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Reddito di cittadinanza: residenza e false dichiarazioni

Una cittadina è stata condannata per aver falsamente dichiarato di risiedere in Italia da dieci anni per ottenere il reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione, recependo una sentenza della Corte Costituzionale che ha ridotto il requisito di residenza a cinque anni, ha parzialmente annullato la condanna. Il reato sussiste solo per le dichiarazioni mendaci rese prima del raggiungimento della soglia dei cinque anni, con conseguente rideterminazione della pena.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Reddito di cittadinanza: la Cassazione sul requisito di residenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 23452/2025) interviene su un tema di grande attualità: il reddito di cittadinanza e le conseguenze penali per le false dichiarazioni. La pronuncia è fondamentale perché si inserisce in un dibattito giuridico complesso, influenzato da due decisioni cruciali della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Costituzionale, che hanno ridisegnato i contorni del requisito di residenza per accedere al beneficio.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una cittadina condannata in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 7, comma 2, del d.l. 4/2019. L’accusa era di aver falsamente attestato, al momento della richiesta del reddito di cittadinanza, di risiedere in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la sussistenza del reato e la valutazione delle prove.

Il requisito di residenza per il reddito di cittadinanza: un quadro complesso

Per comprendere la decisione della Cassazione, è necessario analizzare il contesto normativo e giurisprudenziale. Il requisito della residenza decennale è stato oggetto di due importanti pronunce:

La Sentenza della Corte di Giustizia Europea (CGUE)

La CGUE (sentenza 29 luglio 2024) ha stabilito che il requisito di residenza di dieci anni è contrario al diritto dell’Unione. Secondo la Corte europea, il reddito di cittadinanza rientra tra le ‘prestazioni sociali’ e, pertanto, subordinarne l’accesso a un periodo di residenza così lungo crea una discriminazione ingiustificata nei confronti dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.

La Sentenza della Corte Costituzionale

Poco dopo, la Corte Costituzionale italiana (sentenza n. 31/2025) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del requisito dei dieci anni, riducendolo a cinque. Tuttavia, la Consulta si è discostata dalla CGUE su un punto fondamentale: ha negato che il reddito di cittadinanza sia una mera misura di assistenza sociale. Lo ha definito, invece, uno strumento complesso di inclusione attiva, che mira a reintegrare le persone nel tessuto sociale e lavorativo. Questa natura peculiare, secondo la Corte, giustifica l’esistenza di un requisito di residenza (seppur ridotto a cinque anni) che attesti un ‘radicamento territoriale’ del richiedente.

La Decisione della Corte di Cassazione e le Motivazioni

La Corte di Cassazione, trovandosi di fronte a queste due diverse interpretazioni, ha scelto di aderire all’impostazione della Corte Costituzionale. Ha ritenuto che la qualificazione del reddito di cittadinanza come strumento di inclusione attiva sia più corretta e costituzionalmente orientata. Di conseguenza, il reato di falsa dichiarazione sul requisito di residenza non viene meno, ma il suo perimetro viene rimodellato dalla sentenza della Consulta.

La Cassazione ha operato una distinzione cruciale basata sul momento in cui sono state rese le dichiarazioni dall’imputata:

1. Dichiarazione resa prima di maturare 5 anni di residenza: Questa condotta rimane penalmente rilevante. L’imputata, avendo dichiarato il falso rispetto al nuovo requisito di cinque anni, ha commesso il reato.
2. Dichiarazione resa dopo aver maturato 5 anni di residenza: Questa condotta, sebbene falsa rispetto al vecchio requisito dei dieci anni, non costituisce più reato. Per effetto retroattivo della sentenza della Corte Costituzionale, al momento della dichiarazione la richiedente possedeva il requisito di legge (cinque anni). Pertanto, per questa parte, la sentenza di condanna è stata annullata ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione chiarisce un punto fondamentale: la riduzione del requisito di residenza per il reddito di cittadinanza da dieci a cinque anni, operata dalla Corte Costituzionale, ha un impatto diretto sulla rilevanza penale delle false dichiarazioni. Mentire sul requisito di residenza resta un reato, ma il parametro di riferimento è ora il quinquennio. La decisione mostra come l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale possa modificare retroattivamente la portata di una norma incriminatrice, escludendo la punibilità per fatti che, alla luce del nuovo assetto normativo, non integrano più una violazione di legge. La pena dell’imputata è stata quindi rideterminata tenendo conto solo della condotta ancora penalmente rilevante.

Dichiarare falsamente di risiedere in Italia da 10 anni per ottenere il reddito di cittadinanza è ancora reato?
Sì, ma il presupposto è cambiato. In seguito alla sentenza della Corte Costituzionale, il requisito di residenza è stato ridotto a 5 anni. Pertanto, commette reato chi dichiara falsamente di possedere tale requisito quinquennale, non più quello decennale.

Perché la Cassazione ha annullato parzialmente la condanna?
La Corte ha annullato la condanna per la dichiarazione resa quando l’imputata aveva già maturato i 5 anni di residenza richiesti dalla nuova normativa. Poiché la sentenza della Corte Costituzionale ha effetto retroattivo, quella specifica dichiarazione non integrava più un reato. La condanna è rimasta valida solo per la dichiarazione resa prima del raggiungimento dei 5 anni di residenza.

Qual è la differenza tra la visione della Corte di Giustizia UE e quella della Corte Costituzionale sul reddito di cittadinanza?
La Corte di Giustizia UE lo considera una ‘prestazione sociale’, e per questo ritiene il requisito di residenza prolungato una discriminazione. La Corte Costituzionale italiana, invece, lo definisce una ‘misura complessa di inclusione sociale e lavorativa’, la cui natura giustifica un requisito di radicamento territoriale, purché proporzionato (come quello di 5 anni).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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