Reddito di Cittadinanza e Partita IVA: La Cassazione sulla Omessa Comunicazione
L’accesso ai benefici statali come il reddito di cittadinanza è subordinato a requisiti stringenti, tra cui la massima trasparenza sulla propria situazione reddituale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità delle conseguenze per chiunque tenti di aggirare le regole. Il caso analizzato riguarda una condanna per omessa comunicazione reddito di cittadinanza, confermata nei confronti di un’imprenditrice che aveva nascosto la titolarità di una partita IVA e la relativa attività commerciale. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale: l’esperienza professionale e la consapevolezza delle proprie attività economiche rendono indifendibile la tesi dell’errore o della dimenticanza.
I Fatti del Caso: La Dichiarazione Omessa
Una cittadina, titolare di partita IVA e attiva nel settore della compravendita di autovetture usate da circa dieci anni, presentava all’INPS un’istanza per ottenere il reddito di cittadinanza. Nella dichiarazione sostitutiva unica (DSU), allegava i documenti relativi al proprio nucleo familiare ma dichiarava un reddito complessivo pari a zero, omettendo di menzionare la propria attività imprenditoriale.
Le indagini della Guardia di Finanza, tramite la consultazione delle banche dati ACI-PRA, hanno invece rivelato una realtà ben diversa. Negli anni precedenti alla richiesta, la donna aveva comprato e venduto numerosi veicoli, generando un guadagno netto di quasi 8.000 euro in un solo anno e dichiarando redditi, seppur minimi, in un altro. Nonostante ciò, ha percepito il sussidio per un intero anno, dal marzo 2020 al febbraio 2021, per un importo totale di 15.360 euro.
I Motivi del Ricorso: Tra Dolo e Lieve Entità
In sua difesa, la ricorrente ha presentato ricorso in Cassazione basato su diversi motivi:
* Insussistenza del dolo: Sosteneva di aver agito in buona fede, rappresentando all’operatore del CAF la sua situazione, inclusa la titolarità della partita IVA.
* Causa di non punibilità: Invocava l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. per la particolare tenuità del fatto.
* Attenuanti: Chiedeva il riconoscimento dell’attenuante del danno di lieve entità.
* Vizio di motivazione: Contestava la congruità del trattamento sanzionatorio applicato.
L’Analisi della Corte sull’Omessa Comunicazione del Reddito di Cittadinanza
La Corte di Cassazione ha rigettato tutte le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato come la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello fosse precisa, logica e ben motivata. La tesi difensiva secondo cui l’imputata non avesse compreso la necessità di dichiarare la partita IVA è stata ritenuta “non credibile”. Secondo la Corte, un’imprenditrice residente in Italia e operante nel settore da quasi un decennio non può ragionevolmente ignorare un obbligo dichiarativo così fondamentale.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte Suprema ha ritenuto che le conclusioni dei giudici di merito fossero giuridicamente corrette e immuni da censure. Il dolo, ovvero l’intenzione di commettere il reato, è stato chiaramente desunto dalla condotta dell’imputata: l’omissione consapevole di un dato cruciale per la valutazione del diritto al beneficio.
Inoltre, è stata esclusa la possibilità di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.). L’importo indebitamente percepito, pari a 15.360 euro, è stato considerato tutt’altro che esiguo, rendendo il fatto offensivo e meritevole di sanzione. Allo stesso modo, non è stata concessa l’attenuante del danno di lieve entità, proprio in ragione del significativo pregiudizio economico arrecato allo Stato.
Infine, la Corte ha confermato la congruità della pena, evidenziando come la condotta della ricorrente denotasse un’assenza di resipiscenza e una “capacità criminale non minimale”, ostative anche alla concessione di altri benefici.
Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza
Questa ordinanza della Cassazione invia un messaggio inequivocabile: la richiesta di sussidi pubblici impone un dovere di correttezza e trasparenza assoluta. La titolarità di una partita IVA, anche se non produce redditi elevati, è un’informazione essenziale che deve essere sempre comunicata. La giustificazione dell’ignoranza o dell’errore difficilmente può trovare accoglimento in tribunale, specialmente per soggetti che, per la loro professione, dovrebbero avere una conoscenza di base degli obblighi fiscali e dichiarativi. La decisione ribadisce che l’omessa comunicazione integra pienamente il reato previsto dalla legge, portando a conseguenze penali significative, oltre all’obbligo di restituire le somme indebitamente percepite.
Avere una partita IVA esclude automaticamente dal diritto al reddito di cittadinanza?
La sentenza non afferma questo in modo diretto. Il reato contestato non è il possesso della partita IVA in sé, ma l’omessa comunicazione di tale status e dei redditi (anche potenziali) ad essa collegati al momento della richiesta del beneficio.
