Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26972 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26972 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Casoria il 14/01/1978
avverso la sentenza del 23/09/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, H provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria redatta ai sensi deil’arL 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. Pubblico Ministero, in persona del Scstituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo ‘inammissibilità dei ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Napoli Nord, la Corte di appello di Napoli, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha ridotto a un anno e quattro mesi la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME nel resto confermando la pronuncia impugnata, la quale aveva affermato la penale responsabilità dell’imputata per il delitto di cui all’art. 7, comma 1, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4 convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, così riqualificato il fatto, originariamente contestato come violazione dell’art. 640-bis cod. pen.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputata, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, che deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. Espone il difensore che, da quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale, la ricorrente aveva diritto al beneficio, a tit personale e per i figli a carico, ad esclusione di NOME COGNOME sottoposto al vincolo cautelare; nel caso in esame, quindi, in capo alla ricorrente sussistevano i requisiti per ottenere il reddito di cittadinanza, anche se in misura minore, sicché l’omessa dichiarazione dello stato di custodia cautelare del figlio NOME integra non l’ipotesi del comma 1, bensì la meno grave figura criminosa di cui al comma 2 dell’art. 7 d.l. n. 4 del 2019.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
La tesi patrocinata dal difensore – secondo cui l’omessa indicazione dello stato di detenzione del figlio integrerebbe la meno grave figura delittuosa di cui all’art. 7, comma 2, d.l. n. 4 del 2019, in quanto la ricorrente possedeva comunque i requisiti per godere del beneficio, seppure in misura inferiore oblitera totalmente l’indirizzo assunto dalle Sezioni Unite dal 2023 – e quindi in epoca precedente alla sentenza impugnata, e, conseguentemente, anche al ricorso – secondo cui integrano il delitto di cui all’art. 7 d.!. 28 gennaio 2019, n 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio
non spettante ovvero – ed è ciò che qui rileva – spettante in misura superiore a quella di legge (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, Rv. 285435 – 01).
In quella decisione, dopo avere puntualmente ricostruito il quadro normativo di riferimento relativo all’accesso al reddito di cittadinanza, le Sezioni Unite hanno evidenziato la differente portata dei reati previsti dall’art. 7, commi 1 e 2: il primo punisce chi, al fine di ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero omette informazioni dovute; il secondo, invece, commina una pena meno severa nei confronti di chi, si badi, fruendo già del beneficio, non comunica le variazioni del reddito o del patrimonio (anche se provenienti da attività irregolari) e le altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o del riduzione del beneficio stesso nei termini previsti dall’art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11.
Le Sezioni Unite hanno perciò sottolineato che il reato previsto dal primo comma dell’art. 7 “sussiste anche quando l’agente agisce nella prospettiva di ottenere più del dovuto”, in quanto l’avverbio ‘indebitamente’ riveste “un contenuto più ampio, non limitato alla sola prospettiva di ottenere il beneficio senza averne diritto, ma anche a quella di ottenere il beneficio in misura maggiore del dovuto”.
Una conclusione del genere rende omogeneo il bene tutelato dalle due fattispecie di reato contemplate dall’art. 7: “le condotte ivi previste non costituiscono altro che modalità diverse di aggressione a tale unico bene in costanza della diversità del presupposto: la mancanza del beneficio (e la prospettiva di ottenerlo), nel primo caso; il suo godimento nel secondo”.
Nel solco chiaramente tracciato dalle Sezioni Unite, si è ribadito che integrano il reato di cui all’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019 anche le false indicazioni o le omissioni di informazioni dovute che consentano di conseguire un beneficio di importo maggiore di quello al quale si avrebbe avuto diritto (Sez. 3, n. 5440 del 13/01/2023, COGNOME, Rv. 284137 – 01).
In motivazione, la Corte ha chiarito che, essendo sanzionate dalla medesima norma anche le condotte del percettore del reddito di cittadinanza che ometta di comunicare informazioni dovute e rilevanti ai fini della riduzione del beneficio, deve ritenersi “indebitamente” ottenuto non solo il beneficio non spettante, ma anche quello erogato in misura maggiore rispetto al dovuto.
Una situazione del genere – peraltro nemmeno contestata dalla ricorrente, ossia l’omessa comunicazione di informazioni dovute e rilevanti ai fini della
riduzione del beneficio, erogato n misura maggiore rispetto al dovuto – è proprio quella accertata nel caso in esame; del tutto correttamente, dunque, in
applicazione dei principi dinanzi richiamati, i giudici di merito hanno ravvisato i presupposti integranti il delitto di cui al comma 1 dell’art. 7 d.l. n. 4 del 2019.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Costr sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 10/06/2025.