Ravvedimento Effettivo: La Cassazione Sottolinea l’Importanza dei Fatti, non delle Parole
L’accesso ai benefici penitenziari è un tema centrale nel diritto dell’esecuzione penale, poiché rappresenta il punto di incontro tra la certezza della pena e la finalità rieducativa della stessa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Num. 24152/2024) ha riaffermato un principio cruciale: per ottenere misure alternative alla detenzione non bastano le dichiarazioni di intenti, ma è necessario un ravvedimento effettivo, dimostrato attraverso azioni concrete e tangibili. Questo caso offre un’importante lezione sul peso che il risarcimento del danno alle vittime e la presa di distanza dal proprio passato criminale hanno nella valutazione dei giudici.
La Vicenda Processuale
Il caso trae origine dal ricorso di un condannato avverso la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, che gli aveva negato l’accesso a misure alternative. Il ricorrente sosteneva di aver compreso il disvalore delle sue condotte e di voler intraprendere un percorso di reinserimento lecito nella società. Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto la sua istanza, motivando la decisione con l’assenza di segni concreti di un reale cambiamento.
La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, chiamata a valutare la legittimità della decisione del giudice di sorveglianza.
Il Principio del Ravvedimento Effettivo secondo la Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo gli argomenti proposti manifestamente infondati. Il fulcro della decisione risiede nella netta distinzione tra un ravvedimento dichiarato e un ravvedimento effettivo. Secondo i giudici, il ricorrente non aveva affrontato il punto cruciale della motivazione del Tribunale di Sorveglianza: la totale assenza di gesti concreti di pentimento.
In particolare, la Corte ha sottolineato come il condannato non avesse mai provveduto al risarcimento dei danni in favore delle vittime dei reati commessi. Questo aspetto assumeva un rilievo ancora maggiore alla luce del contesto specifico: l’ordinanza impugnata faceva riferimento a un “ingente” patrimonio familiare, derivante dalle attività criminali del clan di cui il padre del ricorrente era a capo. In una situazione del genere, la mancata riparazione del danno non poteva che essere interpretata come un chiaro segnale di mancata revisione critica del proprio passato.
Gradualità nell’Accesso ai Benefici: Un Altro Pilastro del Ravvedimento Effettivo
Un altro motivo di ricorso, basato su una presunta contraddittorietà della motivazione, è stato respinto dalla Cassazione. La Corte ha colto l’occasione per ribadire la validità del principio di “progressività e gradualità” nell’accesso alle misure alternative. Citando un proprio precedente (sentenza n. 22443 del 2019), ha affermato che il Tribunale di Sorveglianza può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali, anche in presenza di alcuni elementi positivi nel comportamento del detenuto. Lo scopo è verificare in modo approfondito l’attitudine del soggetto a rispettare le prescrizioni, garantendo che la concessione del beneficio sia fondata su basi solide e non su un cambiamento solo apparente.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione di inammissibilità su due pilastri principali. In primo luogo, ha riscontrato un vizio di “aspecificità” nel ricorso, poiché le doglianze sollevate non si confrontavano adeguatamente con la ratio decidendi del provvedimento impugnato, ovvero la mancanza di un reale ravvedimento dimostrato da fatti concreti come il risarcimento. In secondo luogo, ha stabilito che le censure proposte non evidenziavano alcuna reale contraddittorietà nella motivazione del Tribunale di Sorveglianza, ma si limitavano a sollecitare una rivalutazione del merito dell’istanza, un’attività preclusa al giudice di legittimità. La decisione del Tribunale di Sorveglianza è stata quindi considerata coerente con i principi di progressività e gradualità che governano l’accesso ai benefici penitenziari.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame trasmette un messaggio inequivocabile: il percorso verso il reinserimento sociale passa attraverso azioni concrete e non mere dichiarazioni verbali. Il ravvedimento effettivo richiede una presa di distanza tangibile dal passato criminale, e il risarcimento del danno alle vittime ne costituisce una delle manifestazioni più significative, specialmente quando le risorse economiche per farlo non mancano. La decisione rafforza inoltre la discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza nel valutare, con un approccio graduale e prudente, la sincerità del percorso di cambiamento del condannato prima di concedere misure alternative che incidono profondamente sull’esecuzione della pena.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché aspecifico e perché le censure si risolvevano in una richiesta di riesame del merito. L’appellante non ha contestato efficacemente la motivazione centrale dell’ordinanza impugnata, ovvero la mancanza di un reale ravvedimento.
Qual è il requisito fondamentale per accedere ai benefici penitenziari secondo questa ordinanza?
Il requisito fondamentale è il ravvedimento effettivo, che non si basa solo su dichiarazioni di intenti, ma deve essere dimostrato con atti concreti, come il risarcimento dei danni alle vittime del reato.
Il Tribunale di Sorveglianza può negare i benefici anche in presenza di elementi positivi nel comportamento del detenuto?
Sì, secondo la Corte, il Tribunale di Sorveglianza può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione per verificare l’attitudine del soggetto, anche se sono emersi elementi positivi, in applicazione del principio di progressività e gradualità nell’accesso alle misure alternative.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24152 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24152 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SARNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che gli argomenti dedotti nell’unico motivo di ricorso siano manifestamente infondati, in quanto:
da un lato sono affetti dal vizio di aspecificità dei motivi di ricorso, in quanto non prend posizione sulla parte della motivazione della ordinanza impugnata che rileva che, in realtà, al d là delle affermazioni di aver compreso il disvalore delle condotte criminose tenuta e della affermata volontà di reinserirsi in modo lecito nel consesso sociale, il condannato non ha mai posto in essere concreti segni di un reale ravvedimento, quali il risarcimento dei danni alle vittim del reato, in un contesto in cui il patrimonio della famiglia del condannato, derivante dalle atti criminali del clan di cui il padre era a capo, viene riferito nella stessa ordinanza essere ingen
dall’altro rilevano una asserita contraddittorietà della motivazione che non emerge dal testo del provvedimento impugnato, atteso che il principio, espresso dalla ordinanza impugnata, della gradualità dell’accesso alle misure alternative ha superato lo scrutinio del giudice legittimità, che ha ritenuto che il sistema di accesso ai benefici penitenziari sia effettivame fondato sulla progressività e gradualità (Sez. 1, n. 22443 del 17/1/2019, COGNOME, Rv. 276213: il Tribunale di sorveglianza, anche quando siano emersi elementi positivi nel comportamento del detenuto, può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali, al fine di verificare l’attitudine del sogget adeguarsi alle prescrizioni da imporre), e che le censure proposte in ricorso si risolvono ne chiedere una rivalutazione nel merito dell’istanza;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.