Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33335 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33335 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
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sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Olevano sul Tusciano (Sa) il DATA_NASCITA;
og gi, -7 SET 2e24
-ACAtte41-40,, avverso la 12MITEm n. 1180/23 della Corte di appello di Salerno del 4 luglio 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, del foro di Salerno, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunziata in data 4 luglio 2023 la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza con la quale, il precedente 13 dicembre 2022 il Tribunale di Salerno, in composizione monocratica, aveva dichiarato la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine al reato di cui agli artt. 2, lett c-bis, e 7, commi 1 e 3, del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, con legge n. 26 del 2019, per avere indicato, nella domanda volta al conseguimento del cosiddetto “reddito di cittadinanza”, dati non veritieri in ordine alla sua situazione economico-finanziaria; in particolare il COGNOME aveva omesso di indicare, quale soggetto facente parte del suo nucleo familiare, altro individuo percettore di reddito per un importo tale da non consentirgli l’accesso alla misura assistenziale di cui sopra; il Tribunale di Salerno lo avev pertanto, condannato alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso la sentenza emessa in sede di gravame ha interposto ricorso per cassazione il COGNOME, assistito dal suo difensore fiduciario, censurando l decisione assunta dalla Corte territoriale sotto il profilo sia della violazion legge che sotto quello del vizio di motivazione.
In particolare, il ricorrente si è doluto del fatto che la Corte territor avendo definito il reato contestato al COGNOME siccome caratterizzato dal dolo generico, ha fondato l’affermazione della esistenza di una comunione di interessi fra il ricorrente e l’altro soggetto percettore di reddito dall’impu non indicato in sede di richiesta di ottenimento del reddito di cittadinanz comunione di interessi tale da consentire l’affermazione della esistenza di un unico nucleo familiare, sul solo dato offerto dalla presenza di ambedue le persone in questione sullo “stato di famiglia” dell’imputato, trascurando qualsiasi valutazione sulla possibile esistenza di una situazione di errore s legge extrapenale nella quale potesse versare l’imputato.
Aggiungeva il ricorrente che la qualificazione di reato a dolo specifico da attribuirsi alla violazione penale ascritta all’imputato, faceva sì che l’err qualificazione operata dalla Corte di Salerno viziasse irrimediabilmente la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è risultato infondato e, pertanto, lo stesso deve esser rigettato.
Una prima valutazione si impone, sebbene la questione non abbia formato oggetto della impugnazione presentata dalla difesa dell’imputato; essa attiene alla incidenza che possa avere avuto sulla perdurante rilevanza penale, in linea astratta, della condotta ascritta al prevenuto, sebbene la norma incriminatrice cioè l’art. 7 del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito con modificazioni con legge n. 26 del 2019, sia stato oggetto di abrogazione espressa per effetto dell entrata in vigore dell’art. 1, comma 318, della legge n. 197 del 2022.
Osserva, infatti, il Collegio – in tale senso convergendo verso la soluzione per la quale anche la Corte di appello ha ritenuto di dovere optare – per u verso, che l’effetto abrogativo della disposizione sanzionatoria dianzi indicata stato, per espressa dizione normativa, collocato solo a decorrere dal 1 gennaio 2024, di tal che, sia al momento della commissione della condotta per cui è processo sia al momento della pronunzia delle due sentenze di merito per effetto della quali il COGNOME è stato condannato alla pena di giustizia disposizione da lui, in ipotesi, infranta era ancora pienamente in vigore ( ordine alla pena vigenza sino al 1 gennaio 2024 della disposizione incriminatrice di cui all’art. 7 del decreto legge n. 4 del 2019, convertito, con modificazio con legge n. 26 del 2019, si veda: Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 settembre 2023, n. 30205, rv 285140); né, per altro verso, una qualche incidenza ha sulla presente vicenda la circostanza che al momento attuale l’effetto abrogativo della disposizione legislativa sopravvenuta sia divenuto efficace; ciò in quanto deve considerarsi sia che, come questa Corte ha ritenuto, l’abrogazione, a far data dal 1 gennaio 2024, del delitto di cui all’art. 7 decreto legge n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, con legge n. 26 del 2019, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste p i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina derogato al principio di retroattività della lex mitior, altrimenti conseguente ex art. 2, comma secondo, cod. pen.; nè 9>’ tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, presenta profili di irragionevolezza, assicurand la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto c sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio (Corte di cassazione Sezione III penale, 21 febbraio 2014, n. 7541, rv 285964), sia che, in ogni caso la violazione ascritta all’imputato deve intendersi in rapporto di sostanziale continuità normativa con il reato previsto dall’art. 8 del decreto legge n. 48 d 2023, convertito, con modificazioni, con legge n. 85 del 2023, con il quale si è inteso, da una parte, introdurre, in sostituzione dell’abrogato “reddito cittadinanza”, altra misura, egualmente, di contrasto “alla povertà, alla fragil e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inseriment Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro”, denominata “assegno di inclusione”, e da altra parte, reprimere anche penalmente, la condotta di chi “al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico (disciplinato dalla legge ora in questione) rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute”.
