità” tra lo stato di latitante e quello di assente, ritenuta dalla Corte del rinvio, non rile se sol si consideri che la nomina del difensore di fiducia era intervenuta solo in fase di indagini, prima ancora dell’emissione, da parte del Giudice per le indagini preliminari leccese, dell’ordinanza cautelare rispetto alla quale la latitanza è stata dichiarata, con conseguente violazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza NOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con requisitoria scritta del 5 luglio 2025, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME ha rassegnato le conclusioni, chiedendo emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1.11 primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di rescissione per difetto di legittimazione del difensore, è inammissibile per carenza d’interesse.
1.1. Va, in linea generale rilevato che l’art. 568 comma 4 cod. proc. pen., applicabile a tutte le impugnazioni, richiede, in capo al soggetto legittimato all’impugnazione, l’esistenza di un concreto interesse ad impugnare.
All’elaborazione del concetto di interesse ad impugnare hanno contribuito le Sezioni Unite di questa Corte che, in adesione ad una nozione “utilitaristica”, hanno affermato come la facoltà di attivare i procedimenti impugnatori non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulti idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione, o la riforma della decisione gravata, renda possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso.
La legge processuale non ammette, dunque, l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione o la correttezza formale del procedimento; non ammette, in altri termini, un’impugnazione che non produca alcun effetto pratico favorevole alla posizione giuridica del soggetto, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto (S.U., n. 12234 del 23/11/1985, Di Trapani, Rv. 171394; Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994, COGNOME, Rv. 197536; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269; Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, P.C. in proc. Guerra, Rv. 240815 39; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 244108 40; Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, COGNOME, Rv. 249002).
L’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4.cod. proc. pen. come condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione deve essere concreto, e cioè mirare a rimuovere l’effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato. Esso, pertanto, deve persistere sino al momento della decisione e sussiste soltanto se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione immediata più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente.
1.2. Nel quadro così delineato, pur dispiegando la Corte del rinvio un’ampia motivazione riguardo la (in)validità della procura speciale conferita al difensore dal condannato, nondimeno la stessa Corte ha proceduto alla delibazione funditus dell’istanza di rescissione, in tal modo implicitamente reputando validamente instaurato il contraddittorio sul merito del giudizio; il che priva di concreto rilievo
correttezza o meno in diritto della preliminare statuizione di inammissibilità, che il ricorrente propone.
1.3. La stessa delibazione è stata, comunque, assunta al di fuori dei limiti del rinvio, in violazione dell’art. 627 cod. proc. pen.
Va, invero, qui ribadito che nel giudizio di rinvio conseguente all’annullamento, è illegittimo, se fondato su motivi che non abbiano formato oggetto del precedente giudizio, il provvedimento con cui è dichiarata l’inammissibilità dell’atto introduttivo, in quanto la natura del giudizio non consente l’introduzione di questioni diverse da quelle oggetto del disposto rinvio (ex multis, Sez. 3, n. 13328 del 07/03/2025, COGNOME, Rv. 287871 – 01).
Trattasi, dunque, di statuizione vitiatur, sed non vitiat.
Il secondo motivo è fondato.
2.1. La ratio decidendi dell’ordinanza impugnata si articola su tre piani.
La Corte del rinvio ha ritenuto comprovata la consapevole conoscenza del processo in corso presso la Corte d’assise di Roma per il reato di cui all’art. 630 cod. pen. alla stregua:
della nomina del difensore di fiducia e della domiciliazione presso di questi, formalizzata nella fase delle indagini preliminari presso la Procura di Lecce anche per il predetto reato;
nella volontaria sottrazione all’esecuzione della misura cautelare emessa anche per il delitto in parola;
nella definizione, mediante richiesta di rito abbreviato, del procedimento pendente a Lecce, successivamente allo stralcio, per ragioni di competenza territoriale, sempre per il delitto di predetto reato.
Trattasi di elementi che, nella lettura resa nell’ordinanza impugnata, non soddisfano il mandato d’annullamento e che esibiscono gravi deficit del ragionamento ed un’errata applicazione della legge.