È possibile difendersi sostenendo di essersi affidati a un CAF e di non aver compreso gli obblighi dichiarativi?
No. La Corte ha ritenuto tale difesa non credibile per un’imprenditrice con anni di esperienza. La responsabilità della correttezza della dichiarazione ricade in ultima istanza sul dichiarante, che non può invocare la propria ignoranza, soprattutto se opera in un contesto commerciale.
Un importo percepito indebitamente di circa 15.000 euro può essere considerato un fatto di ‘particolare tenuità’ non punibile?
No. Secondo la Cassazione, una somma di 15.360 euro non è di lieve entità. Pertanto, non è possibile applicare la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis del codice penale, in quanto il danno economico per lo Stato è considerato rilevante.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7286 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7286 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 29/10/1988
avverso la sentenza del 21/03/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso sentenza di condanna per il reato di cui all’art. D.L. 4 del 2019 in relazione all’omessa o falsa comunicazione di informazioni relative al reddi personale, non avendo indicato alcun reddito da lavoro autonomo, pur essendo titolare di una partita IVA, deducendo, con il primo motivo di ricorso, l’insussistenza del dolo e la inoffens del fatto ai sensi dell’art 49 cod. pen.; con il secondo motivo di ricorso, deduce manc riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.; con il terzo m di ricorso, omesso riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 61 1 n.4, cod. pen.; con il quarto motivo di ricorso, vizio della motivazione in ordine al trattamento sanzionato con l’ultimo motivo di ricorso, violazione dell’art. 175 cod. pen.
Tuttavia, gli agenti della Guardia di finanza hanno verificato, mediante la consultazione de banca dati dell’ACI- PRA, che la ricorrente negli anni precedenti (dal 2017) in quanto titolare una partita iva ed operante nel settore del commercio delle autovetture usate aveva venduto ed acquistato diversi autoveicoli. Acquisti che risultano effettuati anche nel 2020. La ricorren era rivolta nel gennaio 2020 ad un caf, e aveva presentato la dichiarazione sostitutiva unic senza inserire i dati relativi alla partita IVA, di cui era ancora titolare. In ordine all’ele dolo, il giudice ha ritenuto non credibile la tesi difensiva secondo cui aveva rappresentato operatore del caf la titolarità di una partita IVA allegando tutta la documentazione fiscale in possesso, non ritenendo credibile che un’imprenditrice residente in Italia e operante nel setto della compravendita delle auto da circa 10 anni non potesse comprendere la necessità di dichiarare la sussistenza di una partita iva agli operatori del caf, , considerato anche che la donna
Le doglianze non rientrano nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cogn del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, dalle caden motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei fatti precis circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive e essendo pervenuti alle loro conclusioni, in punto di responsabilità, attraverso una disamin completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il profi della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in ter contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come si desu dalle considerazioni formulate dal giudice a quo, laddove ha affermato che la ricorrente, in da 07/02/2020, aveva presentato l’INPS istanza di reddito di cittadinanza allegando documenti personali e relativi al proprio nucleo familiare e dichiarando un reddito complessivo pari a ze sebbene nel 2019 avesse presentato una dichiarazione dei redditi dichiarando un reddito pari a euro 1247 e nel 2018 aveva compravenduto 23 autovetture con un guadagno di euro 7.979. Pertanto, l’imputata ha percepito l’assegno per il periodo che va dal marzo 2020 al febbraio 2021 per l’importo complessivo di euro 15.360. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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ha dichiarato di non aver alcun reddito da lavoro autonomo e di non aver percepito alcun reddito nel 2018 sebbene rispetto a tale annualità risulta che abbia compravenduto ben 23 autovetture con un guadagno netto di euro 7979.
Il giudice altresì ha ritenuto che il fatto non sia di minima gravità e quindi di non conc l’attenuante del danno di lieve entità di cui all’art. 62 1 n.4, cod. pen. in ragione degli importi indebitamente percepiti sine titulo pari ad euro 15.000. Parimenti non si configura la causa non punibilità di cui all’art.131 bis cod. pen., nonostante incensuratezza della ricorrent ragione degli importi indebitamente percepiti.
Anche le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio son insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione esente da vizi logico-giuridici. caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è senz’altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fatto riferimento all’assenza di qualunque resipiscenza da parte de ricorrente sintomatica di una capacità criminale non minimale ostativet alla concessione de beneficio di cui all’art. 175 cod. pen.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente a pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Il Consigliere estensore
Così deciso in Roma, il 17/01/2025
Il Presidente