Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27142 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27142 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il 31/03/1973
avverso la sentenza del 29/10/2024 della CORTE di APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 29 ottobre 2024 la Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza emessa il 29 giugno 2022 dal Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Palermo, con la quale NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole dei reati di cui agli artt. 7, comma 1, del d.l. n. 4/2019, convertito nella legge n. 26/2019, e 640-bis cod. pen. e condannato alle pene di legge.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando quattro motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, avuto riguardo all’incidenza della ignoranza inevitabile della legge penale, ex art. 5 cod. pen.
Assumeva, in particolare, che l’imputato aveva presentato la prima richiesta del reddito di cittadinanza in data antecedente all’entrata in vigore (30 marzo 2019) della legge n. 26/2019 di conversione del dl. n. 4/2019, che aveva introdotto la lettera c-bis al comma 1 dell’art. 2, che prevedeva, ai fini dell’accoglimento della domanda, l’ulteriore requisito della mancanza di condanne definitive intervenute nei dieci anni antecedenti alla richiesta.
Assumeva che, in ragione di ciò, il COGNOME non aveva omesso di rendere informazioni dovute in quanto non era tenuto a dichiarare di aver subito una condanna definitiva nei dieci anni antecedenti alla richiesta.
Quanto alla seconda domanda, presentata in data 1 ottobre 2025, la difesa invocava la carenza di dolo in ragione della incolpevole ignoranza della legge penale, avuto riguardo alla disomogeneità del quadro normativo nel breve lasso di tempo in questione.
Con il secondo motivo deduceva violazione degli artt. 7 del d.l. n. 4/2019 convertito nella legge n. 26/2019, 42 e 43 cod. pen., nonché vizio di motivazione in relazione alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato assumendo che non vi era prova del fatto che l’intenzione dell’imputato fosse quella di ottenere, attraverso la falsa dichiarazione, un beneficio non dovuto.
Con il terzo motivo deduceva vizio di motivazione in relazione all’art. 640-bis cod. pen. con particolare riguardo alla ritenuta sussistenza degli artifici e raggiri caratterizzanti il delitto di truffa, non potendo costituire un artificio o un raggiro il mero silenzio dovuto all’assenza di una piena consapevolezza del mutato assetto normativo, considerato anche che l’omissione nella dichiarazione era facilmente accertabile.
Con il quarto motivo deduceva vizio di motivazione in relazione all’esclusione della recidiva e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo alle peculiarità del mutamento normativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi tre motivi devono essere trattati congiuntamente in quanto involgono le medesime questioni.
Questa sezione ha avuto modo di pronunciarsi recentemente sull’argomento dedotto con il ricorso, affermando che, in tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall’art. 2 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l. (v., in t senso, Sez. 2, n. 23265 del 07/05/2024, COGNOME, Rv. 286413 – 01; in motivazione, la Corte ha aggiunto che non ricorre neanche un caso di inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, non presentando la normativa in tema di concessione del reddito di cittadinanza connotati di cripticità tali da far ritenere l’oscurità del precetto).
Quanto alla sussistenza dell’elemento degli artifici o raggiri del delitto di truffa e dell’elemento soggettivo dei reati contestati la Corte territoriale ha reso una motivazione immune da vizi, osservando congruamente che “nel caso di specie viene in rilievo, unitamente alla discrasia tra la realtà e la dichiarazione … e alla reticenza volta ad indurre in errore l’ente pubblico erogatore l’elemento ulteriore ed aggiuntivo dell’assenza dei requisiti sostanziali per il riconoscimento del reddito di cittadinanza, sicché il dolo specifico, in tal caso, assume il compito di restringere l’area della penale rilevanza alle solcondotte finalizzate all’ottenimento di un beneficio altrimenti non dovuto … alla luce delle stesse modalità del fatto e delle condotte poste in essere dall’imputato deve ritenersi sussistente l’elemento psicologico tanto del reato di cui all’art. 7 d.l. 4/19, quanto del delitto di cui all’art. 640 bis c.p., avendo l’imputato omesso di riportare informazioni dovute – qual è l’aver riportato condanna in via definitiva, nel decennio antecedente, per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. – in spregio agli obblighi informativi e ai requisiti all’uopo richiesti dalle legge, il c adempimento gli avrebbe impedito di beneficiare del reddito di cittadinanza, così oggetto di indebita e fraudolenta percezione” (v. pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata).
Come si vede, la Corte di merito ha illustrato in maniera precisa e completa le ragioni di fatto poste a base della decisione e da esse ha tratto conseguenze del tutto logiche in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati.
Quanto, poi, alla sussistenza degli artifici o raggiri del reato di truffa, deve essere richiamato il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, condiviso da questo Collegio, secondo il quale configura il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato la condotta del medico ospedaliero, autorizzato all’espletamento di attività sanitaria “intra moenia” presso uno studio privato, il quale ometta di comunicare all’ente pubblico lo svolgimento di attività presso una struttura diversa da quella autorizzata (nella specie, clinica privata della quale è socio), così da indurre la struttura ospedaliera a corrispondergli lo stipendio maggiorato dell’indennità di esclusiva, o, ancora, ometta di rendicontare le somme percepite per l’attività intramurale autorizzata, così percependo l’intero compenso corrisposto dai pazienti, piuttosto che una quota percentuale di esso (v., ex multis, Sez. 5 , Sentenza n. 15887 del 09/01/2025, COGNOME, Rv. 287979 – 04; in motivazione, la Corte ha affermato che tacere su determinate circostanze non costituisce una mera “inerzia”, ma, al contrario, con il concorso di altre condotte attive, acquisisce un significato “eloquente” che trasforma il silenzio in un comportamento attivo raggirante. V. anche, nello stesso senso, Sez. 2, Sentenza n. 23079 del 09/05/2018, COGNOME, Rv. 272981 – 01, secondo cui gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa possono consistere anche nel semplice silenzio maliziosamente serbato, su circostanze fondamentali ai fini della conclusione di un contratto, da chi abbia l’obbligo, anche in forza di una norma extra penale, di farle conoscere in quanto il comportamento dell’agente in tal caso non può ritenersi meramente passivo, ma artificiosamente preordinato a perpetrare l’inganno e a non consentire alla persona offesa di autodeterminarsi liberamente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso di specie, come sopra osservato, la Corte d’Appello, con congrua motivazione, ha ritenuto che il silenzio fosse stato serbato proprio al fine di ottenere un beneficio patrimoniale non dovuto.
È manifestamente infondato e pertanto, inammissibile,’anche il quarto motivo, dovendosi ritenere che la Corte territoriale abbia reso una motivazione immune da vizi anche in relazione alla mancata esclusione della recidiva – con l’espresso richiamo alla accresciuta pericolosità dell’imputato ritenuta in ragione della evidente continuità dei delitti commessi con il processo delinquenziale già avviato e dei plurimi precedenti penali, anche specifici – e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, con il congruo riferimento all’assenza di elementi positivamente valutabili per il COGNOME, alla sua
indole delittuosa, alla gravità della condotta e all’entità non esegua del danno cagionato e del profitto conseguito.
3. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 16/05/2025