2.2. Come anticipato (§ 1.2. del Ritenuto in fatto), la sentenza di annullamento della Prima sezione di questa Corte ha delineato le coordinate entro le quali verificare la legittima celebrazione del processo in absentia, richiamando i principi affermati dal diritto vivente quali rime obbligate della demandata verifica.
2.2.1. In tema di rescissione del giudicato va, invero, anche in questa sede ribadito che l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di “vocatio in iudicium”.
In tal senso, assumono rilievo i principi affermati dalle Sezioni Unite, innanzitutto quanto al concetto di «effettiva conoscenza del procedimento» che, applicato alla
disposizione dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella previgente formulazione (introdotta dal d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito dalla legge 22 aprile 2005, n. 60, e poi modificata con la novella n. 67 del 2014), ha condotto a delineare i confini di ammissibilità del processo in absentia, in termini coerenti con le indicazioni provenienti anche dalla normativa e dalle pronunce delle Corti sovranazionali (Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 275716).
Si è sottolineato come, ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione antecedente alla modifica operata con legge n. 67 del 28 aprile 2014, l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di “vocatio in iudicium”, sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell’accusa contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l’imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza.
Dunque, si esigeYl’accusato abbia conoscenza del processo – e non soltanto dell’esistenza di un’indagine penale a suo carico – e del provvedimento formale di “vocatio in iudicium”, contenente la descrizione del fatto oggetto della imputazione e della data e del luogo di svolgimento del giudizio. Una conoscenza effettiva, non meramente legale e mai presunta: il processo è legittimamente celebrato in assenza dell’imputato soltanto quando l’imputato sia consapevolmente informato della citazione in giudizio e dell’accusa penale a lui rivolta, e abbia rinunciato a comparire ovvero si sia deliberatamente sottratto alla conoscenza del processo.
In tale contesto si ponevano i casi tipizzati nell’art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen., nel testo vigente prima della entrata in vigore del D. Lgs n. 150 del 2022, e, in particolare, la valenza, ai fini della dichiarazione di assenza, degli indici sintomatici costituiti dalla dichiarazione od elezione di domicilio, dall’applicazione di misure precautelari che abbiano portato alla udienza di convalida o la sottoposizione a misura cautelare, dalla nomina di un difensore di fiducia.
Secondo le Sezioni Unite COGNOME, all’«inottemperanza all’onere di informazione che deriva dalle situazioni tipizzate 420-bis, cod. proc. pen.», consegue una presunzione relativa di volontaria sottrazione alla conoscenza del processo, come desumibile agevolmente dai disposto simmetrico degli artt. 420-bis, comma 4, e 629bis, comma 1, cod. proc. pen., che onerano l’interessato (rispettivamente, imputato o condannato) della dimostrazione di una sua «incolpevole mancata conoscenza del processo», con ciò ponendo una chiara distinzione tra conoscenza del procedimento e conoscenza del processo.
2.2.2. Si tratta di principi ripresi e sviluppati ulteriormente da Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Lovric, in motivazione, secondo cui l’art. 629-bis cod. proc. pen. si pone in stretta correlazione con le previsioni dell’art. 420-bis cod. proc. pen. e offre una forma di tutela all’imputato, non presente fisicamente in udienza, mediante la possibilità di proposizione di un mezzo straordinario di impugnazione, che realizza la reazione ripristinatoria del corretto corso del processo per situazioni di mancata partecipazione del soggetto accusato, in dipendenza dell’ignoranza incolpevole della celebrazione del processo stesso, che non siano state intercettate e risolte in precedenza in sede di cognizione; ignoranza – hanno spiegato le Sezioni unite – che non deve essere a lui imputabile, né come voluta diserzione delle udienze, né come colposa trascuratezza e negligenza nel seguirne la progressione processuale. Secondo le Sezioni unite, «l’art. 629-bis cod. proc. pen. attribuisce al giudice della rescissione il compito di valutare la sintomaticità dei comportamenti tenuti dall’imputato rimasto assente nel corso dell’intero processo, specie nel caso in cui abbia avuto cognizione della pendenza del procedimento, senza instaurare alcun automatismo in riferimento alle condizioni che, ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen., autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza».
