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Reddito di cittadinanza: l’omissione è frode aggravata

La Cassazione Penale conferma la condanna per frode aggravata e false dichiarazioni a un soggetto che ha omesso di comunicare una precedente condanna penale per ottenere il reddito di cittadinanza. La Corte ha stabilito che l’ignoranza della legge non è una scusa valida e che il silenzio su informazioni dovute per legge costituisce un inganno punibile, finalizzato a ottenere un beneficio non spettante.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Reddito di Cittadinanza: Omettere Condanne è Frode Aggravata

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per chi richiede il reddito di cittadinanza: l’omissione di informazioni rilevanti, come precedenti condanne penali, non è una semplice dimenticanza, ma integra i reati di falsa dichiarazione e frode aggravata. Questa pronuncia chiarisce che il silenzio, quando si ha l’obbligo di parlare, diventa un inganno penalmente rilevante e che l’ignoranza della legge non può essere usata come scudo.

I Fatti del Caso: La Domanda per il Reddito di Cittadinanza

Il caso riguarda un cittadino condannato in primo e secondo grado per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza. L’imputato aveva presentato la domanda omettendo di dichiarare una condanna definitiva, intervenuta nei dieci anni precedenti, per un reato ostativo. Nello specifico, la normativa (d.l. n. 4/2019) prevede, tra i requisiti per accedere al beneficio, l’assenza di determinate condanne definitive.

La difesa dell’imputato sosteneva che, al momento della prima richiesta, la norma che introduceva questo specifico requisito non era ancora in vigore e che, per la seconda domanda, l’errore fosse scusabile a causa della rapida evoluzione normativa. Si contestava inoltre che il semplice silenzio potesse costituire un “artificio o raggiro” tipico del reato di truffa.

La Decisione della Cassazione sul Reddito di Cittadinanza

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo inammissibile e confermando le condanne precedenti. I giudici hanno affrontato e smontato punto per punto le argomentazioni difensive, consolidando l’orientamento giurisprudenziale in materia.

L’Ignoranza della Legge non Scusa

Il primo punto cruciale riguarda l’elemento soggettivo del reato. La difesa aveva invocato l’ignoranza inevitabile della legge penale (art. 5 c.p.). La Corte ha respinto questa tesi, affermando che l’errore sui requisiti per ottenere il reddito di cittadinanza è un errore sulla legge penale, che di norma non scusa. Secondo i giudici, la normativa in questione non presentava particolari complessità o “cripticità” tali da rendere l’ignoranza inevitabile. Il cittadino che richiede un beneficio pubblico ha il dovere di informarsi sui requisiti necessari.

Il Silenzio come Inganno: Gli Artifici e Raggiri

Per quanto riguarda l’accusa di frode aggravata (art. 640-bis c.p.), la Corte ha chiarito che gli “artifici e raggiri” non consistono solo in azioni positive, come la produzione di documenti falsi. Anche un silenzio “maliziosamente serbato” su circostanze che si ha l’obbligo giuridico di comunicare costituisce un comportamento ingannevole. In questo caso, l’obbligo di dichiarare le condanne era previsto espressamente dalla legge. Tacere su questo punto non è stata una mera inerzia, ma un comportamento “eloquente” e attivo, finalizzato a indurre in errore l’ente erogatore per ottenere un beneficio non dovuto.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando che la condotta dell’imputato integrava pienamente sia il dolo specifico del reato, ovvero la precisa intenzione di ottenere un profitto ingiusto, sia gli elementi oggettivi della truffa. La discrasia tra la realtà (la presenza di una condanna) e quanto dichiarato (l’assenza della stessa) è stata una scelta consapevole e reticente. Questo silenzio, unito alla presentazione della domanda, ha trasformato una semplice omissione in una condotta fraudolenta. Citando precedenti sentenze, la Cassazione ha ribadito che il silenzio diventa raggiro quando viola un obbligo di informazione imposto dalla legge, poiché l’agente preordina artificiosamente il proprio comportamento per perpetrare l’inganno.

Infine, la Corte ha confermato anche la correttezza della decisione dei giudici di merito nel non concedere le attenuanti generiche e nel considerare la recidiva, data la continuità dei delitti commessi e i plurimi precedenti penali dell’imputato, che denotavano una sua accresciuta pericolosità sociale.

Le Conclusioni

Questa sentenza invia un messaggio chiaro: la richiesta di benefici statali come il reddito di cittadinanza impone un dovere di correttezza e trasparenza. L’omissione di informazioni che la legge richiede di dichiarare non è una leggerezza, ma un reato grave che può portare a una condanna per frode aggravata. La responsabilità di conoscere i requisiti ricade sul richiedente, e l’argomento dell’ignoranza della legge raramente trova accoglimento nei tribunali, specialmente quando la normativa è accessibile e chiara. Il silenzio, in questi contesti, non è d’oro, ma può costare una condanna penale.

Omettere una condanna penale nella domanda per il reddito di cittadinanza è reato?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che tale omissione integra sia il reato di false dichiarazioni finalizzate a ottenere il beneficio (art. 7, d.l. n. 4/2019), sia quello di frode aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.).

Posso giustificarmi sostenendo di non conoscere la legge che impone di dichiarare le condanne?
No. Secondo la Corte, l’ignoranza dei requisiti previsti dalla legge per accedere al reddito di cittadinanza costituisce un errore sulla legge penale, che non è scusabile ai sensi dell’art. 5 del codice penale, a meno che non si dimostri che tale ignoranza sia stata inevitabile, circostanza non ravvisata nel caso di specie.

Il semplice silenzio su un’informazione richiesta è sufficiente per configurare una truffa?
Sì. Quando esiste un obbligo giuridico di fornire una determinata informazione, il silenzio maliziosamente tenuto su di essa non è considerato una mera passività, ma un comportamento attivo e ingannevole (‘raggirante’), sufficiente a costituire gli ‘artifici e raggiri’ richiesti per il reato di truffa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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