Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33658 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33658 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME nato in Nigeria il DATA_NASCITA avverso la sentenza resa 1’1/10/2024 dalla Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che non è stata avanzata richiesta di trattazione orale dell’udienza; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste; che ha insistito per l’accoglimento lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO GLYPH del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza resa il 23 marzo 2023 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli Nord con cui è stata dichiarata la responsabilità dell’odierno ricorrente per i reati di truffa aggravata e di falsa attestazione.
Si addebitava all’imputato di avere posto in essere i delitti di truffa aggravata e di falsa attestazione di cui all’art. 7, comma 1, L. 26/2019 per avere reso dichiarazioni non veritiere al fine di potere conseguire il reddito di cittadinanza, cui non aveva dirit essendo residente in Italia dal 2015, così inducendo in errore l’RAGIONE_SOCIALE in ordine al possesso dei requisiti richiesti per tale erogazione e procurandosi l’ingiusto profitto di circa 11.80 euro.
Il Tribunale riteneva sussistere la sola condotta di falso di cui all’art. 7 I.cit. condannava alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso detta pronunzia ha proposto ricorso l’imputato, deducendo quanto segue.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione per assenza dell’elemento soggettivo del reato, poiché non è stato verificato se l’imputato fosse consapevole di porre in essere un reato attraverso una falsa dichiarazione, in quanto si era rivolto ad un Caf per l’invio della domanda e aveva mostrato all’operatore i propri documenti, da cui emergeva l’assenza dei requisiti necessari per l’ottenimento del beneficio, sicché la Corte avrebbe dovuto escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato per ignoranza inevitabile della legge penale. L’imputato si era rivolto ad un operatore specializzato che avrebbe dovuto ravvisare l’assenza dei requisiti necessari per il permesso e le scarse capacità linguistiche dell’imputato, mentre la Corte al riguardo ha omesso ogni motivazione.
COGNOME, al momento della compilazione della richiesta per ottenere il reddito di cittadinanza, versava in una condizione di ignoranza scusabile della legge extrapenale e la responsabilità cade anche sugli operatori del Caf che non lo avevano informato di tali circostanze.
A sostegno del proprio assunto, il difensore richiama sentenze di assoluzione del Tribunale di Padova e del Tribunale di Lucca che si riferiscono a cittadini extracomunitari che avevano percepito il reddito di cittadinanza, non avendone i requisiti richiesti, ma in ordine ai quali la scarsa conoscenza della lingua italiana e la mancata informativa completa da parte del Caf non permettevano di ritenere provata l’esistenza del dolo.
Ed infatti, dopo aver ottenuto la rateizzazione dell’importo richiesto dall’RAGIONE_SOCIALE, lo stesso COGNOME ha iniziato a restituire la somma indebitamente percepita, come comunicato con l’invio delle conclusioni scritte.
2.2. Violazione di legge poiché la sentenza emessa il 29/07/2024 dalla Corte di giustizia europea ha affermato che il requisito dei 10 anni di residenza costituisce una forma di discriminazione indiretta che si pone in contrasto con il diritto dell’Unione ed è incompatibile con la legislazione comunitaria; ne consegue che detto limite, in quanto illegittimo, deve essere disapplicato dal giudice.
Il principio è stato affermato in favore dei cittadini extracomunitari titolari d permesso di lungo periodo, poiché il giudizio davanti la Corte nasceva da un p/1
/
procedimento penale davanti al Tribunale di Napoli, che vedeva imputato un titolare di questo tipo di permesso, per avere percepito indebitamente il reddito di cittadinanza, senza avere il requisito di 10 anni di residenza nel territorio italiano.