In altri termini, l’art. 629-bis prevede un rimedio esperibile a prescindere dalla correttezza degli accertamenti condotti in fase di cognizione per procedere in assenza, con la conseguenza che, al di fuori di ogni presunzione, anche l’imputato dichiarato assente nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen. è legittimato ad allegare l’ignoranza del processo a lui non imputabile. In tale senso, chiariscono le Sezioni unite, il giudice della rescissione ha ampi e sostanziali poteri accertativi sui dati fattuali da cui desumere la conoscenza del processo ovvero la ignoranza colpevole.
2.2.3. Il quadro di riferimento è stato ulteriormente precisato da Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, secondo cui: a) il processo in assenza non costituisce una sanzione; b) i cd. indici di conoscenza del processo fanno riferimento a situazioni che necessitano di caratteri di effettività rispetto alle modalità con cui sono realizzate; c) rileva, a tal fine, la efficacia della scelta del domicilio, le modali di realizzazione del rapporto con il difensore di fiducia che accetti la nomina; d) la elezione domicilio deve essere “seria” e reale, dovendo essere apprezzabile un rapporto tra il soggetto ed il luogo presso il quale dovrebbero essere indirizzati gli atti; e) anche la nomina del difensore di fiducia deve essere effettiva, esse quindi, necessario « verificare se gli imputati siano effettivamente, venu conoscenza della vocatio in iudicium oppure, se nonostante «le formalmente regolari notifiche» presso il domiciliatario, gli imputati non abbiano alcuna consapevolezza
dell’inizio del processo a loro carico»; f) della volontaria sottrazione alla conoscenza del processo vi deve essere una traccia “positiva” all’esito di un necessario accertamento in fatto.
Se, dunque, dubbi non possono sussistere quanto alla “colpevole mancata conoscenza del processo” nei casi in cui l’imputato si sottragga deliberatamente al processo, meno agevoli sono i casi in cui all’imputato può al più muoversi un addebito di negligenza, costituita dal mancato contatto con il difensore al fine di assumere informazioni sullo sviluppo del procedimento ovvero sul processo.
Il tema attiene, in generale, al rapporto tra onere di informazione e di attivazione dell’imputato che abbia nominato un difensore di fiducia, presso il quale ha dichiarato o eletto domicilio, e diritto alla effettiva conoscenza del processo.
In tale prospettiva, assume ancora rilievo quanto chiarito da questa Corte, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 629-bis cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 24, secondo comma, 111 e 117 Cost., in relazione agli artt. 3 e 6 Cedu, nella parte in cui non consente di ottenere la rescissione del giudicato al condannato nei cui confronti si sia proceduto in assenza, qualora non provi che questa non sia dipesa da “incolpevole mancata conoscenza del processo. L’art. 629-bis (già 625-ter) cod. proc. pen. – si è condivisibilmente spiegato – ha il significato di escludere l’accesso ad un nuovo giudizio a chi si sia posto volontariamente nelle condizioni di non avere adeguata notizia del processo, dimostrando di non volervi partecipare, senza alcun automatismo in riferimento all’accertata ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen., e l’onere probatorio imposto al richiedente, che implica l’allegazione di una documentazione a sostegno, non preclude al giudice di disporre d’ufficio le integrazioni istruttorie necessarie ad accertarne l’oggettiva fondatezza. Il sintagma “incolpevole mancata conoscenza delle celebrazione del processo” – si è aggiunto – non assume altro significato se non quello di precludere all’assente, pur sempre volontario, l’accesso ad un nuovo giudizio, a colui che si sia, quindi, volontariamente posto nelle condizioni di non ricevere adeguata notizia del processo, dimostrando così implicitamente di non volervi partecipare.
