Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14391 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14391 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/02/2024 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Salerno dichiarava sussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto europeo esecutivo emesso il 25 ottobre 2021 dal Tribunale francese di Montepellier nei confronti di NOME COGNOME – tratto in arresto in Italia il 5 febbraio 2024 e, in seguito, sottoposto a misura cautelare – in quanto
condannato con sentenza definitiva in relazione ai reati di banda armata e di ricettazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’NOME, con atto sottoscritto dal suo difensore (il cui contenuto è stato ripreso da una memoria successivamente depositata dalla difesa), il quale ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 18-bis legge n. 69 del 2005, per avere la Corte territoriale disatteso la richiesta di rifiuto della consegna in ragione dello “stabi radicamento” in Italia del prevenuto: che, presente nel territorio italiano fin dal 2011, ha svolto in Italia attività lavorativa dal 2012; aveva ottenuto un permesso di soggiorno valido per due anni dal 2016 al 2018, e non aveva mai ricevuto la notifica del provvedimento con cui gli era stata negata la proroga degli effetti di quel permesso; tanto che nel 2020 aveva presentato una nuova domanda “di emersione da lavoro irregolare”. La Corte di appello aveva, dunque, omesso di effettuare la verifica della esistenza degli “elementi rilevatori” di quel “radicamento” indicati nel citato art. 18-bis, così impedendo al ricorrente di poter espiare in Italia la pena inflitta all’estero e poter beneficiare di un reale percorso di reinserimento sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME vada rigettato.
Il motivo unico dedotto con l’atto di impugnazione è infondato.
L’art. 18-bis legge n. 69 del 2005, nel testo vigente dopo le più recenti modifiche, stabilisce che «Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può rifiutare la consegna del cittadino italiano o di persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, sempre che disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno»; e che, “Ai fini della verifica della legittima ed effettiva reside o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna», la corte di appello deve eseguire una verifica tenendo conto dei parametri fattuali specificamente indicati nel comma 2-bis, allo scopo di accertare «se l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale».
Tale disposizione è, dunque, molto chiara nel prevedere che il presupposto per permettere all’autorità giudiziaria di valutare una eventuale richiesta del consegnando di espiare la pena in Italia, è costituito dallo stabile e duraturo “radicamento” in Italia dell’interessato, il quale deve essere legittimamente ed effettivamente residente o dimorante in via continuativa da almeno cinque anni nel territorio italiano.
Di tale norma la Corte di appello ha fatto, nel caso di specie, corretta applicazione, osservando come il prevenuto sia risultato legalmente in Italia solo dal settembre 2014 al febbraio 2018 (periodo nel quale, peraltro, risulta essersi recato in Francia dove ha commesso i gravi reati per i quali è stato condannato) ed ha formalizzato solo nel 2020 una nuova richiesta di “regolarizzazione” della sua posizione, che non risulta essere stata accolta: situazione, questa, nella quale è evidentemente irrilevante la circostanza che all’odierno ricorrente non gli sarebbe stato formalmente notificato il provvedimento con il quale l’autorità amministrativa gli aveva negato un nuovo permesso di soggiorno, perché manca in ogni caso la prova che lo stesso sia stato residente o dimorante stabilmente in Italia per ameno cinque anni e, soprattutto, che questo “radicamento” nel territorio dello Stato italiano sia avvenuto legalmente.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Alla cancelleria vanno demandati per gli adempimenti comunicativi di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti ch cui all’art. 22, c:omma 5, legge n. 69/2005.
Così deciso il 03/04/2024