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Reddito di cittadinanza: false dichiarazioni e residenza

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza. La sentenza chiarisce che, nonostante un intervento della Corte di Giustizia UE, prevale l’interpretazione della Corte Costituzionale italiana, che ha ridotto il requisito di residenza da 10 a 5 anni ma ha confermato la natura della misura come strumento di inclusione lavorativa e non mera assistenza. Poiché l’imputato non soddisfaceva neanche il requisito dei 5 anni, la sua dichiarazione mendace conserva piena rilevanza penale.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Reddito di Cittadinanza: La Cassazione Conferma il Reato per False Dichiarazioni sulla Residenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il complesso tema della rilevanza penale delle false dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza, alla luce di importanti interventi della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Costituzionale italiana. La decisione chiarisce che, nonostante le recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali, mentire sul requisito della residenza continua a costituire reato.

I Fatti del Caso: Una Dichiarazione Mendace

Il caso riguarda un cittadino straniero condannato per aver falsamente dichiarato, nella domanda per il reddito di cittadinanza, di possedere il requisito di residenza in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Le verifiche avevano invece dimostrato una presenza sul territorio nazionale frammentaria e insufficiente a integrare il requisito richiesto dalla legge.

Contro la condanna, confermata in appello, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. La presunta irrilevanza penale della falsa dichiarazione sulla residenza, alla luce di una sentenza della Corte di Giustizia UE.
2. La mancanza dell’elemento soggettivo del reato, a causa di difficoltà linguistiche e della complessità della normativa.
3. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Il Contesto Giuridico: Scontro tra Corti sul Reddito di Cittadinanza

Il cuore della questione risiede nel dialogo a distanza tra la Corte di Giustizia UE e la Corte Costituzionale italiana sulla natura del reddito di cittadinanza e, di conseguenza, sulla legittimità del requisito di residenza decennale.

La Posizione della Corte di Giustizia Europea

La CGUE, considerando il RdC come una misura di ‘assistenza sociale’, aveva stabilito che il requisito di residenza di 10 anni fosse incompatibile con il diritto dell’Unione, in quanto discriminatorio per i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, per i quali la normativa europea prevede un periodo di soggiorno di 5 anni per ottenere la parità di trattamento.

La Risposta della Corte Costituzionale Italiana

La Consulta, con una successiva e fondamentale sentenza, ha preso le distanze da questa interpretazione. Ha ribadito che il reddito di cittadinanza non è una mera prestazione assistenziale, ma una misura complessa finalizzata all’inclusione sociale e alla reintegrazione nel mercato del lavoro. Questa natura ‘attiva’ giustifica requisiti più stringenti. Pur riconoscendo la sproporzione del requisito decennale, la Corte Costituzionale non lo ha eliminato, ma lo ha dichiarato illegittimo nella parte in cui superava i ‘5 anni’, ritenendo questo un termine più congruo per dimostrare un effettivo radicamento sul territorio.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha aderito pienamente all’impostazione della Corte Costituzionale.

La Prevalenza dell’Interpretazione Nazionale

I giudici hanno sottolineato che la qualificazione giuridica di un istituto nazionale spetta agli organi giurisdizionali interni. Poiché la Corte Costituzionale ha definito il RdC come misura non meramente assistenziale, la sua disciplina, inclusa la rilevanza penale delle false dichiarazioni, rimane pienamente compatibile con l’ordinamento.

La Rilevanza Penale della Condotta dopo la Sentenza della Consulta

La conseguenza diretta è che, pur ridotto a 5 anni, il requisito della residenza rimane un elemento essenziale per l’accesso al beneficio. Nel caso specifico, è stato accertato che l’imputato non raggiungeva neanche la soglia dei 5 anni di residenza complessiva, né tantomeno quella dei 2 anni continuativi precedenti la domanda. La sua dichiarazione era quindi oggettivamente falsa e penalmente rilevante.

L’Irrilevanza dell’Errore sulla Legge

La Cassazione ha respinto anche la tesi della mancanza di dolo. L’errore sulla normativa che regola il reddito di cittadinanza è un errore sulla legge penale e non scusa, secondo l’art. 5 del codice penale. La normativa non è stata ritenuta così oscura da rendere l’errore inevitabile. Chi richiede un beneficio ha l’onere di informarsi e verificare il possesso dei requisiti richiesti.

Esclusa la Particolare Tenuità del Fatto

Infine, è stata confermata la decisione dei giudici di merito di non applicare l’art. 131-bis c.p. (non punibilità per particolare tenuità del fatto). L’importo indebitamente percepito (oltre duemila euro) è stato considerato significativo e ostativo al riconoscimento della causa di non punibilità.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: dichiarare il falso per ottenere il reddito di cittadinanza è e resta un reato. La riduzione del requisito di residenza da 10 a 5 anni ad opera della Corte Costituzionale non ha depenalizzato la condotta. Chi presenta la domanda ha il dovere di dichiarare il vero, e l’eventuale errore sulla comprensione della legge non costituisce una valida giustificazione. La pronuncia ribadisce la natura del beneficio come patto tra Stato e cittadino, basato su requisiti precisi e sulla lealtà delle dichiarazioni.

Dopo le sentenze della Corte di Giustizia UE e della Corte Costituzionale, è ancora reato dichiarare il falso sulla residenza per ottenere il reddito di cittadinanza?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la falsa dichiarazione sul requisito di residenza, anche dopo che la Corte Costituzionale lo ha ridotto da 10 a 5 anni, continua a integrare il reato previsto dalla legge istitutiva del beneficio.

Il requisito di residenza di 10 anni per il reddito di cittadinanza è ancora valido?
No. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 31 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del requisito di 10 anni, riducendolo a 5 anni, in quanto termine più proporzionato per dimostrare un effettivo radicamento sul territorio.

L’ignoranza della legge o le difficoltà linguistiche possono giustificare una falsa dichiarazione per il reddito di cittadinanza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’errore sulla normativa che regola i requisiti del beneficio si risolve in un errore sulla legge penale che, ai sensi dell’art. 5 del codice penale, non esclude il dolo. Chi richiede il beneficio ha l’onere di verificare il possesso dei requisiti prima di presentare la dichiarazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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