Si è, ancora, evidenziato che l’art. 629-bis cod, proc. pen. attribuisce al giudice della rescissione il compito di valutare la sintomaticità dei comportamenti tenuti dall’imputato rimasto assente nel corso dell’intero processo – soprattutto nel caso in cui questi abbia avuto cognizione della pendenza del procedimento – senza instaurare però alcun automatismo in riferimento alle condizioni che, ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen., autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza (così testualmente, Sez. 5, n. 31201 del 15/09/2020, Rannadze, Rv. 280137, in cui
la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del giudice distrettuale che aveva ritenuto che l’imputato versasse in stato di colpevole ignoranza in merito alla celebrazione del giudizio, per il solo fatto di non aver mantenuto i contatti con il difensore d’uffici presso il quale aveva eletto domicilio all’atto della identificazione; nello stesso senso, Sez. 3, n. 49800 del 17/07/2018, T, Rv. 274304; Sez. 5, n. 19949 del 06/04/2021, Rv. 281256; Sez. 1, n. 27629 del 24/06/2021, Ndreca, Rv. 281637).
Si delineano, in tal guisa, ampi e ineludibili poteri accertativi al fine di verifica se e in che termini si sia o meno in presenza di una simulata inconsapevolezza del processo, ma nessun automatismo, nessuna presunzione, nessuna esasperazione dell’onere di informazione, nessuna eccessiva estensione degli oneri di diligenza e di attivazione dell’imputato o del condannato – al fine di essere messo a conoscenza dell’accusa nei suoi confronti – in ragione della nomina di un difensore di fiducia, con elezione di domicilio presso lo studio di questi, conferita in una fase non già di vocatio in iudicium, quanto, piuttosto, nello svolgimento delle indagini preliminari e divenuta, successivamente, priva di effetti concreti per un evento peculiare quale la rinuncia al mandato (cfr., Sez. 6, n. 24729 del 07/03/2024, Fall, Rv. 286712; sul tema anche Sez. 5, n. 809 del 28/09/2023, LLeshi, Rv. 285780, con riferimento alla disciplina introdotta con il D. Lgs n. 150 del 2022, secondo cui, in tema di rescissione del giudicato, l’effettiva conoscenza del processo che legittima il giudizio in assenza non può essere desunta dalla nomina, nelle fasi iniziali del procedimento (nella specie, nell’immediatezza dell’arresto), di un difensore di fiducia con elezione di domicilio presso il suo studio, alla quale abbia fatto seguito l’immediata espulsione del condannato dal territorio dello Stato, in assenza di elementi di fatto che consentano di ritenere effettivamente instaurato e stabilizzato il rapporto professionale. 2.3. La Corte di appello di Roma non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3.1. Il punto nodale della motivazione impugnata va ravvisato nell’equiparazione tra la condizione di latitanza del ricorrente – che risulta essersi sottratto all’esecuzione della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Lecce nel 2011 anche per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione per cui si procede – e l’attribuzione al medesimo dello status di assente nel successivo giudizio per quello stesso reato, celebrato, previa trasmissione degli atti per competenza territoriale, dalla Corte d’assise di Roma.
E’ proprio dalla volontaria sottrazione all’esecuzione della cautela che la Corte del rinvio ha inferito la conoscenza del procedimento celebrato in absentia.
2.3.2. Trattasi di giudizio inferenziale palesemente fallace.
Questa Corte ha già avuto modo di sottolineare come, ai fini della dichiarazione di assenza ex art. 420-bis cod. proc. pen., nella formulazione antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non possa ritenersi presupposto idoneo la sola corretta dichiarazione dello stato di latitanza che, costituendo un mero indice legale di conoscenza del procedimento, non sostituisce, né elimina l’esigenza di una verifica, in concreto, dell’effettiva conoscenza da parte dell’imputato (Sez. 1, n. 2078 del 12/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285717 – 01)
Ferma restando la legittimità della dichiarazione di latitanza, qui incontroversa, nei termini declinati da Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258792, va invece osservato come alla corretta dichiarazione dello stato di latitanza non segua, però, la validità della citazione a giudizio.
L’art. 420-bis cod. proc. pen. in tema di procedimento in assenza prevedeva, nella versione antecedente alla riforma introdotta dal D. Lgs. n. 150 del 2022 e applicabile al caso in esame, che si desse luogo al giudizio in assenza dell’imputato anche quando vi fosse la prova certa della conoscenza in capo all’imputato del procedimento o che questi si fosse volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.
