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Reddito di cittadinanza: cade requisito 10 anni

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per falsa dichiarazione a carico di un cittadino straniero che aveva richiesto il reddito di cittadinanza. La Corte ha stabilito che il fatto non costituisce reato, poiché il requisito di 10 anni di residenza, su cui si basava l’accusa, è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale e contrario al diritto dell’Unione Europea dalla Corte di Giustizia UE. Di conseguenza, la dichiarazione non poteva essere considerata penalmente rilevante.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Reddito di Cittadinanza e Stranieri: Cassazione Annulla Condanna per Requisito di Residenza

Una recente e fondamentale sentenza della Corte di Cassazione ha annullato una condanna penale per falsa dichiarazione legata alla richiesta del reddito di cittadinanza. La decisione, basata su precedenti pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, stabilisce un principio cruciale: il requisito di dieci anni di residenza per accedere al beneficio è illegittimo. Di conseguenza, dichiarare di non possederlo non costituisce più reato.

I Fatti del Caso: Una Condanna per Falsa Dichiarazione

Il caso riguarda un cittadino di un Paese terzo, condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019. L’accusa era di aver falsamente dichiarato, al momento della presentazione della domanda per il reddito di cittadinanza, di risiedere in Italia da almeno dieci anni. In realtà, era stato accertato che la sua prima venuta in Italia risaliva a meno di dieci anni prima della richiesta, pur avendo un regolare permesso di soggiorno di lungo periodo. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione di norme costituzionali e del diritto europeo.

Le Questioni Giuridiche: Diritto Interno vs. Diritto Europeo

Il ricorrente basava la sua difesa su tre motivi principali. Il primo riguardava l’applicazione della cosiddetta lex mitior, sostenendo che l’abrogazione della norma incriminatrice dovesse avere effetto retroattivo. Il secondo, e più importante, verteva sul contrasto tra la normativa italiana e il diritto comunitario. In particolare, si sosteneva che il requisito di una residenza così prolungata (dieci anni) per i cittadini di Paesi terzi, anche se soggiornanti di lungo periodo, creasse una discriminazione e violasse il principio di parità di trattamento per le prestazioni sociali, sancito dalle direttive europee. Il terzo motivo, infine, contestava vizi di motivazione della sentenza d’appello.

L’impatto delle sentenze della Corte di Giustizia UE e della Corte Costituzionale sul reddito di cittadinanza

La Corte di Cassazione, nel decidere il caso, ha posto l’accento su due sentenze intervenute nelle more del giudizio, che hanno radicalmente cambiato il quadro normativo di riferimento:
1. Sentenza della Corte di Giustizia UE (29 luglio 2024): La Corte europea ha stabilito che la Direttiva 2003/109/CE osta a una normativa nazionale che subordina l’accesso a prestazioni sociali per i cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a un requisito di residenza di dieci anni. Secondo i giudici europei, un periodo di cinque anni di soggiorno legale è sufficiente a dimostrare il ‘radicamento’ nel territorio, e gli Stati membri non possono prorogare unilateralmente tale periodo.
2. Sentenza della Corte Costituzionale (n. 31 del 2025): La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del requisito di residenza decennale. Ha ritenuto tale termine ‘gravoso’, sproporzionato e non ragionevolmente correlato alle finalità di inclusione sociale e lavorativa del reddito di cittadinanza. La Corte ha evidenziato come questa barriera temporale producesse una discriminazione ingiustificata, allineandosi di fatto alla pronuncia della Corte di Giustizia UE.

Le Motivazioni della Cassazione: Perché il Fatto Non Sussiste

Sulla base di queste fondamentali pronunce, la Corte di Cassazione ha concluso che la sentenza impugnata doveva essere annullata senza rinvio ‘perché il fatto non sussiste’. Il ragionamento è lineare: se il presupposto normativo per il reato (l’obbligo di risiedere da dieci anni) è stato dichiarato incostituzionale e contrario al diritto UE, esso viene meno ab origine.

In altre parole, la norma penale che puniva la falsa dichiarazione su quel requisito specifico risulta priva del suo oggetto. La dichiarazione del richiedente, pur non veritiera rispetto al dato formale dei dieci anni, non è penalmente rilevante perché verteva su un requisito che l’ordinamento giuridico non poteva legittimamente imporre. Poiché l’imputato era residente in Italia da oltre cinque anni, aveva di fatto il diritto di accedere alla prestazione. La sua dichiarazione, quindi, non integrava la fattispecie penale contestata.

Le Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza ha implicazioni di vasta portata. In primo luogo, riafferma la supremazia del diritto europeo e dei principi costituzionali sulle norme interne, anche in materia penale. In secondo luogo, offre una tutela concreta ai cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, eliminando una barriera discriminatoria all’accesso alle prestazioni sociali. Infine, determina la caducazione di tutte le condanne e i procedimenti penali basati sulla violazione di un requisito di legge ormai dichiarato illegittimo, con un effetto retroattivo che garantisce la piena conformità dell’ordinamento ai principi di giustizia sostanziale.

Il requisito di 10 anni di residenza per il reddito di cittadinanza è ancora valido?
No. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 31 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale requisito, e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea lo ha ritenuto contrario al diritto europeo per i cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.

Perché la Cassazione ha annullato la condanna per falsa dichiarazione?
La condanna è stata annullata perché il presupposto giuridico del reato, ovvero l’obbligo di risiedere in Italia da almeno 10 anni per ottenere il beneficio, è stato dichiarato illegittimo. Di conseguenza, una dichiarazione non veritiera su un requisito illegittimo non può costituire reato, e il fatto viene considerato ‘non sussistente’.

Questa decisione ha effetto solo per i cittadini di Paesi terzi?
No. La sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità del requisito, ha efficacia erga omnes, cioè vale per tutti. La Corte ha specificato che la sua decisione evita una ‘discriminazione alla rovescia’, eliminando il requisito dei 10 anni dall’ordinamento nazionale per qualsiasi richiedente, sia esso italiano, cittadino UE o di un Paese terzo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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