Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5151 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 5151  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME NOME, nata in Brasile il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 14-04-2023 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso. letta la memoria di replica trasmessa dall’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia dell’imputata, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso. 
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 febbraio 2022, il G.U.P. del Tribunale di Milano condannava NOME alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 10 e giorni 20 di reclusione, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui all’art. 7, comma 1 ‘del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito dalla legge n. 26 del 2019, reato a lei ascritto perché, al fine di percepire il reddito di cittadinanza, ometteva di indicare informazioni dovute circa le attività lavorative esercitate, omettendo in particolare di dichiarare, nella domanda volta al conseguimento del beneficio, l’attività lavorativa svolta negli anni 2018-2019 presso il bar “RAGIONE_SOCIALE; fatto commesso in Arluno il 23 giugno 2019.
Con sentenza del 14 aprile 2023, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, concedeva all’imputata il beneficio della non menzione della condanna, confermando nel resto la decisione del G.U.P.
Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, NOME, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con il quale la difesa deduce l’inosservanza degli art. 2 cod. pen. e 7, comma 1 ,del decreto-legge n. 4 del 2019, evidenziando che, con la legge di bilancio 2023 (art. 1, comma 318, della legge n. 197 del 29 dicembre 2022) è stata disposta, a decorrere dal 1° gennaio 2024, l’abolizione del reddito di cittadinanza e dei reati a esso connessi, incluso quello ascritto alla ricorrente. La legge di bilancio è entrata in vigore il 10 gennaio 2023, sebbene l’effetto abrogativo della norma abrogatrice sia stato differito al 10 gennaio 2024. Successivamente alla sentenza della Corte di appello, ossia il 4 maggio 2023, il legislatore, con il decreto-legge n. 48 del 2023, ha previsto, con l’art. 13 comma 3, che continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatt commessi fino al 31 dicembre 2023, trattandosi evidentemente di una nuova incriminazione non applicabile retroattivamente ex art. 2, comma 1, cod. pen., dovendo la legge di bilancio essere considerata una legge abolitrice intermedia
applicabile pur dopo la reintroduzione della norma penale abrogata.
Con memoria trasmessa il 20 ottobre 2023, il difensore di fiducia della ricorrente, nel replicare alla requisitoria del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, ribadendone le argomentazioni e osservando che, nella vicenda in esame, si è in presenza non di una scelta ripristinatoria di una fattispecie abrogata ma, al contrario, della sostituzione di una misura assistenziale e dell’abrogazione delle fattispecie delittuose ad essa connesse; si è inoltre rilevato che l’eventuale e invero discutibile applicazione dell’art. 316-te cod. pen. al caso di specie implicherebbe una radicale rivalutazione della pena. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Premesso che non è contestato né il giudizio sulla configurabilità del reato contestato dal punto di vista oggettivo, né quello sulla sua ascrivibilità alla ricorrente, deve rilevarsi che le doglianze difensive circa la sopravvenuta perdita di efficacia della norma incriminatrice non possono trovare accoglimento.
Al riguardo occorre evidenziare che la legge di bilancio 2023 (legge n. 197 del PEAÀ.4…cles,q £4 . Artit 2022) ha previsto, all’art. 1, comma 318, l’abolizioneY0Preddito di cittadinanza e delle norme connesse previste dagli art. da 1 a 13 del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito dalla legge n. 26 del 2019, con effetto dal 10   gennaio 2024.
Deve aggiungersi che, in seguito, è intervenuto il decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 (convertito dalla legge n. 153 del 3 luglio 2023), il cui art. 13, comma 3, ha previsto espressamente che continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del decreto-legge n. 4 del 2019, vigenti alla data in cui i beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023.
Ciò posto, deve escludersi che si sia realizzato un effetto abrogativo della norma incriminatrice, atteso che non vi è stata una fase in cui l’art. 7 del decreto legge n. 4 del 2019 è stato abolito, essendo stata differita nel tempo l’abrogazione che, al momento della sentenza impugnata (14 aprile 2023), non era ancora avvenuta, essendo stata in quel momento posticipata al 10   gennaio 2024.
Legittimamente, quindi, la Corte di appello ha respinto la richiesta di assoluzione dell’imputata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, non essendo in quel momento venuta meno l’efficacia della norma incriminatrice, rispetto alla quale poi il cdAlecreto lavoro 4 (ossia il richiamato decreto-legge n. 48 del 4 maggio 2023) ha sancito, ben prima che si realizzasse l’effetto abrogativo, la persistente applicabilità della fattispecie di cui al citato art. 7 fatti commessi fino al 31 dicembre 2023, per cui la rilevanza penale della condotta illecita per cui si procede non ha conosciuto soluzioni di continuità.
In tal senso, come correttamente osservato dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, l’odierna vicenda riecheggia quella relativa ai reati in materia di sicurezza alimentare (previsti, tra le altre, dalla legge n. 283 del 1962), per i quali l’art. 18 del d. n. 27 del 2 febbraio 2021 aveva stabilito una serie di abrogazioni, ma, poco prima dell’entrata in vigore di tale provvedimento, è stato emanato il decreto legge n. 42 del 22 marzo 2021, il cui art. 1 ha “ripristinato” alcuni dei reati destinati all’abrogazione dall’art. 18 del d. Igs. n. 27 del 2021. E, in relazione a tale situazione, si è affermato, in modo condivisibile, che l’abrogazione della fattispecie incriminatrice era stata superata da una previsione di segno contrario entrata in vigore prima dell’altra (Sez. 3, n. 34395 del 16/06/2021, Rv. 282365).
Nel caso di specie, peraltro, la scelta “ripristinatoria” della fattispecie intervenuta molti mesi prima dell’entrata in vigore della norma abrogatrice, il che a maggior ragione corrobora la tesi della persistente efficacia penale delle condotte illecite poste in essere sino alla data ultima del 31 dicembre 2023. Ciò rende peraltro non attuale l’ulteriore problematica circa l’eventuale configurabilìtà della fattispecie residuale di cui all’art. 316-ter cod. pen., trovand applicazione nella vicenda in esame, risalente al giugno 2019, la contestata e più grave previsione criminosa prevista dall’art. 7 del decreto-legge n. 4 del 2019.
In conclusione, stante l’infondatezza della doglianza sollevata, il ricorso proposto nell’interesse della COGNOME deve essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del , procedimentopenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone infine che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
1
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/10/2023