Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8059 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8059 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso di NOMECOGNOME nato a Calolziocorte il 28/08/1935, avverso la sentenza in data 09/01/2024 della Corte di appello di Milano, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta per l’imputato la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 9 gennaio 2024 la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza in data 25 gennaio 2023 del G.u.p. del Tribunale di Lecco, ha ridotto la pena irrogata ad NOME COGNOME per plurime violazioni dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
Ricorre per cassazione l’imputato sulla base di un solo motivo per violazione di legge perché non gli era stata riconosciuta la causa di non punibilità dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nonostante avesse pagato tutto con il ravvedimento operoso. Sostiene che l’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000,
come modificato dall’art. 39, comma 3, d.l. n. 124 del 2019, conv. con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, va applicato anche ai reati commessi prima della novella. Invoca in suo favore la sentenza di questa Sezione n. 35381 del 22/09/2022 che aveva ammesso l’applicabilità della causa di non punibilità a condizione che il pagamento fosse avvenuto alla prima udienza utile, successiva alla modifica normativa, e osserva che, a differenza di quanto affermato dalla Corte territoriale, prima del 25 dicembre 2019 non avrebbe potuto regolarizzare nulla spontaneamente, perché l’Amministrazione finanziaria ammetteva il ravvedimento operoso solo per le omissioni o le irregolarità e in caso di altri comportamenti antigiuridici.
Nella memoria ribadisce, in replica alla requisitoria del Procuratore generale, che non avrebbe potuto regolarizzare nulla spontaneamente, poiché, solo in seguito alla novella, l’estinzione del debito tributario era diventata una causa di non punibilità per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Solo con la circolare n. 11/E del 12 maggio 2022, l’Agenzia delle Entrate aveva considerato superata la preclusione al ravvedimento in presenza di condotte fraudolente come espressa con la circolare n. 180/E del 1998.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Le violazioni dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 sono state commesse dal 2014 al 2018 e in tale arco temporale vi sono state delle modifiche significative dell’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000 che non hanno attinto però il caso in esame.
Originariamente, la norma contemplava la possibilità di applicare una circostanza attenuante in seguito al pagamento del debito tributario solo per alcuni reati tra cui non vi era quello dell’art. 2; in seguito all’art. 11 d. Igs. 24 settembre 2015, n. 158, a partire dal 22 ottobre 2015, la norma ha previsto invece una causa di non punibilità, modulata diversamente per i reati degli art. 10-bis, 10-ter, 10quater, comma 1 (comma 1) e per i reati degli art. 4 e 5 (comma 2): nel primo caso, è stata esclusa la punibilità se, «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso»; nel secondo caso è stata esclusa la punibilità «se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo
d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali»; in seguito all’introduzione dell’art. 39 del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, conv. con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019 n. 157, a partire dal 25 dicembre 2019, l’applicazione del comma 2 dell’art. 13 è stata estesa anche ai reati degli art. 2 e 3 d.lgs. n. 74 del 2000.
Secondo il ricorrente, tale estensione, avendo a oggetto una causa di non punibilità, ha efficacia retroattiva e copre anche il ravvedimento operoso successivo agli accessi, ispezioni, verifiche o all’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, dal momento che il ravvedimento operoso, previsto per le irregolarità formali, era stato esteso dall’Agenzia delle Entrate alle condotte fraudolente solo nel 2022.
Ritiene questo Collegio che invece tale tesi non sia corretta alla luce del dato normativo. L’art. 13, comma 2, anche nella formulazione vigente al momento della presente decisione, che ne ha esteso l’ambito di applicazione ai reati degli art. 2 e 3 d.lgs. n. 74 del 2000, prevede, ai fini della causa di non punibilità, che il ravvedimento operoso sia stato “spontaneo”, cioè sia intervenuto prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Tale condizione pacificamente non è stata soddisfatta nel caso in esame. Il ricorrente ha pagato dopo la notizia certa delle verifiche fiscali iniziate nel 2018 per cui correttamente i Giudici di merito hanno escluso la causa di non punibilità per essere applicabile solo la circostanza attenuante. Pertanto, non può invocare l’applicazione retroattiva della norma penale più favorevole secondo una formulazione diversa da quella sua propria. Né è possibile un’indebita sovrapposizione del piano tributario con quello penale. Infatti, il ricorrente ha effettuato i pagamenti in esecuzione del ravvedimento operoso previsto dall’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 nel 2019, ottenendo i benefici fiscali previsti a livello civile e a livello penale, mentre non ha potuto lucrare l’ulteriore beneficio a livello penale della causa di non punibilità del reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, perché non ha effettuato un ravvedimento operoso “spontaneo”. La circostanza che al momento della consumazione del reato non era previsto tale ulteriore beneficio penale, per cui non sarebbe stata possibile una scelta adeguata, non rileva. Il ricorrente ha affermato che la circolare n. 180/E del 10 luglio 1998 consentiva il ravvedimento operoso solo in caso di irregolarità od omissioni con preclusione rispetto agli altri comportamenti antigiuridici. Tuttavia, lo stesso ricorrente ha dichiarato di aver pagato a novembre 2019, in data anteriore all’entrata in vigore della novella 2019, dal che si desume che la circolare citata non impediva l’adempimento, eventualmente anche nelle forme dell’offerta reale, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
bensì precludeva solo l’applicazione del beneficio della causa di non punibilità del reato. Non è contestato che l’adempimento non sia stato “spontaneo” sebbene la “spontaneità” fosse possibile anche prima della novella penale, per cui correttamente i Giudici di merito hanno escluso l’applicabilità retroattiva della causa di non punibilità.
La citazione della sentenza n. 35381 del 2022 di questa Sezione non coglie nel segno. Infatti, nonostante tale pronuncia abbia riconosciuto la possibilità dell’applicazione retroattiva della norma più favorevole, ivi compresa quella della novella del 2019, richiamando i principi di diritto espressi nelle precedenti pronunce della Sez. 3, n. 40314 del 30/03/2016, COGNOME, Rv. 267807, Sez. 3, n. 15237 del 01/02/2017, Volanti, Rv. 269653, Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017, COGNOME, Rv. 270464, ha negato in concreto tale possibilità osservando che mancavano i presupposti di legge per beneficiare della causa di non punibilità, circostanza ricorrente, come detto, anche nel caso in esame.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 23 ottobre 2024
Il Consigliere estensore