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Reformatio in peius: la pena base può essere ridotta?

La Corte di Cassazione chiarisce i limiti del divieto di reformatio in peius. Se in appello viene meno il reato più grave, la nuova pena base deve essere inferiore a quella precedente. La Corte ha stabilito che una riduzione anche minima della sola pena pecuniaria, a parità di quella detentiva, è sufficiente a rispettare tale divieto, considerando la pena nel suo complesso.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reformatio in peius: basta ridurre la multa per rispettare il divieto?

Il divieto di reformatio in peius, sancito dall’art. 597 del codice di procedura penale, è un pilastro del nostro sistema giudiziario. Esso garantisce all’imputato che, se è l’unico a impugnare una sentenza, la sua posizione non potrà essere peggiorata nel giudizio successivo. Ma come si applica questo principio quando la struttura del reato cambia in appello? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un importante chiarimento su come vada calcolata la pena per non violare questa garanzia fondamentale.

I fatti del processo

Il caso trae origine da una condanna in primo grado per due reati, legati dal vincolo della continuazione. Il giudice di primo grado aveva individuato il reato più grave nel capo b), fissando la pena base in sei mesi di reclusione e 250,00 euro di multa.

In sede di appello, la situazione cambiava radicalmente: la Corte d’Appello dichiarava di non doversi procedere per il reato di cui al capo b) per difetto di querela. Di conseguenza, il reato più grave diventava quello del capo a). Nel ricalcolare la pena, la Corte partiva da una nuova pena base, fissata in sei mesi di reclusione e 240,00 euro di multa, per poi determinare la pena finale in quattro mesi di reclusione e 160,00 euro di multa.

Il ricorso in Cassazione e il divieto di reformatio in peius

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando proprio la violazione del divieto di reformatio in peius. La tesi difensiva sosteneva che, venuto meno il reato originariamente considerato più grave, la Corte d’Appello non avrebbe potuto determinare una pena base identica nella sua componente detentiva (sei mesi) a quella del primo grado. Secondo il ricorrente, l’art. 597, comma 4, c.p.p. impone che, in un caso del genere, si debba partire da una pena base inferiore a quella del primo giudizio, e non uguale o superiore.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Il ragionamento dei giudici di legittimità si è concentrato sulla corretta interpretazione del concetto di ‘pena base’.

La Corte ha osservato che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice d’appello non ha affatto determinato una pena base identica a quella del primo grado. Sebbene la componente detentiva fosse rimasta invariata (sei mesi di reclusione), la componente pecuniaria era stata ridotta, passando da 250,00 a 240,00 euro di multa.

Questo dettaglio è stato considerato decisivo. Richiamando un consolidato principio affermato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 40910/2005), la Cassazione ha ribadito che il divieto di reformatio in peius non riguarda solo l’entità complessiva della pena finale, ma si estende a tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, inclusa la pena base.

Di conseguenza, la nuova pena base, composta da sei mesi di reclusione e 240 euro di multa, è stata considerata nel suo complesso ‘inferiore’ a quella precedente (sei mesi e 250 euro). La riduzione, seppur minima, della sola multa è stata sufficiente a rispettare il dettato normativo, poiché ha reso la nuova pena base non superiore né pari a quella originaria.

Conclusioni

Questa sentenza offre un’interpretazione pragmatica e olistica del divieto di reformatio in peius. Si stabilisce che la valutazione del rispetto di tale principio deve avvenire considerando la pena base nella sua interezza, comprensiva sia della parte detentiva che di quella pecuniaria. Una diminuzione anche solo su uno di questi due elementi, a parità dell’altro, è sufficiente a rendere la nuova pena ‘inferiore’ a quella precedente, escludendo così la violazione della garanzia per l’imputato. La decisione conferma che il giudice d’appello deve garantire che nessun aspetto della sanzione peggiori per l’appellante, ma allo stesso tempo chiarisce che una modifica favorevole, anche se modesta, su una delle componenti della pena è sufficiente a legittimare l’operato del giudice.

Che cos’è il divieto di reformatio in peius?
È il principio secondo cui il giudice dell’appello, se l’impugnazione è proposta solo dall’imputato, non può peggiorare la sua condanna rispetto a quella del primo grado, né in termini di specie né di quantità della pena.

Se in appello cade il reato più grave, la nuova pena base può essere uguale a quella precedente?
No, la legge prevede che la nuova pena base debba essere inferiore. Tuttavia, la sentenza chiarisce che la valutazione va fatta sulla pena nel suo complesso (detentiva e pecuniaria). Se la parte detentiva resta uguale ma quella pecuniaria diminuisce, la pena base è considerata ‘inferiore’ e il divieto è rispettato.

È sufficiente una minima riduzione della sola multa per rispettare il divieto di reformatio in peius?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, anche una riduzione minima della pena pecuniaria (in questo caso, da 250 a 240 euro), a parità di pena detentiva, è sufficiente per considerare la nuova pena base complessivamente inferiore alla precedente, rispettando così il divieto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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