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Raccolta scommesse e onere della prova: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma una condanna per raccolta scommesse illecita, rigettando il ricorso di un gestore di un centro affiliato a un operatore estero. La sentenza stabilisce che l’onere di provare la discriminazione da parte dello Stato, che avrebbe impedito di ottenere la licenza, spetta alla difesa e non può essere solo genericamente affermato. Viene inoltre esclusa la buona fede dell’imputato, poiché era consapevole che il suo centro non rientrava in alcuna procedura di regolarizzazione.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Raccolta Scommesse Illecita: Chi Deve Provare la Discriminazione?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9804 del 2025, ha affrontato un caso di raccolta scommesse senza le necessarie autorizzazioni, delineando principi fondamentali sull’onere della prova e sulla buona fede. La vicenda riguarda il gestore di un centro scommesse condannato per aver raccolto giocate per conto di un operatore estero privo di concessione in Italia. La difesa ha tentato di scardinare l’accusa sostenendo che la normativa italiana fosse discriminatoria verso gli operatori comunitari, ma la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna.

Il Caso: Raccolta Scommesse per un Operatore Estero

I fatti traggono origine dalla condanna, confermata in appello, di un soggetto per il reato previsto dalla legge n. 401 del 1989. L’imputato, pur essendo sprovvisto di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 TULPS, aveva esercitato un’attività organizzata di accettazione e raccolta di scommesse, trasmettendole telematicamente a un allibratore estero. La difesa ha basato il ricorso per cassazione su due motivi principali: la violazione dei principi di diritto comunitario e l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero la buona fede.

I Motivi del Ricorso: Discriminazione UE e Presunta Buona Fede

Il ricorrente sosteneva che il sistema italiano di proroga delle concessioni esistenti costituisse una barriera all’ingresso per nuovi operatori, creando una discriminazione e rendendo impossibile per l’allibratore estero regolarizzare la propria posizione in Italia. Di conseguenza, l’impossibilità di ottenere una licenza non sarebbe stata colpa dell’imputato.

In secondo luogo, la difesa ha invocato la buona fede, affermando che un contratto stipulato con la società estera prevedeva la futura regolarizzazione del centro. Si lamentava, inoltre, che l’adesione alla procedura di sanatoria da parte della società avrebbe dovuto garantire il diritto alla raccolta fino a un eventuale diniego esplicito, mai comunicato.

Onere della Prova nella Raccolta Scommesse: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive. Sul tema della presunta discriminazione, i giudici hanno ribadito un orientamento ormai consolidato: l’onere della prova grava sulla difesa. Mentre l’accusa deve dimostrare la condotta materiale (la raccolta delle scommesse) e l’assenza di titolo autorizzativo, spetta all’imputato provare che tale assenza dipende da un comportamento discriminatorio dello Stato che ha illegittimamente impedito all’operatore estero di ottenere la concessione.

Nel caso specifico, le affermazioni della difesa sono state ritenute generiche e non supportate da prove concrete. Anzi, la Corte ha evidenziato come l’operatore estero in questione avesse di fatto utilizzato le procedure di sanatoria per regolarizzare ben 53 altri centri in Italia, fatto che contraddiceva la tesi di una totale esclusione dal mercato.

L’Insussistenza della Buona Fede

Anche il motivo relativo alla buona fede è stato respinto. La Corte ha rilevato che la stessa documentazione prodotta dalla difesa dimostrava la malafede. Una dichiarazione di impegno alla regolarizzazione sottoscritta dall’imputato chiariva esplicitamente che il suo centro non era tra quelli “oggetto di regolarizzazione”. Pertanto, l’imputato era consapevole di operare in una situazione di illegalità e aveva accettato il rischio, senza nemmeno verificare se la società estera avesse intrapreso i passi necessari per sanare la sua posizione. Il richiamo ai principi del diritto amministrativo è stato giudicato non pertinente, poiché per quel centro non era mai stata avviata alcuna reale procedura di sanatoria.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda sul principio cardine dell’onere della prova. Non basta lamentare genericamente una non conformità della normativa nazionale a quella europea; è necessario dimostrare in concreto come tale normativa abbia prodotto un effetto discriminatorio e precluso l’accesso al mercato. La Corte ha inoltre sottolineato che l’esistenza di procedure di sanatoria, seppur con termini stretti, offriva una possibilità di regolarizzazione che l’operatore estero aveva parzialmente colto, smentendo l’ipotesi di una discriminazione assoluta. La buona fede è stata esclusa sulla base di prove documentali che attestavano la piena consapevolezza dell’imputato circa la mancata regolarizzazione del proprio centro scommesse, configurando un’accettazione del rischio di operare illecitamente.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione conferma che la responsabilità penale per l’esercizio abusivo della raccolta scommesse non può essere elusa attraverso mere allegazioni di discriminazione. La difesa ha il compito preciso di fornire prove concrete di un’illegittima esclusione dal mercato. Viene così rafforzata la linea giurisprudenziale che richiede un rigoroso onere probatorio a carico di chi invoca la disapplicazione della norma interna per contrasto con il diritto dell’Unione Europea, consolidando la tenuta del sistema sanzionatorio nazionale.

In un processo per raccolta scommesse abusiva, chi ha l’onere di provare la discriminazione da parte dello Stato?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di dimostrare che la mancata licenza è dovuta a un comportamento discriminatorio dello Stato spetta alla difesa dell’imputato. L’accusa deve solo provare l’attività di raccolta e l’assenza del titolo autorizzativo.

È sufficiente affermare che la normativa italiana viola il diritto UE per essere assolti?
No, non è sufficiente. La difesa deve fornire prove specifiche e concrete che dimostrino come la normativa nazionale o le clausole di un bando di gara abbiano effettivamente e illegittimamente impedito all’operatore estero di ottenere la concessione.

Un contratto che prevede una futura regolarizzazione del centro scommesse è sufficiente a provare la buona fede del gestore?
No. Nel caso esaminato, la Corte ha escluso la buona fede perché la stessa documentazione contrattuale specificava che il centro gestito dall’imputato non rientrava nel piano di regolarizzazione. L’imputato, non verificando lo stato della pratica, ha accettato il rischio di operare illegalmente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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