Si è ritenuto che il requisito dei dieci anni di residenza costituisce una forma di discriminazione indiretta che interessa principalmente i cittadini stranieri; secondo la direttiva comunitaria, affinché un cittadino di un paese terzo possa ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo si richiede un soggiorno legale di non più di 5 anni; inoltre la Corte di giustizia si è espressa sancendo il divieto della sanzione penale fondata su una falsa dichiarazione rispetto al possesso dei requisiti per accedere al beneficio.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’art. 131-bis cod. pen. per avere la Corte escluso la sussistenza della causa di non punibilità con argomenta illogiche, posto che la condotta deve ritenersi unica, nonché in considerazione del piano di rateizzazione avviato da RAGIONE_SOCIALE per la restituzione delle somme percepite, essendo il prevenuto privo di precedenti penali; la Corte ha infatti omesso di valutare le circostanze specifiche del caso e la personalità dell’indagato e ha escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. con una motivazione manifestamente illogica.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione ordine al diniego del beneficio della non menzione, poiché la Corte ha respinto la richiesta di concedere alla non menzione della condanna nel certificato penale, sebbene l’imputato avesse iniziato a pagare per la restituzione delle somme indebitamente percepite considerato che scopo dell’istituto è quello di favorire il ravvedimento del condannato e si fonda su una valutazione di astensione futura dalla commissione di ulteriori reati mentre ai fini della sua concessione non può essere attribuita rilevanza esclusiva alla gravità del danno arrecato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il secondo motivo di ricorso è fondato e rende superfluo l’esame delle altre censure formulate con l’impugnazione.
La sentenza C-112/2022 e C 223/2022 della Corte di giustizia europea del 29 luglio 2024 ha ritenuto in effetti incompatibile con il principio di parità di trattame sancito dall’articolo 11 della direttiva 2003/109/CE il requisito della residenza decennale per l’accesso al reddito di cittadinanza previsto dall’art. 2 del d.l. 4/2019, nonché l sanzione penale per falsa dichiarazione sul possesso di questo requisito prevista dall’art. 7 dello stesso decreto, nei confronti dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lung periodo.
La pronunzia si fonda sulla natura della misura del reddito di cittadinanza e poiché si tratterebbe, secondo la Corte di giustizia, di una misura di protezione e assistenza sociale, non ammette discriminazioni, mentre secondo il governo italiano il reddito di cittadinanza costituirebbe una misura complessa volta non solamente a
garantire agli interessati certo livello di reddito ma soprattutto a favorirne l’inclusio sociale e la loro reintegrazione nel mondo del lavoro.
La Corte di giustizia ha poi osservato che la finalità della direttiva 109 è quella d assicurare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duratur territorio degli Stati membri, assicurandone la parità di trattamento con i cittadin dell’unione in vari settori economici e ha ritenuto che tale direttiva vieti anche l discriminazioni indirette che finiscano con lo sfavorire i cittadini stranieri.
Questa Corte, nel rispetto di questi principi, ha recentemente affermato che, in tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza l’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata del disposto dell’abrogato art. 7, comma 1, dl. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, consente di ritenere che la falsa attestazione circa il requisito della residenza decennale in Italia, richiesto ai cittadini di Paesi terzi possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo dal previgente art. 2 d.I cit., non costituisce, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unio Europea del 29 luglio 2024, nelle cause riunite C-112/22 e C-223/22, elemento per la configurabilità del delitto (Sez. 2, n. 13345 del 05/03/2025, Pena, Rv. 287933 – 01, in fattispecie antecedente alla sentenza della Corte cost. n. 31 del 2025, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 2, comma 1, lett. a, n. 2, dl. cit.
Con sentenza del 12 febbraio 2025 la Corte costituzionale, recependo in parte le motivazioni della Corte di Giustizia del 29/7/2024, ha dichiarato l’illegittimi costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera a), numero 2), del dl. n. 4 del 2019, come convertito, nella parte in cui prevedeva che il beneficiario del reddito di cittadinanz dovesse essere residente in Italia «per almeno 10 anni», anziché prevedere «per almeno 5 anni», per violazione dell’art. 3 Cost.
Il decisum dei giudici della Corte costituzionale ha indubbie conseguenze sulla rilevanza penale della condotta di falso oggetto del presente giudizio e fa venir meno con efficacia retroattiva la rilevanza penale della condotta posta in essere dall’imputato, con la conseguente assoluzione per insussistenza del fatto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
GLYPH
Roma 25 settembre 2025