Definito, pertanto, questo aspetto preliminare della vicenda, si rileva che le doglianze formulate dalla difesa del ricorrente sono non accoglibili.
Va, peraltro, rilevato che erra la Corte salernitana nell’affermare che il delitto attribuito al COGNOME sia un delitto a dolo generico; ed invero, non può non osservarsi che l’esame della fattispecie incriminatrice contestata al prevenuto, la quale prevede che costituisca reato la condotta di chi, fra l’altro, rende dichiarazioni false “al fine di ottenere indebitamente il beneficio” economico consistente, appunto, nella erogazione del “reddito di cittadinanza”, porta indubbiamente a ritenere che il reato in esame, prevedendo che la direzione della volontà dell’agente sia specificamente rivolta ad ottenere un risultato – l’indebito conseguimento del beneficio – che esula rispetto alla mera consapevolezza della condotta, sia un reato a dolo specifico.
Va, tuttavia, osservato che, al di là della opportuna correzione del solecismo in cui è incorsa la Corte territoriale di Salerno, la affermazione da questa fatta non ha avuto alcuna conseguenza sulla economia della decisione dalla medesima presa, posto che, la indiscussa ed esclusiva finalità cui era predisposta la istanza presentata dall’imputato, e nella quale egli ha taciuto la circostanza che il nucleo familiare convivente del quale egli faceva parte prevedeva la presenza di altro soggetto percettore di reddito, di tal che la sua posizione economica era esuberante rispetto ai requisiti per il godimento del “reddito di cittadinanza”, rende evidente che, nel caso che interessa, la condotta decettiva realizzata dal COGNOME era, appunto, finalizzata all’indebita percezione del beneficio.
Quanto al denunziato vizio di violazione di legge, per avere la Corte di merito ritenuto sufficiente, ai fini della integrazione del reato in contestazion la circostanza che l’imputato non avesse dichiarato la presenza di altro soggetto percettore di reddito, ritendo che siffatta presenza dovesse essere segnalata sulla base del dato che tale soggetto era inserito nello stesso “stato di famiglia” del COGNOME, si osserva che, secondo la previsione contenuta nell’art. 2, comma 5 del decreto legge n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, con legge n. 26 del 2019, ai fini del reddito di cittadinanza si intende per “nucleo
familiare” quello definito tale ai sensi dell’art. 3 del dPCm n. 159 del 2013, esso è quindi costituito dai soggetti componenti la famiglia anagrafica, quindi da coloro i quali, sono, fra l’altro, legati “da vincoli affettivi, coabitanti ed avent dimora abituale nello stesso comune” secondo la dizione dell’art. 4 del dPR n. 223 del 1989.
Del tutto ragionevole è, pertanto, la deduzione operata dai giudici del merito i quali hanno desunto, dalla iscrizione sia del COGNOME sia di altro soggetto nel medesimo stato di famiglia, la circostanza che si tratti di individui fra loro conviventi, legati da vincoli affettivi, tanto più laddove si osservi che il ricorrente non ha evidenziato, neppure a livello di mera prospettazione, un’altra ragione diversa da quella indicata, che potesse giustificare l’inserimento dei due nel medesimo stato di famiglia.
Neppure può aderirsi alla tesi adombrata dal ricorrente, secondo la quale la mancata indicazione dell’ulteriore reddito percepito dal “nucleo familiare” del quale egli faceva parte, essendo ascrivibile ad un errore, dovuto alla ignoranza del suo reale contenuto, su disposizione extrapenale, sarebbe tale da escludere la sussistenza del necessario elemento soggettivo del dolo specifico.
Come, infatti, questa Corte ha, in tempi recentissimi e coevi alla redazione della presente motivazione, puntualizzato, in tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall’art. 2 del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, in legge n. 26 del 2019, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato decreto legge n. 4 del 2019 (Corte di cassazione, Sezione II penale, 10 giugno 2024, n. 23265, rv 286413).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
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