Lo stato di latitanza, dunque, connotato proprio dall’accertamento della volontarietà della sottrazione alla conoscenza di atti fondamentali del procedimento, legittimava il procedimento in assenza, sulla base non già di una presunzione invincibile, quanto, piuttosto, di un indice legale di conoscenza che non sostituiva né assorbiva l’esigenza di una verifica in concreto della effettività della conoscenza.
Ma, come affermato da Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420, “non è in alcun modo sostenibile che gli indici dell’art. 420-bis cod. proc. pen. siano forme di presunzioni reintrodotte surrettiziamente proprio con quella normativa che intendeva superare definitivamente il sistema del processo in contumacia e della estrema valorizzazione del sistema legale delle notifiche …Una tale interpretazione non potrebbe mai essere consentita perché in violazione delle disposizioni convenzionali quali interpretate dalla Corte Edu …”.
Con specifico riferimento alla condizione di latitanza, la stessa pronuncia ha escluso che essa possa automaticamente risolversi nella piena consapevolezza dell’esistenza e del contenuto del procedimento, ricordando come le decisioni della Corte Edu che hanno rilevato l’inadeguatezza del vecchio sistema contumaciale rispetto ai principi convenzionali sono intervenute in casi di soggetti non solo contumaci, ma anche latitanti (v. Corte Edu, 5 settembre 2019, COGNOME c. Italia; Corte Edu, 12 febbraio 1985, COGNOME c. Italia; Corte Edu, 1 marzo 2006, COGNOME c. Italia).
2.3.3. Siffatta interpretazione è stata recepita nella riscrittura del procedimento in assenza, frutto della modifica operata dal D. Lgs. n. 150 del 2022.
L’attuale art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen. fa, invero, espresso riferimento alla condizione di latitanza, prescrivendo che il giudice procede in assenza anche «quando l’imputato è stato dichiarato latitante o si è in altro modo volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo».
Tanto, tuttavia, non significa che la nuova normativa abbia trasformato un indice legale di conoscenza in una presunzione non altrimenti vincibile, facendo arretrare il sistema processuale al tempo in cui fu ritenuto concordemente inadeguato a garantire l’effettività del diritto alla partecipazione dell’imputato al processo.
Dalla dichiarazione di latitanza non segue, dunque, ipso iure la validità della notificazione della citazione a giudizio nelle forme dell’art. 165, comma 1, cod. proc. pen. con consegna di copia al difensore. Come infatti specificato dai commi che seguono, tale forma di notificazione è possibile per la citazione a giudizio “solo nel caso in cui non si è perfezionata la notificazione al domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 161, comma 1, oppure, quando manca la dichiarazione o l’elezione di domicilio, solo nel caso in cui non è possibile eseguire la notificazione con le modalità indicate dai commi da 1 a 3 dell’articolo 157, se l’imputato è evaso o si è sottratto all’esecuzione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari, ovvero con le modalità indicate dai commi da 1 a 6 dell’articolo 157, se l’imputato si è sottratto all’esecuzione della dell’obbligo di dimora o del divieto di espatrio”. misura cautelare
Chiaro il riferimento nella nuova disciplina, che attua una nell’interpretazione delle disposizioni precedenti, alla notifica citazione a giudizio o presso il domicilio dichiarato o eletto o, linea già emersa personale della ove manchi una dichiarazione in tal senso, a mani proprie o, in subordine, presso l’abitazione o il luogo dì lavoro o, ancora, presso la temporanea dimora.
2.3.4. Da quanto premesso, risulta espressamente smentita la tesi, fatta propria dall’ordinanza impugnata, secondo cui dalla validità del decreto di latitanza discende senza null’altra necessità di approfondimento la regolarità della notifica della citazione a giudizio.
Era, invece, obbligo del giudice verificare la sussistenza di indici concreti da cui poter desumere che l’imputato latitante avesse avuto effettiva conoscenza della esistenza del processo e della citazione in giudizio, anche considerando che l’elezione di domicilio presso il difensore di fiducia era stata formalizzata nel corso delle indagini preliminari, quando ancora il simultaneus processus era concentrato a Lecce e non vi
erano indicatori univoci che l’imputato fosse a conoscenza dello stralcio e della prosecuzione del giudizio presso altra sede giudiziaria.
