Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17275 Anno 2025
osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali, al fine di verificare l’attitudine del soggetto ad adeguarsi alle prescrizioni da imporre, specie se il reato commesso sia sintomatico di una non irrilevante capacità a delinquere e sussista una verosimile contiguità con ambienti delinquenziali di elevato livello». (Sez. 1, n. 22443 del 17/01/2019, Rv. 276213). Penale Sent. Sez. 1 Num. 17275 Anno 2025 Presidente: COGNOME NOME Relatore: COGNOME NOME
In ordine alla concedibilità delle misure alternative ai collaboratori di giustizia, si Ł anche affermato che «Ai fini della applicazione della misura della detenzione domiciliare ai collaboratori di giustizia, pur non essendo necessario verificare la sussistenza delle condizioni indicate nell’art. 47ter della Legge 26 luglio 1975 n. 354, in quanto ai sensi dell’art. 16-nonies D.L. n. 8 del 1991 la possibilità di disporla Ł incondizionata, Ł comunque necessario che il giudice verifichi l’opportunità della concessione del beneficio in relazione alla personalità del richiedente e alla finalità dell’istituto» (Sez. 1, n. 36141 del 30/06/2004, Rv. 229581). La norma, infatti, al quarto comma stabilisce che il tribunale di sorveglianza, acquisiti i pareri prescritti, valuta la sussistenza dei requisiti per la concessione del beneficio richiesto «avuto riguardo all’importanza della collaborazione e sempre che sussista il ravvedimento e che non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva» Data Udienza: 23/04/2025
Nel presente caso, l’ordinanza ha dato atto dell’importanza della collaborazione, della serietà ed efficacia del percorso collaborativo, della condotta carceraria corretta e partecipativa, tenuta dal momento di ingresso in carcere dalla libertà, risalente solo all’aprile 2024. Ha però negato la concessione della detenzione domiciliare affermando la necessità di un supplemento di osservazione, eventualmente esteso alla concessione di esperienze premiali, al fine di «verificare la reale manifestazione di elementi di resipiscenza e della volontà di adozione di scelte comportamentali conformi al desiderio di reinserimento sociale», stante la gravità e il numero dei reati commessi dal collaboratore.
Tale motivazione appare carente e manifestamente illogica, alla luce del percorso riabilitativo già svolto dal richiedente. Egli risulta avere commesso gravi delitti solo in epoca precedente all’inizio della collaborazione, avviata nel 2019, nonchØ avere trascorso già molti anni in stato di libertà, risiedendo in località protette, senza piø commettere alcun reato. Nel ricorso si afferma che egli, dal 2019, ha trascorso due anni in regime di arresti domiciliari e tre anni in regime di libertà, senza mai violare le prescrizioni relative alla predetta misura e al regime di protezione, e l’ordinanza, pur non menzionando tale periodo, ha precisato che il ricorrente Ł in stato di detenzione carceraria solo dall’aprile 2024.
L’ordinanza, pertanto, non tiene conto in alcun modo del periodo già trascorso dal collaboratore in regime di libertà o di arresti domiciliari, pur dovendo esso costituire un elemento di valutazione circa il consolidamento del proposito di ravvedimento iniziato con la collaborazione, e circa la capacità del soggetto di conformarsi ai valori sociali condivisi, astenendosi dal commettere reati e prestando adesione a tutte le prescrizioni dell’autorità. L’affermazione della necessità di un ulteriore periodo di osservazione e di accesso ad esperienze premiali, pertanto, risulta apodittica, avendo l’ordinanza omesso di valutare se il periodo già trascorso in stato di libertà o, comunque, di non carcerazione, abbia fornito o meno sufficienti elementi dimostrativi di un’adesione seria e definitiva all’opera di rieducazione, e di allontanamento dalle scelte criminali commesse in passato. I numerosi e gravi delitti commessi in precedenza, pur costituendo un doveroso elemento di valutazione della personalità del richiedente, non sono sufficienti per formulare un giudizio negativo in merito alla sussistenza del necessario ravvedimento, in quanto questa deve essere verificata attraverso elementi sintomatici quali «l’ampiezza dell’arco temporale nel quale si Ł manifestato il rapporto collaborativo, i rapporti con i familiari e il personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorativa, di studio o sociali, successive alla collaborazione» (Sez. 1, n. 17831 del 20/04/2021, Rv. 281360; vedi anche Sez. 1, n. 9887 del 01/02/2007, Rv. 236548).
Questa Corte inoltre ha affermato, sul punto, che «In tema di concessione del permesso premio richiesto da un collaboratore di giustizia, il requisito del ravvedimento per ottenere il beneficio ai sensi dell’art. 16-nonies, comma 4, d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82, stante la gradualità all’accesso alle misure alternative, deve essere inteso non come l’avvenuto conseguimento del fine ultimo del trattamento rieducativo, ma come la maturazione di un definitivo e irreversibile distacco dal contesto criminale rispetto al quale Ł maturata la scelta collaborativa» (Sez. 5, n. 637 del 23/10/2024, dep. 2025, Rv. 287407). La valutazione del «ravvedimento» richiesto dalla norma, pertanto, non equivale all’accertamento definitivo di un percorso rieducativo interamente completato, ma consiste nella verifica del certo e definitivo distacco dal contesto criminale di provenienza, distacco che deve essere valutato attraverso gli elementi sintomatici sopra indicati, e tenendo conto dell’intera condotta tenuta dall’inizio della collaborazione, in quanto dimostrativa non solo della serietà di questa, ma anche della effettività dell’allontanamento irreversibile dalle logiche criminali alla base della precedente scelta di vita.
L’ordinanza impugnata, pertanto, non risulta avere pienamente rispettato il dettato normativo che, come detto, indica gli elementi di valutazione della concedibilità dei benefici nella importanza della collaborazione, l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e la sussistenza del ravvedimento, senza attribuire rilevanza alla gravità o al numero dei reati commessi, e non risulta essersi pienamente conformata ai principi della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la precedente condotta delittuosa impone una piø attenta valutazione del requisito del ravvedimento, essendo indice di una personalità criminale significativa, ma non può giustificare un esito negativo di tale valutazione, dovendo il giudizio fondarsi, essenzialmente, sulla condotta successiva all’inizio della collaborazione. Le sentenze di questa Corte richiamate nel corpo della motivazione, infatti, hanno ribadito la necessità della sussistenza del solo requisito del «ravvedimento» (cosi Sez. 1, n. 34283/2005) e, nei casi in cui hanno sottolineato che esso non può essere presunto ma deve essere dimostrato attraverso specifici elementi, hanno ritenuto corretta la valutazione negativa del tribunale di sorveglianza in casi in cui il collaboratore aveva, dopo l’inizio della collaborazione, tenuto gravi condotte trasgressive, logicamente ritenute dimostrative della mancanza di un autentico ravvedimento (Sez. 1, n. 48891/2013; vedi anche Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Rv. 274517).
Le ragioni sopra esposte impongono l’accoglimento del ricorso, con riferimento al suo primo motivo. Il secondo motivo del ricorso, peraltro, deve ritenersi assorbito, avendo anch’esso ad oggetto la correttezza della motivazione in merito alla sussistenza del requisito del ravvedimento.
L’ordinanza impugnata deve perciò essere annullata, con rinvio per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso il 23/04/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME