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Radicamento in Italia: la Cassazione sui 5 anni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un cittadino rumeno, condannato nel suo paese, che chiedeva di scontare la pena in Italia. La Corte ha stabilito che, per ottenere tale beneficio, non basta una presenza formale, ma è necessario dimostrare un effettivo e continuativo radicamento in Italia per almeno cinque anni, provando che il nostro Paese sia diventato il centro stabile dei propri interessi familiari, sociali e lavorativi. In questo caso, prove come un codice fiscale e periodi di lavoro intermittenti non sono state ritenute sufficienti.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Radicamento in Italia: non bastano 5 anni formali per scontare la pena qui

La recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12003/2025) offre un’importante chiarificazione sui criteri necessari per un cittadino europeo per poter scontare in Italia una pena inflitta da un altro Stato membro. Il concetto chiave è il radicamento in Italia, che deve essere effettivo e continuativo per almeno cinque anni, e non meramente formale. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino di nazionalità rumena, destinatario di un Mandato di Arresto Europeo (MAE) emesso dalle autorità del suo Paese. La richiesta di consegna era finalizzata all’esecuzione di una condanna a un anno e sei mesi di reclusione per i reati di guida in stato di ebbrezza e guida senza patente, commessi in Romania nel 2020.

La Corte di Appello di Torino aveva accolto parzialmente la richiesta: aveva concesso la consegna per il reato di guida in stato di ebbrezza, ma l’aveva negata per la guida senza patente, poiché per quest’ultimo reato mancava il requisito della cosiddetta ‘doppia punibilità’ (ovvero, la condotta non era punibile allo stesso modo in Italia).

L’Appello in Cassazione e il Radicamento in Italia

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali. Il primo, di natura procedurale, lamentava il rischio che l’esecuzione parziale della condanna potesse essere pregiudizievole. Il secondo, e più sostanziale, riguardava la violazione della norma (art. 18-bis della legge n. 69/2005) che consente a un cittadino di un altro Stato UE di scontare la pena in Italia.

Secondo la difesa, l’imputato aveva diritto a questa possibilità in quanto erano stati dimostrati i presupposti del suo radicamento in Italia. A sostegno di questa tesi, erano stati prodotti documenti come l’attribuzione del codice fiscale nel giugno 2018, lo svolgimento di attività lavorativa nel 2021 e la percezione di un’indennità di disoccupazione. Elementi che, secondo il ricorrente, provavano la sua presenza stabile nel territorio italiano da oltre cinque anni.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. Sul primo punto, i giudici hanno chiarito che la consegna parziale, basata sulla valutazione autonoma dei singoli reati, è pienamente legittima e non crea alcun pericolo giuridico per il condannato.

La parte più significativa della sentenza riguarda però il secondo motivo, quello relativo al radicamento in Italia. La Corte ha sottolineato che la legge richiede una valutazione rigorosa della condizione di residenza o dimora. Non è sufficiente una mera presenza formale o documentale, ma è necessario dimostrare un legame effettivo, continuativo e legittimo con il territorio italiano per almeno un quinquennio.

I giudici hanno osservato che gli elementi forniti dalla difesa erano frammentari e non provavano una presenza stabile e ininterrotta. L’ottenimento del codice fiscale nel 2018, seguito da periodi di lavoro intermittenti a partire dal 2021, non era sufficiente a dimostrare che l’Italia fosse diventata la sede principale degli interessi affettivi, professionali ed economici del ricorrente. Anzi, il fatto che i reati fossero stati commessi in Romania nel 2020 costituiva un ulteriore elemento a sfavore della tesi di una presenza stabile in Italia in quel periodo.

In sostanza, la Corte ha ribadito che la norma mira a favorire il reinserimento sociale del condannato nel ‘Paese di elezione’, ma ciò può avvenire solo se in quel Paese si sono create solide e durature relazioni sociali, familiari e professionali. Una presenza saltuaria o documentale non soddisfa questo requisito.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di Mandato di Arresto Europeo: la possibilità per un cittadino UE di scontare la pena in Italia non è un automatismo legato al mero decorso del tempo. È indispensabile fornire una prova concreta e inequivocabile di un radicamento in Italia stabile e continuativo per almeno cinque anni. I giudici devono accertare che l’individuo abbia effettivamente trasferito il centro della propria vita nel nostro Paese, altrimenti la consegna allo Stato richiedente resta la regola. Questa decisione serve da monito sulla necessità di documentare in modo robusto e coerente la propria storia di integrazione sul territorio nazionale.

Un cittadino UE condannato all’estero può scontare la pena in Italia?
Sì, è possibile, ma a una condizione molto precisa: deve dimostrare di essere residente o dimorante in modo effettivo e continuativo in Italia da almeno cinque anni. La legge richiede che l’Italia sia diventata la sede principale dei suoi interessi affettivi, professionali ed economici.

Quali prove sono necessarie per dimostrare il radicamento in Italia?
La sentenza chiarisce che singoli documenti, come l’attribuzione di un codice fiscale o contratti di lavoro intermittenti, non sono sufficienti. È necessario fornire un quadro probatorio completo che dimostri una presenza stabile e ininterrotta per cinque anni, indicativa di un vero e proprio trasferimento del centro della propria vita (famiglia, relazioni sociali, lavoro stabile) in Italia.

È possibile che un Mandato di Arresto Europeo venga eseguito solo per alcuni dei reati contestati?
Sì. La Corte ha confermato che l’autorità giudiziaria italiana può valutare ogni singolo reato indicato nel mandato. Se per uno di essi manca un requisito fondamentale, come la doppia punibilità, può rifiutare la consegna per quel reato specifico, ma accoglierla per gli altri per cui i requisiti sono soddisfatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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