L’ordinanza impugnata ha invece argomentato – nel rigettare l’eccezione difensiva in ordine alla mancata conoscenza del processo, posta a fondamento dell’istanza di rescissione – unicamente sulla conoscenza derivante dalla condizione di latitanza e dalla celebrazione nelle forme del giudizio abbreviato del processo leccese: ma, come già rilevato, mentre il primo dato è meramente presuntivo, il secondo dimostra – al più – che, nel richiedere la definizione nelle forme del giudizio abbreviato, il ricorrente potesse sapere che il delitto di cui all’art. 630 cod. pen. fosse stato stralciato, ma non già che per il medesimo reato fosse celebrato il giudizio davanti all’autorità giudiziaria romana.
Nulla di più è stato detto, sull’erronea premessa che la condizione di latitanza e le forme di celebrazione di un diverso processo giustifichino, per ciò, solo la presunzione di conoscenza del processo e della citazione a giudizio.
2.3.5. Quanto all’indice di effettiva conoscenza del procedimento da parte dell’imputato per avere nel corso delle indagini nominato un difensore di fiducia ed eletto, almeno in una prima fase, presso di questi il proprio domicilio, la Corte, non diversamente, ha ritenuto che la iniziale nomina di un difensore di fiducia e la elezione di domicilio compiuta nel corso delle indagini fosse di per sé sufficiente a ritenere colposa la mancata partecipazione al processo.
Nel caso di specie, tuttavia, la ritenuta colpevole mancata conoscenza del processo da parte del ricorrente non deriva – diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello – da un uso strumentale delle proprie facoltà per sottrarsi al processo (come, ad esempio, nel caso in cui l’interessato abbia scientemente indicato un recapito inesistente, inveritiero o inadeguato, per l’impossibilità di reperirvi lui stess od altre persone legittimate alla ricezione), ma da una particolare situazione processuale originata dalla mancata attivazione, nel silenzio del difensore nominato di fiducia e poi rinunciante, delle possibilità di conoscere da parte dell’imputato il processo, desunte in modo errato dall’iniziale notizia della esistenza del procedimento, avvenuta in una fase meramente embrionale e, pertanto, inidonea a poter sostenere un tale onere a tempo indeterminato.
Risulta, invece, che la rinuncia al mandato non fu in concreto portata a conoscenza dell’imputato per non essere il difensore di fiducia domicliatario in gr di rintracciarlo, senza che la Corte di appello abbia ritratto da tale circosta ulteriore – e decisivo – profilo di dubbio.
In conclusione, la prova della conoscenza effettiva del processo, in assen della dimostrazione di una deliberata intenzione di sottrarsi ad esso, non
desumersi dalla mera nomina di un difensore di fiducia con elezione di domicilio presso di questi, compiuta nella fase iniziale delle indagini e per un procedimento cumulativo poi frammentato, nel caso in cui il difensore abbia rinunciato al mandato e non vi sia nessuna prova né della comunicazione della rinuncia, né quella della effettività del rapporto professionale tra l’imputato e il difensore rinunciante.
A quanto sin qui argomentato consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio e, per l’effetto, deve essere revocata anche la sentenza della Corte d’assise di Roma del 5 luglio 2017.
Deve essere, altresì, disposta la trasmissione degli atti alla Corte d’assise di Roma per l’ulteriore corso.
La Corte d’assise applicherà i principi indicati e:
verificherà se gli atti furono ritualmente notificati all’imputato;
in caso di esito positivo del precedente riscontro, verificherà, prima di procedere alla dichiarazione di assenza e alla celebrazione del processo, se vi sia la prova che l’imputato abbia avuto effettivamente conoscenza della vocatio in jus;
c) ove, invece, non risulti comprovata la regolare notifica degli atti, procederà a dichiarare la nullità degli stessi e a verificare se debba essere rinnovata anche l’udienza preliminare.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’assise di Roma.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 settembre 2025
Il Consigliere estensore