Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24142 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24142 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME LECCE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/01/2024 del GIUD. SORVEGLIANZA di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 gennaio 2024 il Magistrato di sorveglianza di Lecce ha rigettato il reclamo proposto avverso il provvedimento emesso il 26 settembre 2022 dallo stesso Ufficio con il quale è stata respinta l’istanza di NOME COGNOME avente ad oggetto la remissione del debito per le spese processuali relative alla sentenza della Corte di appello di Lecce del 13 maggio 2013.
Con i provvedimenti reiettivi è stato dato atto della percezione di redditi, da parte del condanNOME, nel periodo 2014 – 2021, in misura doppia a quella che consente l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nonché della titolarità di beni immobili pervenutigli a titolo di successione ereditaria.
In sede di opposizione, il Magistrato ha segnalato come solo una dimostrata condizione di dissesto conseguente all’adempimento dell’obbligo di pagamento delle spese processuali potrebbe legittimare il provvedimento di remissione, nel senso che dovrebbe ritenersi preclusa la possibilità di provvedere alle fondamentali esigenze di vita proprie del condanNOME e della sua famiglia.
E’ stato, pertanto, evidenziato come il condanNOME avrebbe dovuto cedere le proprietà immobiliari, monetizzarle ed evitare di assumere esposizioni debitorie nel periodo successivo alla presentazione dell’istanza di remissione (come accaduto, invece, nel caso di specie).
In senso negativo, rispetto a quanto evidenziato nell’opposizione, anche la mancata dimostrazione del valore complessivo delle proprietà immobiliari del condanNOME; proprietà delle quali sarebbe stata affermata la sostanziale intangibilità allo scopo di soddisfare al bisogno abitativo al quale COGNOME avrebbe potuto fare fronte anche con un immobile preso in locazione.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore, AVV_NOTAIO, articolando un motivo con il quale ha eccepito violazione di legge in relazione all’art. 6 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
A supporto, ha esposto di avere documentato il possesso del 50% di un immobile di tipo economico, con una pertinenza, ricevuto in eredità insieme al fratello a seguito del decesso della madre nel 2017 e di un’autorimessa di 13 mq priva di valore economico.
Ha, inoltre, allegato di fruire di una pensione sulla quale grava la cessione del quinto a seguito di finanziamento per lavori di frazionamento dell’immobile ereditato in funzione dell’occupazione dello stesso, in assenza di una soluzione
abitativa alternativa.
Il ricorrente ha contestato l’impostazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha affermato che il condanNOME avrebbe potuto disfarsi del proprio patrimonio per provvedere al pagamento delle spese, avendo, in tal modo, violato il principio per cui, al fine di escludere la condizione di disagio, non è sufficiente la mera detenzione di risorse economiche, dovendosi verificare gli effetti dell’adempimento del debito sulle normali esigenze di vita.
D’altronde, nel caso di specie, la vendita del bene non sarebbe stata sufficiente per soddisfare il debito con l’erario.
In definitiva, le soluzioni prospettate nel provvedimento impugNOME avrebbero costretto il condanNOME a vivere in condizioni di povertà, compromettendone le esigenze di recupero sociale.
Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Viene in rilievo la disposizione di cui all’art. 6 d.P.R. n. 115 del 2002 che, per quanto qui rileva, ai primi due commi, stabilisce: «1. Se l’interessato non è stato detenuto o interNOME, il debito per le spese del processo è rimesso nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto una regolare condotta in libertà. 2. Se l’interessato è stato detenuto o interNOME, il debito per le spese del processo e per quelle di mantenimento ‘è rimesso nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto in istituto una regolare condotta, ai sensi dell’articolo 30 ter, comma 8, della legge 26 luglio 1975, n. 354».
Il ricorso, a fronte della complessa motivazione del Tribunale di sorveglianza, si rivela aspecifico e generico non contenendo una puntuale illustrazione di contestazioni complete rispetto alle rationes decidendi del provvedimento impugNOME.
Sul punto, va richiamato, il principio di diritto, qui ribadito e condiviso, secondo cui «è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse “rationes decidendi” poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti» (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Bimonte, Rv. 272448; conforme Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972).
Il ricorso omette, infatti, la formulazione di specifiche censure in ordine a punti decisamente qualificanti le ragioni che giustificano la decisione di rigetto dell’istanza.
In primo luogo, nulla è stato dedotto in ordine alla possibilità di rateizzazione delle spese che, pure, la magistratura di sorveglianza, sin dal provvedimento emesso a seguito dell’istanza originaria, ha prospettato.
Ancora, il ricorso ha omesso ogni considerazione sulla circostanza, anch’essa segnalata nel provvedimento impugNOME, che il mutuo è stato contratto dal ricorrente successivamente alla proposizione della richiesta di remissione, ossia quando il debito oggetto del procedimento era, ormai, certo ed esigibile.
Non è stata contrastata, in alcun modo, la mancata indicazione, a titolo di stima, del valore delle proprietà immobiliari; così come nulla è stato allegato sulla possibilità di soddisfare le esigenze abitative prendendo in locazione un immobile.
Peraltro, neppure è stata contraddetta la circostanza della mancata dimostrazione della condizione di dissesto derivante dall’adempimento dell’obbligazione, essendosi limitato il condanNOME ad allegare una mera situazione di difficoltà.
L’ordinanza impugnata, inoltre, ha fatto riferimento a redditi nel periodo 2014 – 2021, ha compiuto un calcolo degli importi di una ipotetica rateizzazione, segnalando le acquisizioni immobiliari plurime anche recenti.
A fronte di una motivazione approfondita e così articolata, il ricorrente ha prospettato l’esiguità del valore degli immobili dei quali è proprietario, affermando anche l’incidenza del pagamento delle spese sul bilancio familiare.
Su tale punto, il riferimento è stato del tutto generico, non essendo stato osservato il principio per cui «la valutazione del requisito delle disagiate condizioni economiche, rilevante per la remissione del debito per spese di giustizia e di mantenimento in carcere, può fare riferimento alla situazione economica del nucleo familiare dell’interessato purché si accerti l’effettiva incidenza delle risorse familiari sulle condizioni economiche dell’interessato» (Sez. 1, n. 18885 del 28/02/2019, Corso, Rv. 275660 – 02)
Peraltro, «il requisito delle disagiate condizioni economiche, richiesto dall’art. 6 d.P.R. n. 115 del 2002 ai fini della remissione del debito per spese di giustizia e di mantenimento in carcere, sussiste solo quando il soggetto si trovi in un effettivo stato di indigenza e non anche nel caso in cui versi in difficoltà finanziarie» (Sez. 1, n. 35752 del 28/05/2013, Antonuccio, Rv. 256750).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/04/2024